La Cina ignora volutamente l’anniversario della Rivoluzione culturale di Mao
I media statali hanno calato un velo di silenzio su un periodo cruciale nella storia cinese con un obiettivo preciso
Lunedì 16 maggio ricorre il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione Culturale di Mao Zedong. Nonostante la Cina odierna sia ancora influenzata da essa in molti suoi aspetti – basti pensare alla disciplina di partito – la ricorrenza è passata sotto silenzio dai media statali.
Nel 1966 Mao si accorse di essere stato messo da parte dagli alti ufficiali del partito dopo la disastrosa esperienza del Grande Balzo in Avanti che aveva innescato una carestia che causò 20 milioni di morti tra il 1959 e il 1961 e vide nella Rivoluzione Culturale un modo per riaffermare il suo potere assoluto.
Le giovani Guardie rosse furono invitate da Mao a scagliarsi contro la “vecchia cultura”: accademici, intellettuali, funzionari ed esponenti del partito. Secondo alcuni storici in dieci anni 36 milioni di persone vennero perseguitate e tra le 750mila e un milione e mezzo furono uccise solo nelle aree rurali del paese, al termine di umilianti processi sommari.
Anche il padre del presidente cinese Xi Jinping, alto ufficiale del partito, fu vittima della rivoluzione culturale, e il futuro presidente della Cina visse un periodo di confino, ma come altri dirigenti ha scelto di mettere da parte rancori personali in nome della lealtà di partito.
In uno discorso del 2013 Xi ha ricordato “le due inconfutabili verità”, della rivoluzione maoista e della riforma economica di Deng Xiaoping. L’obiettivo di Xi è di far percepire la storia del partito comunista cinese come un arco di progresso che arriva fino alla presidenza “trasformativa” dello stesso Xi.
La riluttanza del partito di confrontarsi con l’eredità della rivoluzione culturale è da cercare su questo doppio binario: condannare apertamente la rivoluzione culturale significherebbe condannare anche il culto della personalità e questo avrebbe un impatto negativo sul prestigio e il potere dell’attuale presidente.
L’amnesia allora è sicuramente la scelta migliore che il partito ha per evitare di fare i conti con questo passaggio cruciale nella storia cinese come del resto accade per i fatti di piazza Tienanmen a Pechino, quando l’esercito massacrò i manifestanti pro-democrazia.
E in effetti non si è trattato di una vera censura, perché sul Twitter cinese Weibo le parole chiave “rivoluzione culturale” non sono mai state bloccate.
Tuttavia, invece di aver calato un velo sui parallelismi tra la Cina di ieri e quella di oggi, secondo molti analisti, il silenzio sulla Rivoluzione culturale li mette in luce.
La tattica del pugno duro di Xi nella lotta alla corruzione anche nei confronti dei vertici del partito, grazie al quale si è liberato di numerosi avversari politici, lo hanno in effetti elevato a un livello di potere raramente visto dai giorni di Mao.