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Home » Esteri

Cile, lo scrittore Patricio Fernandez a TPI: “Il no alla nuova Costituzione non è la fine del cambiamento”

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Lo scrittore e giornalista Patricio Fernandez, ex membro della Convenzione costituente in Cile, spiega a TPI le ragioni del fallimento del referendum costituzionale del 4 settembre, visto non come una sconfitta ma un’opportunità per il Paese di mostrare al mondo com’è la vera democrazia

Sarebbe stata la Costituzione più all’avanguardia del mondo, ma lo scorso 4 settembre il Cile ha detto no alla nuova carta fondamentale. Il rechazo (rigetto) ha vinto sull’apruebo (approvo) con il 62 per cento. Una votazione obbligatoria che ha visto la partecipazione record di circa l’80 per cento degli aventi diritto. Per più di un anno i membri della Convenzione Costituente, eletti con votazione volontaria a maggio 2021, hanno lavorato alla stesura di una nuova carta che avrebbe dovuto sostituire quella scritta nel 1980 sotto la dittatura del generale Augusto Pinochet. Un anno fitto di discussioni, di ostruzionismi, di complicate relazioni tra le tante diverse parti che hanno partecipato alla gestazione di un documento finale in cui però, evidentemente, non si è rispecchiata la maggioranza delle cittadine e dei cittadini cileni. 

La vittoria del rechazo è stata una vera e propria doccia fredda per i sostenitori dei sì e per il governo presieduto da Gabriel Boric, eletto sulla scia dell’estallido social, cioè dell’ondata di violentissime proteste che hanno infiammato strade e piazze cilene nel 2019 e che ha portato alla decisione di riscrivere la costituzione, una scelta ratificata con il plebiscito del 2020.

Da tre anni, il Cile è sotto i riflettori mondiali. Come molti Paesi dell’America Latina, sin dalla fine della dittatura di Pinochet è considerato un laboratorio di esperimenti politici. All’epoca, appena caduto il muro di Berlino, è stata la prima nazione in cui sono state applicate le teorie economiche dei “Chicago boys”. Da lì, negli ultimi 30 anni le politiche neoliberiste sono state messe in pratica in quasi tutti i Paesi del mondo globalizzato. In tutto il pianeta si sta toccando con mano quanto quelle politiche siano fallimentari e il Cile, come altri Stati in America Latina, ne ha tirato le somme. Negli ultimi 5 anni in Centro e Sud America è in corso quella che è stata chiamata “la seconda ondata progressista”. Nel caso del Cile, poco prima della pandemia è esploso il grande disagio sociale dovuto allo scollamento tra cittadini e politica, alle estreme privatizzazioni e alla riduzione drastica del welfare, al problema irrisolto del riconoscimento politico e istituzionale delle popolazioni indigene, oltre che agli altri temi urgenti comuni a tutto il mondo come la crisi climatica e la parità di genere.

Proprio per la molteplicità di queste ragioni, la partecipazione all’estallido social cileno però non è stata omogenea come si è voluto credere. Vi hanno confluito diverse voci per diverse ragioni. Sebbene l’Assemblea Costituente sia stata eletta pensando di tener conto di tutte quelle voci, evidentemente qualcosa è andato storto. 

Gli osservatori internazionali stanno tentando di dare spiegazioni e prevedere cosa succederà, ma in modo miope. Per alcuni il Paese è destinato a tornare al caos e alla violenza delle proteste. Per altri, il governo Boric prima o poi è destinato a cadere. Per altri ancora il fallimento è stato interamente causato da un sabotaggio mediatico da parte delle forze conservatrici che sin dall’inizio hanno messo in moto una vera e propria macchina del fango. 

“Niente di tutto questo è corretto”, spiega a TPI Patricio Fernandez, scrittore e giornalista cileno a cui abbiamo chiesto una mano per far luce su cosa è successo e su cosa succederà in Cile nei prossimi mesi. Fernandez è stato uno dei 104 membri indipendenti (su 155 componenti totali) della Convenzione costituente e una delle poche voci consapevoli e autocritiche.

