Caos Africa: il continente è in subbuglio ma l’Europa pensa solo ai migranti
Golpe, guerre, povertà e disastri ambientali: la crisi africana spazza via i vecchi imperi coloniali per far spazio a nuovi padroni. E l'Occidente resta a guardare
La Francia non è mai stata così in difficoltà in Africa da quando ha smantellato il suo impero coloniale. Quel concetto definito “Françafrique”, che andava a delineare un rapporto privilegiato, che alcuni hanno visto come di attenzione particolare e altri come forma di neocolonialismo, nei confronti delle sue ex dipendenze, per quanto ancora ben radicato, sembra aver subito uno dopo l’altro una serie di duri colpi. Così come, a subire duri colpi sono state anche quelle istituzioni africane, quell’Unione Africana e soprattutto quell’Ecowas che hanno contribuito in tutto il dopoguerra a cercare di dare una parvenza di ordine in un’area del mondo – l’Africa occidentale – particolarmente instabile, e che oggi rischiano di vedere il loro ruolo ridimensionato.
È in questo contesto che, dal 2020 ad oggi, sono stati rovesciati ben cinque governi di Paesi della cosiddetta Françafrique: prima il Mali, poi il Burkina Faso e la Guinea quindi, negli ultimi mesi, il Niger e il Gabon. Se l’instabilità nella regione non è una novità, visto che l’Africa suo malgrado ha una lunga tradizione di golpe, proteste, mancati riconoscimenti dei risultati elettorali e colpi di mano, ha suscitato notevole attenzione il fatto che nell’Africa centro-occidentale sono stati rovesciati governi in ex colonie francesi e che da parte della comunità internazionale non siano arrivate risposte adeguate che potessero difendere l’ordine costituzionale di quei Paesi. E una forte presenza del gruppo Wagner in alcuni degli Stati protagonisti di questa ondata di golpe ha fatto pensare ad alcuni osservatori che ci possa essere una regia comune con l’obiettivo di destabilizzare e cambiare gli equilibri in una regione già di per sé fragile i cui problemi sono strettamente connessi ai flussi migratori verso l’Europa. La situazione, probabilmente, è più complessa per essere ridotta solo a questo.
Instabilità generale
Negli ultimi anni la sicurezza globale ha dovuto affrontare numerosi problemi, dal terrorismo internazionale alla pandemia di Covid, dall’aumento dei flussi migratori allo scoppio di guerre che hanno avuto risvolti a cascata su diversi teatri di crisi, culminate con l’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Questa situazione di generale deterioramento della sicurezza si è dunque sentita in primis nelle aree del mondo più fragili e già caratterizzate da sistematici problemi di instabilità.
Il Sahel, nello specifico, quella fascia di territorio a sud del deserto del Sahara, è diventata negli anni terreno fertile per queste forme di insicurezza, divenendo un crocevia tra terrorismo, tratta dei migranti e conflitti etnici e comunitari che affliggono da tempo la regione. E così, proprio il Sahel è diventato osservato speciale dalla comunità globale mentre, paradossalmente, le istituzioni internazionali si andavano gradualmente indebolendo. Ed è divenuto terreno fertile per colpi di stato che hanno rovesciato governi anche di lunga durata.
E così, in questo territorio già spesso caratterizzato da golpe e insurrezioni, la situazione si è logorata ulteriormente: nel 2020 il presidente del Mali Ibrahim Boubacar Keita è stato rovesciato da una giunta militare guidata dal colonnello Assimi Goita, l’anno seguente il presidente della Guinea Alpha Condé è stato rovesciato dopo 11 anni al potere mentre il Sudan ha subito il secondo colpo di mano nel giro di due anni che ha contribuito all’inizio di un conflitto interno nel 2023. Nel 2022, invece, il Burkina Faso ha assistito a ben due colpi di stato nel giro di pochi mesi che hanno portato il capitano Ibrahim Traoré alla guida del Paese. Quest’anno, poi, un gruppo di militari guidati da Abdourahmane Tchiani ha rovesciato il presidente del Niger Mohamed Bazoum e, pochi mesi dopo, il generale Brice Oligui ha rovesciato il presidente del Gabon Ali Bongo, al potere dal 2009 quando successe al padre Omar, divenuto capo dello stato nel 1967 e ponendo così fine a una dinastia lunga oltre 50 anni. E nel frattempo, anche in Sierra Leone un piano per rovesciare il governo è stato sventato da parte delle autorità locali.
Molti osservatori, di fronte a questo deterioramento della sicurezza nella regione subsahariana, hanno visto una minaccia ibrida da parte della Russia, che destabilizzando la regione potrebbe minacciare molti interessi europei e contribuire a nuovi flussi migratori verso il nostro continente, con tutte le conseguenze nella difficoltà di gestire gli arrivi e nelle reazioni dell’opinione pubblica.
L’incognita russa
Ma cosa c’entra la Russia con l’Africa? Molti ex imperi coloniali hanno mantenuto in qualche modo la propria influenza nei territori africani una volta sotto il loro controllo. Lo ha fatto in primis la Francia, ma non è l’unica. Senza perderci in un’infinità di esempi e rimanendo nel cortile di casa nostra possiamo parlare del rapporto di lungo corso mantenuto dall’Italia con la Libia, spesso altalenante durante il regime di Muhammar Gheddafi, o anche degli accordi firmati da Bettino Craxi nel 1985 con la Somalia di Siad Barre. Questo discorso, tuttavia, non può valere per la Russia, che un impero coloniale africano non lo ha mai avuto, ma ha comunque saputo farsi strada nel continente con un rapporto iniziato ben prima di questi anni.
