Invece di lasciarci spiare gratis, cosa accadrebbe se Facebook diventasse a pagamento?
Facebook è nata come una piattaforma del tutto gratuita ma l'ipotesi di un servizio a pagamento potrebbe evitare agli utenti la spiacevole aggressione degli annunci pubblicitari mirati, oltre che pesanti invasioni della privacy
Lo scandalo Cambridge Analytica che ha travolto Facebook non accenna a sgonfiarsi. Si tratta di una delle più vaste violazioni di dati della storia. In questo articolo abbiamo spiegato come cambia Facebook dopo lo scandalo.
Cambridge Analytica, la società coinvolta e legata all’ex consigliere del presidente USA Trump, Steve Bannon, è accusata di aver violato i dati sensibili di oltre 87 milioni di profili Facebook.
La società ha ottenuto i dati personali di un abitante degli Stati Uniti su quattro. Di questi, like, condivisioni, messaggi, preferenze di vario genere sono finiti nei server dell’azienda inglese, e a confermarlo è lo stesso social network, con un post sul blog ufficiale.
E per la prima volta si ha un’idea della dimensione dello scandalo anche in Italia: sarebbero coinvolte potenzialmente 214.134 persone, 57 delle quali hanno installato l’app thisisyourdigitallife.
Attraverso un test di personalità, Cambridge Analytica è riuscita ad accedere a informazioni come la città indicata sul profilo degli utenti o ai contenuti ai quali avevano reagito. Circa 320mila persone sono state pagate tra 2 e 5 dollari per rispondere al quiz, cui si poteva accedere autenticandosi con le credenziali di Facebook. L’app raccoglieva anche altre informazioni, come i like e i dati personali dall’account di Facebook, e pure quelli degli amici di chi si era sottoposto al test.
Un algoritmo intrecciava quindi i risultati del test di personalità con altri dati pubblici sul social network, per tracciare un profilo psicologico estremamente preciso degli utenti: a queste persone erano indirizzati messaggi di propaganda elettorale mirati.
Ma cosa succederebbe se esistesse un modo che impedisca al social network di tracciare ogni nostro singolo movimento online e rendere i nostri dati più sicuri?
Una soluzione potrebbe essere quella che il quotidiano statunitense Washington Post chiama “Facebook Plus”. Ossia un servizio a pagamento.
Facebook è nato come una piattaforma del tutto gratuita e, nonostante più volte in passato siano state diffuse notizie su una possibile conversione a pagamento, le informazioni sono sempre state smentite.
Eppure, l’idea di rendere Facebook a pagamento – con un valore ipotizzato di 7 dollari al mese – non sarebbe poi così negativa.
Basti pensare che questa opzione potrebbe evitare agli utenti la spiacevole aggressione degli annunci pubblicitari mirati, oltre che pesanti invasioni della privacy che hanno dimostrano già i loro effetti devastanti.
Il 21 marzo 2018, per la prima volta da quando è scoppiato lo scandalo Cambridge Analytica, il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg ha ammesso le colpe della piattaforma e ha annunciato alcuni cambiamenti. Ecco quali.
Qui di seguito abbiamo approfondito i vari aspetti sul caso Cambridge Analytica, in relazione al quale ci siamo anche chiesti se fosse arrivata l’ora di cancellarsi da Facebook. (Qui abbiamo invece elencato il modo per cancellare le app che hanno accesso ai nostri dati di Facebook).
Nonostante ciò, l’ipotesi di un servizio a pagamento suona per alcuni ancora irrealistica per un motivo molto semplice: non paghiamo per il prodotto perché noi siamo il prodotto.
Ma se dovessimo attribuirci un valore, e quindi un costo da pagare per utilizzare il social network, quale potrebbe essere?
Nel 2017, Facebook ha raccolto circa 82 dollari in pubblicità per ogni utente iscritto nel nord America.
A livello mondiale la cifra è di circa 20 dollari per utente. Circa 16 euro. Un abbonamento annuale non sarebbe poi così costoso.
Ma da Facebook non la pensano allo stesso modo.
Qualche giorno fa, l’amministratore delegato di Apple, Tim Cook, ha dichiarato che al posto di Zuckerberg non si sarebbe mai trovato in questa sitauzione.
Secondo il ceo di Cupertino “i consumatori possono pagare per proteggere la loro privacy” e “Apple produce prodotti migliori perché li vende direttamente ai consumatori, piuttosto che vendere gli utenti agli inserzionisti”.
Non si è fatta attendere la risposta di Zuckerberg che ha risposto tramite il sito web Vox.
”Se vuoi creare un servizio che aiuti a connettere tutti nel mondo non puoi renderlo a pagamento perché molte persone nel mondo non possono permettersi quel costo. E quindi, come fanno molti altri media, avere un modello supportato da pubblicità è l’unico modo razionale in grado di avere questo tipo di servizio per raggiungere le persone”.
In Italia coinvolti 214.134 profili
In Italia gli utenti coinvolti sono 214.134, a fronte di 31 milioni di account registrati.
Degli 87 milioni di profili complessivamente violati la netta maggioranza, oltre 70,6 milioni, appartiene a utenti statunitensi. Al secondo posto le Filippine con 1,17 milioni, seguite dall’Indonesia con 1,09 milioni, mentre in quarta posizione c’è il Regno Unito, con 1,07 milioni di profili usati impropriamente.
Tutti gli altri Paesi sono sotto il milione di profili violati. Al quinto posto il Messico, con poco più di 700mila profili, quindi il Canada con 622mila, l’India con 580mila, il Brasile con 440mila, il Brasile con 443mila, il Vietnam con 427mila, l’Australia con 411mila.