Caccia alle streghe
Secondo l'Onu ogni anno nel mondo migliaia di presunte fattucchiere vengono impiccate, bruciate vive o torturate
Alcuni giorni dopo la morte di suo figlio, cinque uomini armati di coltelli fecero irruzione a casa di Dini Korul, una donna papuana di oltre cinquant’anni e la trascinarono in un vecchio capanno.
Non trovando altra spiegazione per l’improvviso decesso del ragazzo, gli uomini accusarono la donna di essere una strega e di aver ammazzato il figlio con dei sortilegi.
“Mi presero a pugni, mi spogliarono completamente e mi legarono con delle corde”, racconta Dini. “Poi accesero un grande fuoco e riscaldarono un coltello”.
Con la lama incandescente, iniziarono a marchiare la pelle della donna. Mentre la torturavano e la violentavano con il coltello, le ordinarono di non gridare e di non piangere. Finita la marchiatura, provarono a bruciare il capanno ma il legno bagnato non prese fuoco. Scapparono via, lasciando la donna in preda ad atroci sofferenze, nuda e legata a un palo.
Dini fu trovata giorni dopo da alcune donne del villaggio, in stato d’incoscienza. Restò ricoverata in ospedale per dieci mesi, ma le ferite – fisiche e psicologiche – sono ancora visibili.
Dini Korul è una delle centinaia di donne in Papua Nuova Guinea vittime della moderna “caccia alle streghe”.
Sono passati oltre tre secoli dal noto processo di Salem, in cui 19 donne vennero uccise e una cinquantina furono torturate, ma l’odio verso le streghe è tutt’altro che diminuito.
Secondo gli ultimi studi dell’Onu, ogni anno migliaia di presunte fattucchiere vengono impiccate, bruciate vive, torturate o cacciate via dalla loro comunità.
“In molti Paesi, essere definite una strega equivale ad essere condannate a morte”, ha detto Philip Alston, ex-rappresentante delle Nazioni Unite per le Esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie.
Sono stati documentati casi in tutti i continenti, ma la maggior parte delle persecuzioni avviene in Africa, in America Latina e in alcune isole dell’Oceano Pacifico.
In Tanzania, il Paese in cui si registra il maggior numero di esecuzioni, ogni anno vengono uccise centinaia di donne.
In Ghana esistono dei veri e propri “campi delle streghe”, zone protette in cui vivono migliaia di donne che son state cacciate dalla propria comunità o che hanno cercato rifugio per salvarsi da linciaggi e torture.
In Nepal le fattucchiere sono sottoposte a violenti rituali di esorcismo, spesso in luoghi pubblici.
La maggior parte delle vittime sono vedove, nubili o donne che non vivono con un familiare maschio che possa prendere le loro difese. Secondo un rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, tra le vittime vi sono anche uomini (ma solo in rapporto di uno a sei rispetto alle donne) e moltissimi bambini.
Soprattutto in aree colpite da conflitti e nelle regioni più povere, i minori sono visti con sospetto e diventano spesso il capro espiatorio per tutti i mali del Paese. A Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, si stima che la maggior parte dei 25-50 mila bambini di strada siano stati abbandonati dalle famiglie perché considerati “figli del demonio”.
Le persecuzioni contro le streghe sono spesso promosse da movimenti religiosi di ispirazione cristiana (in particolar modo dalle chiese pentecostali ed evangeliste), che giustificano le violenze in nome della lotta contro il Male. Gli esorcismi sono diventati un vero e proprio business e i preti incaricati di eseguirli ricevono spesso laute ricompense. In alcuni Paesi dell’Africa sub-sahariana la lotta contro le streghe è riconosciuta anche dal sistema giudiziario e la magia nera è considerata un crimine.
La paura e l’odio verso le streghe spesso si associano alla violenza di genere.
La Papua Nuova Guinea, ad esempio, è uno dei Paesi più pericolosi al mondo per le donne.
“La maggior parte delle donne in Papua Nuova Guinea sarà vittima di stupri o violenze nell’arco della sua vita, e il governo non riesce a garantire nessuna giustizia per le vittime”, ha detto Elaine Pearson, direttrice per l’Australia di Human Rights Watch.
Non è un caso dunque che in Papua Nuova Guinea la caccia alle streghe sia particolarmente violenta e brutale.
Nel 2013, Kepari Leniata – una donna di appena vent’anni – fu denudata e bruciata viva a Mount Hagen, la terza città della Papua Nuova Guinea. Poco dopo, l’insegnante Helen Rumbali fu decapitata in pubblico. Entrambe le donne erano state accusate di stregoneria.
Basta poco per attirare su di sé i sospetti: calamità naturali, morti improvvise ed epidemie sono spesso attribuite a forze soprannaturali e spiriti maligni. Quasi nessun caso viene investigato e una legge che giustificava atti di violenza compiuti contro le streghe è stata abolita soltanto nel 2013.
Il mese scorso un’epidemia di morbillo ha scatenato il panico a Enga, una provincia della Papua Nuova Guinea. Quattro donne sono state accusate di aver scatenato l’epidemia attraverso dei sortilegi.
Ma in un raro caso di tempestivo intervento, un gruppo di missionari – con l’aiuto della polizia locale – sono riusciti a salvare le donne e a convincere gli abitanti del villaggio delle cause naturali della malattia.
Numerose associazioni e difensori dei diritti umani hanno cercato di intervenire per proteggere presunte streghe e per chiedere al governo di investigare i casi di violenze contro le donne.
L’attivista Monica Paulus da anni lavora in Papua Nuova Guinea per proteggere Dini Korul e le altre donne accusate di stregoneria, offrendo loro cure mediche, un rifugio sicuro e l’appoggio legale per sporgere denuncia contro chi le ha attaccate.
“Ho una profonda compassione per le donne che sono accusate di avere poteri magici”, racconta Monica, che alcuni anni fa ha perso tutti i suoi possedimenti poiché lei stessa era stata tacciata di essere una strega.
A causa del suo lavoro, Monica ha ricevuto numerose minacce: “Dicono che aiuto le streghe e vengo stigmatizzata per questo. Ma sto solo cercando di aiutare donne e bambini innocenti”, dice Monica.
“Le presunte streghe sono vittime di abusi orrendi e lo stigma colpisce anche i loro figli. Ho visto bambini isolati dalle comunità, abbandonati e discriminati. Conosco bene questa sofferenza ed è per questo che voglio aiutarle”.