Reportage TPI – Giallo nel Baltico: chi vuole affondare il Nord Stream
Numerose esplosioni equivalenti a una tonnellata di tritolo. Milioni di metri cubi di metano dispersi nel Baltico. E ancora nessun colpevole. Con un sabotaggio, il cordone ombelicale che univa Germania e Russia è stato reciso ma tra gli indiziati non c’è solo il Cremlino. Il reportage dell’inviata di TPI a Berlino
Sono le due di notte del 26 settembre 2022, quando nelle acque di fronte all’isola danese di Bornholm viene registrata dai sismografi di Svezia e Danimarca una prima violenta esplosione. Si tratta di una deflagrazione paragonabile all’effetto di 500 chili di tritolo, tanti quanti furono usati per la strage di Capaci. L’azienda Nord Stream 2 Ag denuncia una perdita di pressione lungo le condutture del gasdotto che si snoda attraverso il Baltico, riempito di gas ma mai entrato in funzione. Dal mare è visibile la fuoriuscita di metano, 25 volte più dannoso della Co2.
Diciassette ore dopo un’altra esplosione, di potenza paragonabile. Stavolta a denunciare la perdita di pressione è il gasdotto Nord Stream 1, che scorre in parallelo e che trasportava in Germania e poi in Europa il gas proveniente dalla Federazione Russa, ma che dal 31 agosto scorso non è più in funzione. Il bilancio finale è di tre condutture su quattro colpite nei due gasdotti Nord Stream 1 e 2 in due diversi punti: a nord-est e a sud-est di Bornholm. Soltanto una condotta è rimasta intatta, la più contesa: quella di Nord Stream 2. Ad annunciarlo il 3 ottobre via Twitter è la stessa società russa Gazprom, che partecipa alla società Nord Stream e ne fornisce il gas: «La pressione nella conduttura A di Nord Stream 2 e nelle due condutture di Nord Stream 1 è stabilizzata». E poi conclude: «Ora è tecnicamente possibile re-immettere il gas naturale in questo gasdotto dopo che il sistema è stato esaminato per verificarne l’integrità». In altre parole: potrebbe riprendere a funzionare. Un’informazione tecnica? Tutt’altro.
Il messaggio dice: se si trova un accordo, è possibile rimettere in funzione il flusso di gas dalla Russia, ma non in una conduttura qualunque, solo ed esclusivamente via Nord Stream 2, il catalizzatore della discordia tra Usa e Russia. Il gasdotto che il cancelliere Olaf Scholz non osò nominare in conferenza stampa alla Casa Bianca nel febbraio scorso, era stato oggetto di un patto tra Angela Merkel e la nuova amministrazione Biden che diceva così: la Germania non sarà sanzionata per Nord Stream 2 finché la Russia rimarrà al suo posto, ma se dovesse varcare il Rubicone e occupare l’Ucraina, Berlino si impegna a sospendere per sempre la sua entrata in funzione, mettendo fine al progetto di raddoppio della sua dipendenza dal gas russo. E così è stato: quando è cominciata “l’Operazione militare speciale” russa il 24 febbraio su Nord Stream 2 è calata una pietra tombale. Fino a quando? Non è dato saperlo ma una cosa è certa: la Germania non ha più scelta. Dopo la sospensione delle forniture del gasdotto Yamal, e i pochissimi gigawattora in arrivo dal condotto Transgas (dalla Repubblica ceca), se vuole tornare a importare metano dalla Russia dovrà passare da lì, dal Nord Stream 2. Il guanto di sfida è lanciato.
Ma facciamo un passo indietro: il mar Baltico è un piccolo specchio d’acqua, trafficato e solitamente tranquillo. Nei suoi 377mila metri quadrati, su cui affacciano 9 Stati, gli sconfinamenti nelle acque territoriali degli uni e degli altri sono, secondo Ewa Skoog Haslum, la prima Capo di Stato maggiore della Marina svedese, all’ordine del giorno. Niente di preoccupante, rivela a Der Spiegel, «di solito basta un avvertimento alle navi». Negli ultimi mesi, però, non è più così.
La settimana prima delle esplosioni nei gasdotti, nella Zona Economica Esclusiva norvegese, presso il giacimento petrolifero Gina Krög è stato avvistato un drone vicino a un peschereccio russo, la cui rotta ufficiale puntava all’exclave di Kaliningrad, in territorio lituano. I militari norvegesi hanno giudicato “strana” la rotta del peschereccio russo. Ultimo episodio di sei precedenti avvistamenti di droni non identificati nei dintorni delle piattaforme petrolifere del colosso norvegese degli idrocarburi Equinor. Tanto che, dopo il ripetersi di incursioni come queste, l’autorità norvegese per la sicurezza petrolifera ha esortato ad alzare la vigilanza.
Da anni, ha raccontato a Handelsblatt il portavoce della politica estera dei socialdemocratici tedeschi Nils Schmidt, la Russia ha mandato sempre più navi e sottomarini nel Baltico. Gasdotti e vie di comunicazione sui fondali marini, del resto, sono da tempo oggetto di spionaggio da parte di servizi militari e intelligence. «Si tratta di ottenere un quadro il più possibile completo di ciò che accade sul fondo marino e poi usare questo quadro a proprio vantaggio», ha spiegato a Der Spiegel l’esperto dell’Istituto per la politica di sicurezza dell’Università di Kiel, Johannes Peters. Ora, sostiene Schmidt, «la Russia si sta orientando verso una guerra ibrida e questa è una nuova dimensione» il cui obiettivo è «una strategia di insicurezza».