“Credo che il Cile stia cercando una soluzione per risolvere i suoi problemi che in qualche modo sono anche i problemi di gran parte del mondo. Questa non è una discussione solo cilena. I grandi pilastri della discussione costituente sono in qualche modo gli stessi temi discussi in Occidente: la parità di genere; il surriscaldamento globale che obbliga a rivedere gli standard ecologici e il modo di intendere la natura non più come un qualcosa da sfruttare o ma come qualcosa di cui l’uomo fa parte; la deconcentrazione del potere che tenga conto delle singole persone in una democrazia maggiormente diretta; il riconoscimento delle diversità culturali dei popoli originari, che significa anche riconoscere diverse cosmo-visioni all’interno di un Paese con uno Stato non più egemonico nell’intendere la vita e il mondo; infine l’istituzione di uno stato sociale di diritto, che i Paese europei hanno tanto sviluppato ma che qui è sfuggente.

La Convenzione costituente è stata eletta durante un estallido social. Per questo motivo i membri hanno alzato la propria voce con grande intensità e difeso le rispettive cause con forza. È circolata molta rabbia durante i lavori per la riscrittura della Costituzione. Inoltre, durante ‘estallido social, una delle caratteristiche che si sono manifestate più chiaramente è stata la distanza dei cittadini dai partiti politici e dalle istituzioni. Solo il 2 per cento dei cileni si sentiva rappresentato da un partito politico. Infatti c’è stata una grossa presenza indipendente tra i membri della Convenzione e un rifiuto molto forte dei partiti.

Questo ha fatto sì che nella Convenzione molti non avessero esperienza. La lotta per tutte quelle cause, attraverso numerosi confronti ha fatto capire che si trattava di una costruzione collettiva, uno spazio in cui tutti partecipavano in un processo congiunto. Ne hanno fatto parte anche personaggi strambi e persone che erano diventate famose durante le proteste in strada, mascherate da Pikachu, da dinosauri o altro. L’opinione pubblica ha dato molto spazio a queste voci urlanti per cui l’immagine della Convenzione ha perso la fiducia della gente. I cittadini hanno cominciato a prendere le distanze da questi personaggi litigiosi, che proponevano cose completamente folli le quali, sebbene non venissero approvate e trasformate in norme, hanno però alimentato molta diffidenza.

Credo quindi che il distacco tra Convenzione e cittadinanza ci sia stato perché al suo interno è continuato l’estallido social, mentre fuori la gente ormai era calma e non ne voleva più sapere di lotta violenta. Contemporaneamente, i nemici della nuova costituzione ne hanno approfittato e hanno potuto dare la lettura mediatica del processo più esagerata possibile, seminando fake news a cui i cittadini a quel punto erano ben disposti a credere. Penso che questa sia stata la combinazione.

Riguardo alla preoccupazione che torni la violenza sulle strade, questo dipenderà da come andrà avanti il processo costituente che di sicuro non si ferma qui. Il 62 per cento ha detto no alla proposta di questa Convenzione ma non ha detto di voler tornare alla carta di Pinochet. Nel referendum precedente del 2020, l’80 per cento dei cittadini ha detto di non volere la costituzione di Pinochet. E nella discussione attuale ci sono numerosi consensi nei confronti della riscrittura della carta. Pertanto è molto probabile che verrà eletta una nuova Convenzione Costituente”.

Il discorso di Gabriel Boric la sera dei risultati del referendum è stato molto fermo e equilibrato. Mi sembra che il presidente abbia preso coscienza che al dibattito della Costituente non hanno partecipato voci di interlocutori importanti. Molti cittadini non si sono sentiti rappresentati. Quindi, forse proprio in nome della democrazia, ha aperto il dialogo per portare avanti il processo. Ha fatto un rimpasto del governo e ha nominato un nuovo gabinetto che somiglia un po’ al terzo governo Bachelet. È così?

