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Chi c’è dietro l’Isis?

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Cresce l'opinione, secondo molti in Iraq, che gli Usa stiano usando l'Isis come scusa per intervenire di nuovo in Medioriente

Da più di un mese a questa parte, gli Stati Uniti hanno dato il via a un’escalation di bombardamenti contro gli estremisti dello Stato Islamico. Ma questo sembra aver fatto ben poco per mettere a tacere le teorie complottiste che tutt’ora rimbalzano dalle strade di Baghdad fino ai piani alti del governo iracheno, e che sostengono che la Cia si nasconda segretamente dietro agli stessi estremisti che ora sta attaccando.

“Sappiamo chi ha creato Daesh” (abbreviazione in arabo che si riferisce all’Isis) ha detto il vice primo ministro iracheno Bahaa al-Araji, intervenuto durante una manifestazione organizzata dal leader religioso sciita Moqtada al-Sadr lo scorso sabato per dissuadere gli Stati Uniti dall’inviare truppe di terra in Iraq.

A margine dell’evento della scorsa settimana, lo stesso Sadr ha pubblicamente incolpato la Cia di aver creato lo Stato Islamico. Le interviste svolte in quell’occasione rivelano come la maggior parte dei partecipanti – alcune migliaia in tutto – e diverse dozzine di parlamentari siano della stessa opinione (Sadr è considerato vicino all’Iran, altro luogo dove questa teoria è particolarmente popolare).

Quando un giornalista americano ha chiesto a Bahaa al-Araji se anche lui ritenesse la Cia responsabile di aver creato lo Stato Islamico, quest’ultimo non si è sbilanciato. “Non lo so, io sono soltanto un pover’uomo”, ha detto Araji in un inglese perfetto, arretrando rapidamente verso la portiera di un suv con tanto di chaffeur. “Ma siamo molto timorosi. Grazie!”

La teoria del complotto tra Cia e Stato Islamico è fonte di forti dubbi circa il ritorno dei militari americani in Iraq più di 10 anni dopo l’invasione del 2003. In più, il fatto che anche un’alta carica del governo iracheno abbia espresso con nonchalance il proprio supporto a una teoria del genere dimostra quanto il nuovo governo di Baghdad si potrà rivelare un alleato scomodo per la coalizione guidata dagli americani contro i militanti islamici.

Lo Stato Islamico, conosciuto anche con l’acronimo Isis, ha conquistato molte delle province sunnite nel nordest dell’Iraq, anche grazie all’alienazione di molti residenti dal governo di maggioranza sciita dell’ex primo ministro Nuri Kamal al-Maliki. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha insistito ripetutamente che un eventuale intervento delle forze militari americane contro l’Isis sarebbe dipeso dall’instaurazione di un governo maggiormente inclusivo a Baghdad, anche se il via libero ai bombardamenti è avvenuto prima che l’organico governativo venisse completato.

Il parlamento, infatti, non ha ancora confermato le nomine per le cariche cruciali di ministro della Difesa e degli Interni, in parte a causa di mancati accordi tra le fazioni sunnite e quelle sciite. Secondo i media iracheni, il processo di assegnazione delle cariche potrebbe richedere più di un mese.

La manifestazione di sabato scorso è solo l’ultimo di una serie di segnali inviati da parte della leadership sciita, in particolar modo da quelle fazioni considerate vicine all’Iran, e che mirano a scoraggiare un intervento “boots on the ground” dei militari americani. Obama ha promesso di non inviare truppe da combattimento, ma non è riuscito a convincere gli iracheni. “Non ci fidiamo di lui”, ha detto Raad Hatem, 40 anni.

Haidar al-Assadi, suo coetaneo, è d’accordo. “L’Isis è una creazione statunitense. Gli Stati Uniti stanno intervenendo nuovamente usando come scusa lo Stato Islamico”.

Le milizie sciite e volontari, secondo Assadi, stavano già rispondendo alla chiamata da parte dei leader religiosi per difendere l’Iraq dallo Stato Islamico, senza bisogno di aiuti da parte degli Stati Uniti. “Noi siamo così”, ha detto, aggiungendo che le stesse forze irachene già attive nel combattimento contro l’Isis si sarebbero anche battute per tenere gli americani fuori dal Paese. “La ragione principale per cui Obama dice di non voler invadere l’Iraq di nuovo è perchè conosce la resistenza islamica” delle milizie sciite “e non vuole perdere un singolo soldato”.

Da parte sua, il leader dell’Isis domenica scorsa ha sfidato il mondo a fermare la sua avanzata.

“I complotti degli ebrei, dei cristiani, degli sciiti e di tutti i regimi tirannici nei Paesi musulmani non sono stati in grado di far cambiare corso allo Stato Islamico”, ha dichiarato Abu Bakr al-Baghdadi attraverso una registrazione audio diffusa su internet, usando in termini dispregiativi il gergo islamico antico.

“Il mondo intero ha visto l’impotenza dell’america e dei suoi alleati di fronte a un gruppo di fedeli”, ha detto Baghdadi. “La gente adesso realizza che la vittoria è stata mandata da dio, e che nulla potranno gli eserciti e i loro arsenali”.

Alla manifestazione a Baghdad in molti hanno espresso un parere positivo riguardo ai bombardamenti contro lo Stato Islamico, ma non per quanto riguarda l’intervento di truppe americane sul territorio iracheno, una posizione supportata anche dal leader religioso sciita Moqtada al-Sadr. Molti dei 30 parlamentari iracheni – su un totale di 328 seggi – appoggiati da al-Sadr hanno partecipato alla manifestazione.

I supporter di Sadr si schierano contro l’ex premier Maliki, e in molti durante la manifestazione non hanno mancato di criticare il precedente governo per gli errori commessi, tra cui il fallimento nel creare un esercito su cui poter fare affidamento. “Avevamo un buon esercito, che fine ha fatto?”, si chiede il 35enne Waleed al-Hasnawi. “Maliki gli ha dato tutto, ma loro hanno semplicemente abbandonato il campo di battaglia”.

Quasi nessuno tuttavia incolpa Maliki di aver alienato la minoraza sunnita e di aver chiuso un occhio davanti agli abusi perpetrati dalla maggioranza sciita nelle forze dell’ordine, come sostengono le autorità americane.

Secondo Omar al-Jabouri, un musulmano sunnita di 31 anni che abita in un quartiere principalemente sciita di Baghdad, Maliki ha alienato la maggior parte degli iracheni, indipendentemente dalla loro setta di appartenenza.

“Lui non ha escluso e marginalizzato soltanto i sunniti, ha ignorato anche gli sciiti”, ha detto Jabouri. “Ha dato attenzioni particolari alla sua famiglia, ai suoi amici e alle persone intorno a lui. Non è che abbia aiutato gli sciiti, come pensano molte persone”.

Ma per quanto riguarda lo Stato Islamico, è una storia diversa, ha detto Jabouri. “È chiaro a tutti che lo Stato Islamico sia una creazione degli Stati Uniti e di Israele”.

L’articolo di David D. Kirkpatrick è stato pubblicato sul New York Times.

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