La Cina all’Assemblea Nazionale del Popolo forza la mano su Hong Kong
L’influenza della pandemia di Covid-19 sull’Assemblea Nazionale del Popolo
Venerdì 22 maggio è stata inaugurata la tredicesima Assemblea Nazionale del Popolo – 全国人民代表大会 Quanguo Renmin Daibiao Dahui – che si riunisce ogni anno a marzo in occasione delle Due Sessioni – 两会 Liang Hui. Questo incontro annuale solitamente segue un rituale stabilito e prevede che vi siano ben poche sorprese, le proposte presentate vengono approvate e il tutto procede in un clima di serenità e armonia. Quest’anno però è diverso: sia il tempismo che l’agenda dell’Assemblea hanno risentito della pesante influenza della pandemia di Covid-19. Tradizionalmente tenutasi in marzo, quest’anno il Partito ha dovuto spostare la data dell’Assemblea a fine maggio e accorciarne la durata da due a una settimana, segnando la sua conclusione per giovedì 28 maggio. Se questo cambiamento è di natura tecnica e di apparente marginale rilevanza, indubbiamente ben rappresenta cambiamenti più sostanziali nelle questioni presenti in agenda. La prima giornata ci ha infatti riservato una serie di sorprese se non entusiasmanti quantomeno interessanti.
L’Assemblea si è aperta con l’annuncio che per la prima volta non si sarebbe fissato l’obiettivo di crescita annuale per il paese. Una prassi che è stata spesso guardata con sospetto per la poca affidabilità dei numeri, tuttavia, il target di crescita espresso durante l’Assemblea fungeva da bussola per capire, almeno generalmente, il livello di fiducia del governo nei confronti della propria economia. Non fissarne uno equivale ad un basso livello di fiducia? A sentire Pechino, no. In una mossa prevedibile, il governo ha dichiarato che la scelta è il risultato dell’instabilità dell’economia globale e non di sfavorevoli condizioni interne. Sebbene il tentativo di spostare l’attenzione da problemi interni sia uno strumento retorico oramai rodato, questa affermazione presenta un fondo di verità. Infatti, questa prima giornata di Assemblea ha anche visto la presentazione di misure per il risollevamento economico del paese tra cui iniezioni di credito, stimoli per attirare investimenti e costruzione di infrastrutture. Questo non equivale a dire che l’economia cinese sarà presto fuori dalla tempesta, basta guardare i crescenti livelli di disoccupazione, e nemmeno che tutte le misure proposte fileranno lisce. La questione degli investimenti esteri in Cina rimane particolarmente spinosa e complessa, non si menziona, ad esempio, l’Accordo Comprensivo sugli Investimenti che UE e Cina negoziano dal 2013 e la cui chiusura era stata ottimisticamente auspicata per il 2020. Tuttavia, indubbiamente il governo Cinese è più che determinato a giocare tutte le proprie carte per sostenere la ripresa della classe media cinese e quindi garantire la stabilità economica e politica del paese.
Sebbene la giornata si sia aperta con le dovute considerazioni economiche, l’attenzione è presto stata rubata da questioni più prettamente politiche quando Zhang Yesui, portavoce dell’Assemblea, ha confermato che l’agenda dell’Assemblea avrebbe previsto la redazione e conseguente approvazione di una Legge per la Sicurezza Nazionale di Hong Kong. Perché tanto scalpore? In breve, così si segna un avvicinamento repentino della fine dell’accordo conosciuto come “un paese, due sistemi” che ha permesso ad Hong Kong di far parte della Cina e nel frattempo mantenere la propria autonomia. Questa legge non è una novità, molti infatti l’assoceranno alle proteste che a partire dal 2003 sono emerse a riguardo, e che l’anno scorso hanno visto migliaia, a volte milioni, di cittadini scendere per le strade. L’approvazione della legge sarebbe infatti di competenza del governo di Hong Kong, tuttavia Pechino, spazientita dalla lunga attesa e dagli innumerevoli ostacoli che permanevano all’emanazione di essa, ha colto al balzo l’occasione di una pandemia che per natura e per legge previene aggregamenti di persone. Il governo centrale ha così preso le redini della questione e introdotto la legge nell’ordine del giorno dell’Assemblea Nazionale del Popolo, come d’abitudine la scelta della parole lascia ampio spazio all’interpretazione e permette a Pechino di sostenere che non vi sarà alcun cambiamento nelle libertà dei cittadini o nell’indipendenza giudiziaria di Hong Kong.
La legge verrà votata giovedì 28 e le aspettative sono che entri in vigore il giorno stesso. La comunità internazionale, tra cui gli Stati Uniti che l’anno scorso hanno passato una legge per la protezione di Hong Kong e il Regno Unito che ha ceduto o restituito Hong Kong alla Cina nel 1997 con la firma della Dichiarazione Congiunta Sino-Britannica contenente le condizioni dello status particolare di Hong Kong, hanno già espresso il proprio dissenso e minacciato ripercussioni. In cosa queste ripercussioni potranno consistere non è chiaro e l’errante amministrazione Trump rende ancora più difficile la previsione. Un intervento militare rimane comunque difficile da immaginare. Tuttavia, il destino della già precaria sopravvivenza dell’iniziale accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina sembra essere segnato, inoltre possiamo tranquillamente aspettarci un attacco commerciale in forma di ulteriori dazi e/o sanzioni da parte degli Stati Uniti. Saranno questa volta seguiti dagli alleati europei? Anche in questo caso, la probabilità che questo accada rimane scarsa, specialmente se si dovesse trattare azioni che metterebbero in serio pericolo la relazione tra questi e la Cina. Tuttavia, non è impossibile che accada soprattutto alla luce delle pressioni a cui diversi governi europei sono sottoposti da crescenti posizioni anti-Cina interne ed esterne.
Con questa decisione la Cina vuole lanciare un segnale di forza e stabilità non solo alla comunità internazionale ma anche e soprattutto al proprio audience domestico. Allo stesso tempo è probabile che il Partito abbia visto un’occasione unica per poter passare una tanto agognata legge e nello stesso tempo testare il proprio campo di manovra e la risposta internazionale. E’ proprio qui che entra potenzialmente in gioco un’altra comparsa, Taiwan. Dalla relazione sull’operato del governo cinese scompare l’aggettivo “pacifica” in relazione all’unificazione di Taiwan con la Cina continentale. Tuttavia, nell’analizzare questo fatto si rischia di leggervi più di quanto non vi sia di reale, dato il numero limitato di informazioni a riguardo, è bene prendere atto della cosa ma è anche bene mettere un freno alle speculazioni. In fondo, se la legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong dovesse passare, la situazione di Taiwan potrebbe sì aggravarsi, ma l’isola potrebbe anche trovarsi improvvisamente sotto una più seria protezione americana.
La prima giornata della tredicesima Assemblea Nazionale del Popolo ci ha già regalato diversi imprevisti e siamo solo al giorno uno. Ora che l’agenda è stata pubblicata non dovremmo aspettarci numerose altre sorprese da essa, tuttavia le ripercussioni e ramificazioni degli annunci di oggi potrebbero essere di lungo raggio e rimangono tutt’altro che facilmente prevedibili.