“È vero che molti sono dell’ambiente di Bachelet ma sono della nuova generazione, sono più giovani. Inoltre dobbiamo renderci conto che il “bacheletismo” non è tanto diverso dal “boricismo”. E anche che Boric, da ex giovane leader universitario oramai è al vertice del paese, si è reso conto che deve cominciare a trovare appoggio più ampio per andare avanti”. 

Quando all’estero si parla di Cile, spesso lo si guarda attraverso due tipi di lenti: quella dell’antitesi Allende-Pinochet e quella del fallimento del neoliberismo. A parte il retaggio della costituzione che infatti si vuole riscrivere, ha senso parlare di Pinochet e Allende nel Cile del 2022?

“Immaginare che il momento attuale cileno sia un dibattito tra Allende e Pinochet è una debolezza intellettuale di qualcuno che non conosce il Cile. Quelli che hanno votato rechazo hanno votato non perché resti la costituzione di Pinochet. Ho amici che sono stati torturati, sono stati prigionieri politici per anni o hanno vissuto in esilio eppure hanno votato no. Men che meno si è mai sentita la parola “socialismo” all’interno della Convenzione Costituente. In un anno di discussioni non è mai stata pronunciata. Quella del Cile di oggi è una discussione sul futuro che dialoga con il passato. Credo che stiamo mettendo fine al periodo neoliberista. Infatti, uno dei grandi cambiamenti proposti dalla Convenzione era il passaggio dallo stato sussidiario, tipico del modello neoliberista, allo stato di diritto con diritti sociali garantiti. Voglio credere che nella discussione che continuerà, perché come ho detto sono convinto che ci sarà una nuova proposta costituzionale, si vorrà istituire lo stato sociale di diritto. Non credo che il rechazo sia stato contro l’idea dello stato sociale di diritto. 

Ad ogni modo, qualcosa ha a che fare con Pinochet quando si parla di una costituzione che è stata scritta durante una dittatura, questa è una ovvietà. Una costituzione che ha origini vergognose e che un paese democratico non avrebbe dovuto conservare per così tanto tempo. Però è una forzatura pensare che la discussione viva della popolazione sia tra Allende e Pinochet nel momento in cui si deve approvare o rigettare la nuova costituzione. Ci sono gruppi di “pinochetisti” che ovviamente hanno votato contro, come tutta la destra ultra conservatrice. Ma gli altri che hanno votato no non c’entrano nulla con Pinochet. Lo dice uno come me che ha tanto lavorato per l’apruebo. È importante mettere le cose al proprio posto”.

Quali sono state le cause maggiori del fallimento, dunque? 

“Le grosse cause del fallimento sono state in certi casi la superbia, l’inesperienza politica che ha portato molti a credere di poter fare quello che volevano senza includere altri che la pensavano diversamente. Mi spiego meglio: c’è stato il rifiuto totale nei confronti della destra all’interno della Convenzione, mentre c’era una parte della destra che voleva partecipare, che voleva aiutare. Ci sono stati alcuni che non hanno voluto avere nulla a che fare con loro. Gli si è sempre detto no, come se stare con loro fosse un peccato. Credo che questo sia stato il fulcro dell’errore. Il non aver capito che bisognava dialogare con più persone possibili. Cosa che di fatto sarebbe stata la vera democrazia che si decanta. Ci sono stati gruppi tanto di sinistra quanto di destra, non quella estrema ovviamente, che volevano partecipare con grande convinzione democratica. Ma ci sono anche stati gruppi di sinistra la cui convinzione democratica era debole, che credevano che fosse più importante solo quello che loro credevano e volevano piuttosto che costruire qualcosa insieme. Gruppi di sinistra che ti insultavano se non si faceva quello che volevano o se dicevi qualcosa che non condividevano. O se ridimensionavi le cose ti consideravano un venduto, un “amarillo“. E tutto questo è stato nefasto.