E forse non è un caso che la tensione nel Baltico sia salita proprio la scorsa settimana, il giorno prima dell’inaugurazione del gasdotto Baltic Pipe, il 27 settembre. Il nuovo gasdotto tra Norvegia e Polonia, che passa non lontano da Nord Stream, ha una capacità fino a 10 miliardi di metri cubi ed è l’infrastruttura attraverso cui Varsavia si è resa per la prima volta indipendente dal gas russo. Che l’esplosione di Nord Stream sia stato un avvertimento per tutti? L’ufficio criminale federale tedesco sembra andare in questa direzione. A «rischio di attacco» ora potrebbero essere altre «infrastrutture critiche», si legge in un documento inviato ai rappresentanti dell’economia tedesca, pubblicato da Der Spiegel.
Nel mirino ci sarebbero le condutture di gas, elettricità, cavi per le telecomunicazioni. Come la guerra sottomarina nel secondo conflitto mondiale vedeva gli u-boot tedeschi impegnati a isolare le vie di rifornimento alleate, ora l’obiettivo sembra l’isolamento energetico dei Paesi che affacciano sul Baltico attraverso il sabotaggio dei suoi collegamenti. Per la stessa ragione, in un’intervista a Die Zeit, il ministro Difesa dell’Estonia, Hanno Pevkur, ha sostenuto che la Nato dovrebbe avviare una missione di sorveglianza subacquea nel Mar Baltico. Quello che manca allo stato attuale è la condivisione dei dati ricavati dai sistemi di ricognizione, soprattutto da parte di Svezia e Finlandia, non ancora parte dell’Alleanza atlantica. Ma perché dovrebbe essere stata la Russia l’autrice di quello che autorità svedesi, danesi, finlandesi e polacche hanno definito da subito un atto di sabotaggio? La Germania insinua ma non si sbilancia. Secondo l’ufficio criminale federale tedesco si è trattato di «un sabotaggio mirato» da parte «di un attore statale», soprattutto «in considerazione dell’elevata complessità dell’esecuzione del crimine e della relativa preparazione».
Secondo una ricostruzione della radio finlandese Yle, invece, sull’azione di sabotaggio nel Baltico c’è la firma di Mosca. Nel 2006, due gasdotti che portavano gas russo in Ossezia del Sud, cioè in un territorio appartenente de iure alla Georgia, sono stati danneggiati da un’esplosione con ausilio di cariche esplosive telecomandate in uso ai militari. Gli autori non furono mai rintracciati, ma l’allora presidente georgiano Mikhail Saakashvili diede la colpa alla Russia. A settembre Tbilisi si era mostrata interessata all’ingresso nella Nato e due anni dopo iniziò la guerra con Mosca.
Al momento una commissione congiunta svedese, danese e tedesca è al lavoro per accertare quanto accaduto. Quello che si sa finora è che le condutture di Nord Stream non possono essere state oggetto di un’esplosione semplice da parte di uomini rana. Parliamo di condotti dal diametro interno di oltre un metro, con pareti in acciaio di carbonio con spessore da 27 a 41 millimetri, rivestite all’esterno in calcestruzzo e polietilene resistente alla corrosione. Le tubature sono adagiate a una profondità che varia tra gli 80 e i 200 metri. Secondo il quotidiano tedesco Faz, «pensare alla Russia non è necessariamente sbagliato, ma non è nemmeno necessariamente giusto» perché «fino a qualche tempo fa, la Russia disponeva di uno speciale sottomarino, l’AS 31 Losharik, realizzato in titanio, in grado di arrivare fino a 6.000 metri di profondità». «Tuttavia – conclude il giornale tedesco – quasi ogni altro sottomarino avrebbe potuto essere utilizzato per attaccare il gasdotto».
Le ipotesi in campo al momento sono quattro. L’esplosivo potrebbe esser stato piazzato da un sottomarino o un mini-sommergibile, in un’operazione coperta dal passaggio di un mercantile. Oppure potrebbe esser stato messo tempo prima e azionato a distanza, oppure dall’interno. In questo secondo scenario l’esplosivo potrebbe essere stato portato all’interno delle tubature tramite i robot in uso per la manutenzione dei condotti, oppure inglobato già in fase di costruzione come un “dispositivo di emergenza”. In quest’ultimo caso l’operatore del gasdotto – cioè Nord Stream – avrebbe azionato da remoto il dispositivo di detonazione. Quest’ultima tesi è quella che al momento sostiene l’ex responsabile del colosso del gas ucraino, Naftogas, Andrik Koboljev. Secondo l’ex dirigente, in Urss era prassi dotare le infrastrutture critiche di esplosivi in caso di emergenza già in fase di costruzione.
Ma uno stile operativo resta un indizio e non ancora una prova. Rimane in piedi l’ipotesi di un’operazione sotto copertura, sotto “false flag”, magari da parte ucraina, con lo scopo di tagliare definitivamente i legami energetici tra Germania e Russia. L’unica domanda ora da farsi è: a chi giova alzare la tensione ulteriormente?