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Brexit, il tempo stringe ma la soluzione resta lontana

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Credit: Afp/Alberto Pezzali/NurPhoto

"Se lasciassimo che i britannici possano scegliere quale dei nostri regolamenti seguire, questo avrebbe conseguenze gravi, sarebbe la fine del mercato unico e del progetto europeo", ha affermato di recente il responsabile dei negoziati Michel Barnier

Mentre il Parlamento britannico è tornato al lavoro questa settimana dopo la pausa estiva, la sfida per la premier Theresa May appare tutt’altro che semplice. Deve terminare di negoziare un accordo di ritiro con l’Unione europea nei prossimi mesi oltre a convincere le due fazioni del suo partito – quella “euroscettica” e quella “europeista” – che la strada imboccata sia quella giusta.

Con una strategia che è una via di mezzo fra le diverse correnti, in diversi punti del piano di uscita appaiono scontente ambedue le fazioni. Se per gli euroscetticinel post-Brexit rimarrebbero troppi legami con Bruxelles a discapito della piena sovranità da riconquistare, per gli europeisti ne rimarrebbero troppo pochi.

Il gruppo anti-Ue nel Partito conservatore ha già condannato la proposta negoziata e poi concordata dal suo governo a luglio nella residenza di Chequers, sostenendo che lascerebbe il Regno Unito in balia della Corte di Giustizia Europea e dei regolamenti dell’Ue anche dopo la data di abbandono.

Con l’inesorabile scorrere dell’orologio, senza che nulla di concreto sia stato ancora raggiunto, sia l’Unione europea che il Regno Unito hanno accelerato i preparativi nel caso in cui i colloqui si concludano senza un accordo.

Uno scenario che causerebbe, quantomeno nell’immediato, lunghi ritardi e controlli sul commercio fra le due sponde della Manica. Se infatti, prima, il “no-deal” era solo una remota possibilità, ultimamente se n’è parlato sempre più a voce alta.

Il round di colloqui della scorsa settimana è apparso più positivo del solito, anche se le divergenze restano.

Michel Barnier, il capo negoziatore dell’Ue, e il ministro britannico per la Brexit, Dominic Raab, hanno tenuto dei colloqui a Bruxelles, concentrandosi sulla risoluzione delle restanti questioni nell’accordo di ritiro e sulla definizione delle future relazioni economiche che saranno negoziate nello specifico dopo che Londra  sarà uscita dal blocco.

Ciò dovrebbe avvenire durante il periodo di transizione di 21 mesi in cui le relazioni economiche rimarrebbero immutate, con il Regno Unito dentro l’Unione ma senza rappresentanza politica.

Di recente Barnier ha sottolineato i progressi compiuti nelle trattative, anche sulle future relazioni nei delicati ambiti di sicurezza, scambio di informazioni, accordi di estradizione, lotta comune contro il riciclaggio di denaro e terrorismo.

Sui termini dell’uscita, lo stesso Barnier ha espresso ottimismo, dichiarando che le posizioni si stanno avvicinando. Dichiarazione a vantaggio forse più per i mercati e l’opinione pubblica: persino la sterlina ha dato fiducia alle parole del francese con un’effimero apprezzamento nel suo valore.

Nonostante i progressi però, restano da risolvere grandi problemi sui termini della Brexit, specie su come evitare un confine fisico fra l’Irlanda del Nord, che fa parte del Regno Unito, e la Repubblica d’Irlanda.

“Senza questo accordo, non ci sarà accordo” ha evidenziato Barnier in più di un’occasione.

Il capo negoziatore ha dichiarato la scorsa settimana che l’Ue è pronta a offrire a Londra una partnership senza precedenti, come nessun altro Paese extra-Ue ha mai ottenuto prima.

Tuttavia i funzionari europei continuano a respingere le parti chiave della proposta del Governo May per le future relazioni economiche, in cui Londra rimarrebbe effettivamente parte del mercato unico europeo per le merci, pur avendo la libertà di stabilire per sé regole indipendenti sui servizi.

Tale accordo impegnerebbe il Regno Unito a rispettare le norme dell’Ue per gli scambi di merci e prodotti agricoli, eliminando la necessità di controlli doganali e contribuendo a evitare il bisogno di ripristinare un confine fisico nell’isola d’Irlanda.

Da Bruxelles affermano che la proposta britannica sarebbe costosa per l’economia dell’Unione europea, dando alle imprese britanniche un vantaggio competitivo perché consentirebbe loro di poter attuare la politica dei due forni, cioè commerciare con l’Ue e con il resto del mondo con differenti regole, mentre alle imprese europee questo è attualmente precluso.

Dal continente hanno rimarcato spesso come il Regno Unito non possa scegliere l’accesso al mercato unico aderendo solo alle regole e ai principi dell’Ue che gli fanno comodo.

“Se lasciassimo che i britannici possano scegliere quale dei nostri regolamenti seguire, questo avrebbe conseguenze gravi, sarebbe la fine del mercato unico e del progetto europeo”, ha affermato di recente Barnier in un’intervista al quotidiano economico tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung.

La ragione è semplice da prevedere, ossia che, concedendo la scelta selettiva a uno Stato, altri dell’Unione Europea ne potrebbero seguire l’esempio.

Come detto, Londra e l’Unione restano divisi sulla questione del confine irlandese, con i funzionari dell’Ue che chiedono al Governo May di garantire che l’Irlanda del Nord, ma non il resto del Regno Unito, rimanga soggetta a molte regole dell’Ue dopo la Brexit con un ampio accesso al mercato unico.

Londra risponde che, almeno nel breve termine, tutto il Regno Unito dovrebbe godere di questo status, e che dopo si vedrà. Problema, come al solito, rinviato.

Ultimamente i ministri del Governo May si sono mossi fra una capitale europea e l’altra per cercare di trattare e convincere i differenti governi ad ammorbidire la loro posizione nella questione Brexit. Posizione che anche in passato non ha pagato tanto, con l’unità e la fermezza dei 27 Paesi restanti manifestata in ogni passaggio dei negoziati.

Per May, la prossima grande sfida potrebbe arrivare alla conferenza del Partito conservatore che inizierà alla fine di settembre: i fari saranno puntati sul faccia a faccia con le diverse posizioni del partito sul tema caldo della Brexit.

La tattica da seguire per la premier potrebbe essere quella di rimanere vaga su tutti punti, cosa che sinora le ha salvato la scrivania a Downing Street.

Il non fornire spiegazioni dettagliate sul piano le ha finora garantito il timone del Governo, poiché tutte le volte che in cui si è stati più specifici e dettagliati, le proteste si sono moltiplicate da tutti i fronti. Ma meno tempo si ha a disposizione e più la richiesta dei dettagli sul futuro è insistente.

Risposte attese dall’Unione europea, dalle due fazioni del Partito conservatore, dalle quattro nazioni del Regno Unito, dal Parlamento che dovrà approvare l’eventuale trattato e dalla comunità internazionale. Ma più sarà specifica nei piani e più le divisioni saranno ampie. Qualcuno bisognerà pur scontentare. Intanto il tempo passa e la scadenza si avvicina, ma la cera si consuma e la processione non cammina.

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