Perché le cheerleader delle due Coree alle Olimpiadi mostrano l’enorme diversità tra i due paesi
La Corea del Nord ha inviato le cheerleader nella propria delegazione dopo mesi di incontri ufficiali tra i diplomatici delle due Coree
Quando lunedì scorso una lunga fila di donne in cappotto rosso ha fatto il suo ingresso nel Kwandong Hockey Center, nella città sudcoreana di Gangneung, la folla è scoppiata in un urlo assordante.
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Quella fila era formata dalle 229 cheerleader nordcoreane inviate da Pyongyang per incitare i propri atleti durante i Giochi olimpici invernali in Corea del Sud.
I risultati delle partite della squadra di hockey unificata della Corea contro Svezia e Svizzera sono stati deludenti ma, per la folla composta da più di 3mila persone assemblate intorno alla pista di pattinaggio, non è sembrato avere importanza.
I fan sventolavano piccole bandiere che mostravano una penisola coreana unificata, cantando “noi siamo uno” e urlando a gran voce ogni volta che la propria squadra attaccava.
La nazionale femminile unificata ha raccolto l’ovazione del pubblico nonostante la doppia sconfitta.
Un miracolo di mediazione e pacificazione, sostenuto con i canti e le coreografie delle cheerleader nordcoreane sotto lo sguardo del presidente della Corea del Sud Moon Jae-in e di Kim Yo-jong, sorella del leader della Corea del Nord.
Fin dalla partita preliminare tra la Svezia e la squadra coreana unificata, i sudcoreani hanno subissato le cheerleader del nord con domande di vario genere.
In effetti le curiosità potevano essere molte, dal momento che in Corea del Nord esiste una dura procedura di selezione per unirsi all”Esercito delle Bellezze”, come è stato ribattezzato da Pyongyang.
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Le donne devono essere infatti considerate abbastanza attraenti dallo stato a partire dalla tarda adolescenza fino ai primi 20 anni.
E pare che le cheerleader siano state scelte tra le studentesse delle università di Pyongyang e tra le famiglie dell’alta borghesia fedeli al regime.
Secondo i disertori nordcoreani citati dai media, le donne della squadra di cheerleader devono essere alte più di 165 centimetri, a eccezione di quelle “con un aspetto insolitamente bello”.
Le ragazze con familiari che vivono all’estero vengono automaticamente squalificate perché dichiarate a rischio di fuga.
Ad ogni modo, era la prima volta che molti sudcoreani si sono trovati faccia a faccia con i loro vicini del nord, con i quali sono ancora ufficialmente in guerra.
Pyongyang ha inviato alle Olimpiadi invernali le cheerleader, che superano in numero gli atleti del paese con un rapporto di 10 a uno, come parte della propria delegazione, dopo mesi di incontri ufficiali tra i diplomatici delle due Coree.
Seduti sugli spalti in sei file separate, le ragazze hanno eseguito saluti sincronizzati anche durante la seconda partita della squadra femminile di hockey della Corea unificata.
Ogni movimento era coordinato, ogni sventolio di bandiera o battito di mano era eseguito all’unisono.
Ma per le due parti, l’incontro è stato un segno di quanto siano andati avanti in 65 anni dalla guerra coreana del 1950-53 che ha diviso nord e sud.
Han Sun-woo, 25 anni, incastrato tra due gruppi di cheerleaders della Corea del Nord, ha dichiarato “Sono davvero molto antiquati. Non ho mai vissuto gli anni ’70, ma immagino sia stato così”.
“Mi sento male per loro. Se questo è quello che vogliono mostrare al mondo, pensa a quanto è arretrato il resto della gente”.
E infatti, vestite con magliette bianche corte e pantaloncini rosa mentre sventolavano colorati pon-pon, si sono esibite anche le cheerleader sudcoreane, in netto contrasto con le donne da nord evidenziando la voragine culturale che separa i due paesi vicini.
Accanto alle ragazze nordcoreane sugli spalti, alcuni uomini anziani sono rimasti seduti per l’intera durata della partita, un promemoria del fatto che, nonostante le apparenze, queste donne sono tuttora prigioniere di uno dei regimi più brutali del mondo.
Non sono pochi infatti quelli che credono Pyongyang le abbia inviate per aiutare ad allontanare l’attenzione dai campi di prigionia del paese, dalle torture diffuse e dalle esecuzioni pubbliche. E, per la maggior parte del pubblico, sembra aver funzionato.
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Lee Soo-ra, 26 anni, un’infermiera che era venuta da Seoul per la partita, ha dichiarato al Guardian “Sono felice che siano qui. Mi fa sentire più vicino alla gente della Corea del Nord”.
“Sono qui per rallegrare la mia stessa squadra. È come se fossimo un unico paese, ed è ciò che spero”.
Circa la metà dei sudcoreani ha avuto un’opinione negativa, secondo un sondaggio, pubblicato la scorsa settimana da Korea Society Opinion Institute.
Lo studio ha rilevato che circa il 60 per cento dei sudcoreani preferisce la “coesistenza pacifica” rispetto all’unificazione dei due paesi.
La squadra delle due coree sta gareggiando con una bandiera neutrale, una sagoma azzurra di una penisola coreana indivisa su uno sfondo bianco, e ogni cheerleader era equipaggiata con una versione in miniatura dello stendardo.
Ma erano presenti anche dozzine di spettatori che sventolavano le bandiere della Corea del Sud.