Durante la Guerra fredda, infatti, l’Unione Sovietica fu particolarmente attiva nel promuovere molte cause indipendentiste e molti governi dalle posizioni marcatamente anticolonialiste. Negli ultimi anni, in Africa è invece aumentata la presenza del gruppo Wagner, compagnia militare che, come noto, ha agito in molti teatri di crisi come longa manus russa. E tra questi teatri ce ne sono stati diversi in cui hanno avuto luogo colpi di stato, a partire dal Mali.
Se però il sospetto di un coinvolgimento della compagnia privata può essere considerato nel caso maliano, è difficile immaginare che in un Paese come il Gabon, estraneo a queste dinamiche, il golpe sia stato eterodiretto da potenze straniere: il ruolo della Wagner e l’eventuale coinvolgimento di altre potenze può essersi insinuato all’interno di un contesto in totale deterioramento, ma il grosso del problema della regione del Sahel è da individuare nel complessivo logoramento della sicurezza globale che ha le sue dirette conseguenze in questa regione instabile. E oggi, dopo la morte del capo della Wagner Yevgeny Prigozhin, è da vedere in che modo gli interessi e le attività della compagnia militare cambieranno pelle nella regione, senza verosimilmente cambiare forma.
La crisi dell’Ecowas
Nella generale crisi della sicurezza dell’Africa occidentale non passa inosservata la crisi della principale organizzazione sovranazionale attiva in quest’area, ovvero la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale, meglio nota con la sua sigla inglese Ecowas o con quella francese di Cedao. Questo blocco regionale persegue la pace, la stabilità e la collaborazione economica tra i Paesi dell’ovest del continente, e fin dal 1975 deve tuttavia fare i conti con le grandi differenze tra le diverse realtà che la compongono.
Tuttavia, pur nella difficoltà a ottenere risultati di collaborazione economica, come una moneta unica da tempo auspicata soprattutto da chi vuole lasciarsi alle spalle l’esperienza del franco Cfa, l’organizzazione ha contribuito in diverse occasioni a tutelare governi legittimamente eletti a fronte di colpi di mano, con misure che vanno dalla sospensione dall’Ecowas a sanzioni economiche fino all’intervento militare. Senza andare a pescare esempi remoti, quando tra il 2016 e il 2017 il Gambia entrò in una crisi dovuta al mancato riconoscimento da parte del presidente Yahya Jammeh della sconfitta elettorale avvenuta per mano dello sfidante Adama Barrow, l’Ecowas ebbe un ruolo determinante, minacciando anche un intervento militare. Così, la crisi si risolse e Barrow, regolarmente eletto, divenne presidente. Ma di fronte alla recente serie di golpe, l’Ecowas non ha gestito la situazione con la stessa efficacia e oggi si rischia di trovarsi un nuovo nemico in casa.
Tra il 2020 e il 2022, infatti, Mali, Guinea e Burkina Faso sono stati espulsi dall’organizzazione e, quando quest’anno il Niger si è unito al gruppo di Paesi golpisti, l’Ecowas non sembrava potersi più permettere di lasciar correre di fronte alla rimozione di un capo di Stato regolarmente eletto in un Paese membro: ne veniva a quel punto la credibilità dell’intero blocco regionale. Così, è stato lanciato un ultimatum al Niger con annessa minaccia di intervento militare, durante il quale Mali e Burkina Faso si sono detti pronti a entrare in guerra al fianco di Niamey qualora l’attacco fosse effettivamente partito. Scaduto l’ultimatum senza che il Niger cambiasse la sua posizione, nessun intervento militare ha avuto luogo e nessun risultato è stato raggiunto per altre vie. E l’Ecowas si è trovato forse nella posizione più difficile in quasi 50 anni di esistenza.
Una nuova alleanza
Dopo che Mali e Burkina Faso si erano detti pronti a sostenere militarmente il Niger in caso di intervento Ecowas, il rapporto tra questi tre Paesi si è fatto sempre più stretto, al punto che a settembre, circa un mese dopo lo scadere dell’ultimatum da parte del blocco regionale, i tre Paesi hanno siglato un’alleanza che prevede la difesa comune in caso di aggressione: una sorta di piccola Nato dell’Africa occidentale. Con la differenza che questo piccolo blocco è molto vicino alla Russia, come dimostra il recente viaggio in Burkina Faso del viceministro della Difesa di Mosca Junus-bek Evkurov. Un fatto che sembra destinato ad allontanare qualsiasi intervento, diplomatico o militare, dell’Ecowas e a cambiare il volto del blocco regionale, creando una sorta di nuovo blocco nella regione.
Ma, oltre a questo, l’altra realtà che sta perdendo terreno nella zona sembra essere la Francia, che ha perso una serie di alleati stretti nella regione a causa della serie di golpe e che è stata costretta dunque a ritirare il suo contingente militare dal Niger. Con il timore che altri Paesi, pur senza avvicinarsi alla nuova alleanza, possano approfittarne per allentare i rapporti con Parigi. E che anche in Africa possa nascere un conflitto tra blocchi contrapposti, in un continente già di per sé logorato da crisi profonde.