La società cilena vuole costruire un incontro e non vuole che uno solo abbia ragione, vuole costruire una ragione comune, per lo meno basica. Se si parla di democrazia, questa è la sintesi che si vuole ottenere soprattutto nella scrittura di una costituzione che è la norma fondamentale. Poi puoi fare le leggi e litigare per questo e per quello. Come ho detto prima, siccome ha partecipato gente che veniva dall’estallido social, da contrasti e confronti violenti, hanno pensato che si trattasse di vincere sull’altro. Invece si trattava di abbracciare l’altro. Questa ricerca dell’abbraccio è quella che necessiterà di più tempo. Bisogna capire che in un anno di congresso non si risolvono tutte le frammentazioni, le disgregazioni sociali, i risentimenti accumulati e l’ingiustizia vissuta. Si può appena cominciare a provarci”.

Si è tanto parlato di cosa sarebbe successo dopo l’apruebo ma cosa potrebbe succedere ora dopo la vittoria del rechazo?

“Io credo con una qualche speranza che il fallimento di questa Convenzione sia una tappa e non significhi la fine di tutto. Si vede la luce di un accordo per andare avanti e vedere come fare i prossimi passi verso una nuova Costituzione.

C’è qualcosa in questo senso che credo che noi cileni non abbiamo saputo riconoscere. Non abbiamo saputo vedere con lucidità quello che stiamo vivendo. Abbiamo impiegato un buon tempo nel discutere di problemi che non sono solo nostri ma sono globali. Questo processo era cominciato già con Michelle Bachelet nel 2015. L’allora presidente aveva invitato i cittadini al dialogo e alla discussione di una nuova costituzione. Un progetto che non ebbe seguito perché non fu supportato dal mondo politico. In seguito salì al governo Sebastian Piñera che propagandava un Cile forte, il paese migliore al mondo. Ma appena una settimana dopo aver detto che il Cile era “l’oasi dell’America latina” è scoppiato l’estallido social.

Io credo che questo processo continuerà e che il Cile sta cercando di mettere in equilibrio la necessità di cambiamento con quella di stabilità, l’avanguardia con l’eredità, le nuove generazioni con la saggezza del passato. Ancora non abbiamo trovato il punto di incontro. Il mondo intero non lo ha ancora trovato. Non sappiamo bene chi siamo e chi stiamo diventando. Sappiamo che siamo in un periodo di immensa trasformazione, che ci sono fenomeni nuovi che hanno cambiato la nostra maniera di relazionarci, un modo di comunicare rivoluzionario grazie alla tecnologia, internet, i social network. Sappiamo che il pianeta è in pericolo ma non sappiamo ancora come tornare a essere parte della natura. Sappiamo che le ideologie del XX secolo non sono più sufficienti a spiegare cosa vogliamo, però ancora non sappiamo come salvare la democrazia liberale. Sappiamo che dobbiamo prendere più decisioni ma non possiamo fare a meno della democrazia rappresentativa. Infine, siamo immersi in un sacco di domande. Credo che in Cile le stiamo discutendo e non posso fare altro che applaudire per questo. Non sappiamo se andrà a finire bene, non esiste un modo per garantirlo, però siamo su una strada che almeno a me piace e che difendo. È un cammino democratico, di ascolto, in cui quelli che credevano di avere totale ragione e che ritenevano gli altri imbecilli, si sono ricreduti. Spero che dopo il risultato di questo voto, le parti politiche che hanno votato rechazo saranno sufficientemente aperte e intelligenti da ammettere che bisogna approfittare dei passi fatti in questi anni e non negarli. C’è stato l’estallido social, c’è stata la Convenzione che è stata eletta, così come le proteste secondo i sondaggi hanno avuto l’80 per cento di appoggio dei cittadini. Tutto quel che è successo non può sparire con questo voto”.

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