“Carola Rackete non andava arrestata”, Cassazione boccia il ricorso del pm di Agrigento
La Cassazione ha rigettato il ricorso presentato la scorsa estate dal procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio e dall'aggiunto Salvatore Vella contro l'ordinanza che decise di non convalidare l'arresto del Capitano della nave della Ong
È stato respinto dalla Cassazione il ricorso della Procura di Agrigento contro l’ordinanza che lo scorso 2 luglio ha rimesso in libertà Carola Rackete, la comandante della nave Sea watch3 approdata a Lampedusa forzando il blocco.
La terza sezione penale, dopo una camera di consiglio svolta ieri, ha rigettato il ricorso presentato la scorsa estate dal procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio e dall’aggiunto Salvatore Vella contro l’ordinanza che decise di non convalidare l’arresto del Capitano della nave della Ong.
“Non conosciamo ancora le motivazioni ma adesso sappiamo con certezza che avevamo ragione noi: Carola Rackete non andava arrestata”. Lo ha detto all’Adnkronos l’avvocato Leonardo Marino, legale di Carola Rackete, la capitana della nave Sea watch, commentando la decisione della Cassazione di rigettare il ricorso della Procura di Agrigento contro la scarcerazione della comandante tedesca
Carola Rackete era stata arrestata dopo che il 29 giugno aveva portato la nave nel porto di Lampedusa, facendo sbarcare i 40 migranti che erano a bordo da più di due settimane.
La capitana era stata accusata di aver violato gli ordini delle autorità italiane e dunque il “decreto sicurezza bis” approvato dal governo a inizio giugno. Il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio aveva disposto nei suoi confronti gli arresti domiciliari, con l’accusa di reato di resistenza a pubblico ufficiale e violenza a nave da guerra, per aver urtato una motovedetta della Guardia di Finanza nel tentativo di entrare in porto.
Il gip di Agrigento Alessandra Vella aveva però successivamente deciso di non convalidare l’arresto (Chi è Carola Rackete).
Secondo quanto stabilito dal gip, infatti, la comandante della Sea Watch 3 ha agito “nell’adempimento di un dovere: quello di salvare vite umane in mare”.
Il reato di resistenza a nave da guerra, poi, non sussisterebbe in quanto la motovedetta della Finanza speronata dall’imbarcazione della Ong non sarebbe una nave da guerra.
Il gip, inoltre, sottolinea che la scelta di attraccare al porto di Lampedusa “non è stata strumentale, ma obbligatoria perché i porti della Libia e della Tunisia non sono ritenuti sicuri”.