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Home » Esteri

Come Bruxelles è diventata una roccaforte dello jihadismo in Europa

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Dopo l'attentato del 22 marzo a Bruxelles, ecco quali sono stati i passi che hanno portato il Belgio a essere un terreno fertile per l'estremismo islamico

Il 22 marzo del 2016 oltre 30 persone sono morte in un duplice attentato avvenuto a Bruxelles e che ha coinvolto l’aeroporto di Zaventem e la stazione della metropolitana di Maelbeek, a poche centinaia di metri dalla sede della Commissione europea.

Un attentato che arriva circa quattro mesi dopo gli attacchi Parigi del 13 novembre 2015 e dopo oltre un anno da quelli contro la redazione di Charlie Hebdo, sempre a Parigi.

Come hanno rivelato le indagini successive a questi eventi, tutti i jihadisti coinvolti negli attentati erano strettamente legati al Belgio.

Nel gennaio del 2015, infatti, in Belgio si svolse un’operazione antiterrorismo che portò a sgominare la cosiddetta cellula di Verviers, un gruppo estremista considerato legato all’Isis e che, secondo quanto ritengono gli inquirenti, sarebbe stata coordinata a distanza da Abdelhamid Abaaoud, terrorista belga anche lui che in quel momento si sarebbe trovato ad Atene.

Lo stesso Abaooud è considerato dagli inquirenti la mente degli attentati di Parigi del 13 novembre del 2015. Anche in quell’occasione si notò come numerosi dei terroristi coinvolti fossero legati al Belgio.

Tra i terroristi morti durante la strage e nel successivo assedio di Saint-Denis, due erano cittadini belgi e due francesi che risiedevano in Belgio. Uno di questi era Brahim Abdeslam, fratello di Salah Abdeslam, terrorista sopravvissuto durante l’attentato del 13 novembre e fuggito proprio in Belgio il giorno successivo all’attentato.

Sempre in Belgio Abdeslam ha trovato rifugio per quattro mesi, fino al suo arresto avvenuto il 18 marzo del 2016. Mesi durante i quali le autorità belghe hanno compiuto numerose retate in diversi distretti di Bruxelles, primo tra tutti quello di Molenbeek, che ospita la più numerosa comunità musulmana del paese.

Ma come mai i jihadisti hanno trovato un simile terreno fertile a Bruxelles, nel cuore dell’Unione europea e delle sue istituzioni?

MOLENBEEK

Il distretto di Molenbeek – raccontato da Davide Lerner per TPI, che lo ha visitato nei giorni successivi agli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 – nasce come una zona residenziale borghese a ovest del centro di Bruxelles, e non si presenta in maniera particolarmente diversa da altri distretti della zona.

Ma nonostante il quartiere mostri nelle fattezze dei suoi edifici questa sua origine borghese, da anni è un quartiere costretto ad affrontare problemi di povertà, disoccupazione e tossicodipendenza, che in questo distretto sono particolarmente diffusi.

A Molenbeek, i musulmani rappresentano circa il 25-30 per cento della popolazione. In un contesto sociale complesso come quello del distretto, con scarse opportunità dal punto di vista sia della formazione che nel lavoro, si rischia facilmente di sfociare in tensioni sociali.

E, come ha riferito un ragazzo del quartiere al quotidiano francese Le Monde, in una zona in cui i giovani si sentono ignorati e per avere opportunità devono recarsi altrove, qualcuno ha deciso di andarsene in Siria.

A questo poi si aggiunge una difficoltà da parte della polizia di monitorare al meglio la zona. Le forze dell’ordine sono formate principalmente da uomini bianchi, che hanno una connessione estremamente labile con la vita di questo distretto e che spesso neanche si coordina al meglio, complice il bilinguismo del Belgio, come ha notato il quotidiano statunitense New York Times in un reportage su Molenbeek.

Non è un caso che nei giorni successivi agli attentati di Parigi del 13 novembre, il ministro dell’Interno belga abbia riconosciuto che il governo non ha il controllo sul distretto di Molenbeek.

LA DIVISIONE DEL BELGIO

Il Belgio è diviso tra due comunità: quella di lingua fiamminga, che abita le Fiandre – a nord -, e quella di lingua francese, che abita i Valloni, a sud. La capitale, Bruxelles, si trova esattamente al centro di queste due aree e ospita persone di entrambe le lingue. Al confine con la Germania è presente anche una ben più esigua minoranza di lingua tedesca.

Non si tratta di un semplice federalismo come avviene altrove: in Belgio esistono partiti fiamminghi e partiti valloni, per dirne una. Tutto è diviso tra le due comunità, che molto spesso fanno vite completamente separate e hanno un semplice coordinamento a livello nazionale.

Una divisione pesantemente esasperata nel periodo della crisi politica che tra il 2007 e il 2011 ha colpito il Belgio, rimasto per ben 541 giorni senza un governo a causa anche dei veti incrociati dei partiti fiamminghi e valloni. Una crisi che ha portato al concreto rischio della fine dell’esistenza dello stato del Belgio e la sua secessione in due paesi.

In un simile contesto di totale divisione, la comunità musulmana, composta in stragrande maggioranza da immigrati che, anche se residenti in Belgio da generazioni, non sono né fiamminghi né valloni, non ha trovato il terreno fertile per una reale e completa integrazione.

Il tutto acuito dal fatto che la maggior parte della comunità musulmana del Belgio si trova nelle regioni francofone, meno ricche di quelle fiamminghe.

Tuttavia, anche nel pieno della crisi politica del Belgio, il parlamento del paese è stato in grado, nel 2010, di votare una legge contro il velo integrale usato dalle donne musulmane. Una misura che, come riportato da un sondaggio pubblicato dalla rivista tedesca Der Spiegel, è stata vista come un affronto alla comunità islamica del paese.

IL COLLEGAMENTO TRA BRUXELLES E LA SIRIA

Come abbiamo visto, i problemi sociali di alcune aree di Bruxelles e dintorni, prima tra tutti Molenbeek, hanno contribuito alla radicalizzazione della popolazione musulmana che vi abita, specialmente i giovani.

In questo contesto sono nate organizzazioni come Sharia4Belgium, dal febbraio 2015 considerata a tutti gli effetti un’organizzazione di tipo terroristico dalla magistratura belga, e che secondo numerosi analisti avrebbe provveduto a creare un canale di collegamento tra gli aspiranti jihadisti del Belgio e i miliziani islamisti che stavano combattendo la guerra civile in Siria.

Un contesto come questo ha portato il Belgio a essere la patria di circa 500 foreign fighters impegnati nella guerra in Siria: il numero più alto in proporzione alla popolazione (il Belgio ha 11 milioni di abitanti) per un paese europeo a maggioranza cristiana.

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