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Cosa prevede la proposta di Theresa May per il post-Brexit

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Theresa May è premier del Regno Unito dal luglio 2016. Credit: AFP PHOTO / Ludovic MARIN

La premier spinge per un'area di libero scambio, fra chi si oppone nel suo governo e lo scetticismo dell’Unione Europea

In un documento lungo tre pagine, il governo guidato dalla premier Theresa May ha messo nero su bianco quella che, dopo oltre due anni dal referendum, dovrebbe essere una posizione unica su cosa chiedere all’Unione europea nelle trattative di divorzio. Trattativa alla quale, per più di due anni, Londra non è stata in grado di presentarsi con una voce unica e chiara su cosa intende chiedere per il post-Brexit.

C’è quindi attesa per il “libro bianco” di circa cento pagine che verrà presto reso noto per comprenderne i dettagli e capire se l’Unione ne possa accettare le richieste. Theresa May ha ottenuto l’appoggio, quantomeno apparente, della sua squadra di governo.

Il documento ha provocato le dimissioni del segretario di stato britannico con delega alla Brexit, David Davis, che giudica la linea di May troppo morbida.

Di seguito abbiamo riassunto i punti principali del testo.

L’equilibrio fra le diverse visioni post-Brexit e la minaccia di rimuovere i dissidenti

Nel documento May punta a tenere a bada il partito conservatore da imboscate sulla sua leadership, e con un occhio rivolto a Bruxelles, che in più di un’occasione non ha mancato di far capire che la pazienza al riguardo stia per finire.

La premier è stata chiarissima, minacciando che potrebbe d’ora in poi allontanare dal governo chi ostacoli il piano. Il ministro degli esteri Boris Johnson è avvisato.

Quello che dovrebbe venir fuori, è un modello molto simile a quello della Norvegia, anche se in maniera annacquata,  paese fuori dall’Ue ma dentro all’Area Economica Europea.

Il governo May vorrebbe richiedere di poter mantenere l’accesso al Single Market per i beni industriali e agricoli, creando un’area di libero scambio fra Unione europea e Regno Unito.

In questo caso il Regno Unito manterrebbe gli standard imposti dall’Ue, non scriverebbe le regole ma le applicherebbe e basta, e in caso di disputa propone una speciale commissione composta da esponenti dei due blocchi per dirimere eventuali questioni.

In tal modo, la Corte di Giustizia Europea non sarebbe al di sopra della Corte britannica, punto chiave dei Brexiteers più intransigenti.

L’accordo doganale fra Regno Unito e Unione europea

Per quanto riguarda le dogane, Londra offre di accogliere nei propri porti le merci destinate all’Unione Europea, esattamente come avviene oggi. Cambierà però il regime tariffario.

Per le merci destinate verso il Vecchio Continente verrebbero applicate le tariffe “comunitarie”, mentre per quelle destinate a rimanere nel  Regno Unito verrebbe adottata la relativa tariffa, magari differente poichè figlia di una diversa politica commerciale.

Questo vedrebbe quindi il Regno Unito incassare le sue tariffe e destinare quelle dovute a Bruxelles separatamente in base al flusso delle merci.

In tal modo, fuori dalla Custom Union Europea, Londra potrebbe definire trattati commerciali differenti senza essere legata all’Unione europea, che tratta la politica commerciale di tutti gli stati membri e che parla al mondo del traffico merci con una voce sola.

L’incognita del settore servizi, vero motore dell’economia

Da definire il settore dei servizi, comparto che da solo conta per circa l’80 per cento dell’economia di Sua Maestà. In questo settore si propone una flessibilità, tutta da vedere, che vorrebbe Londra dentro al mercato dei servizi europeo ma da esterno e con una regolamentazione flessibile.

Questo punto dovrebbe essere rigettato con forza da Bruxelles, che difficilmente mollerà sui quattro cardini intoccabili dell’Ue: libertà di circolazione per servizi, capitali, merci e persone.

Il controllo delle acque, dell’agricoltura e delle frontiere

Sulla libertà di circolazione dei cittadini, il governo britannico propone accordi e facilitazioni per turisti, studenti e lavoratori in una cornice legislativa flessibile.

Qualcuno dall’Unione Europea ha commentato maliziosamente che il Regno Unito aprirebbe all’immigrazione solo per motivi di necessità, e non per tutti, esclusi quelli già residenti.

Sul settore della pesca, Londra tramite il ministro competente Micheal Gove punta a riprendere il controllo delle proprie acque, mentre lo stesso ministro chiede di integrare nel libero transito i beni agricoli con controllo pieno della politica agricola, adesso regolamentata dalle istituzioni comunitarie. Punto di non facile convergenza, considerata la difesa del settore da parte di Bruxelles, e che rappresenta la voce più cospicua del suo bilancio.

L’accordo per la creazione di un’area di libero scambio darebbe la possibilità di evitare la ricomparsa di un confine fisico con l’Irlanda e far rivivere il fantasma di un’isola tagliata in due fra unionisti britannici e irlandesi repubblicani, salvaguardando quindi il flusso di merci e persone fra le due aree.

Il confine irlandese

Tema sensibilissimo quello irlandese, visto come una vera e propria spina nel fianco nelle trattative, in cui una non chiara soluzione potrebbe mettere a rischio l’accordo di pace, il noto God Friday Agreement, firmato esattamente vent’anni fa che pose fine a una pagina tristissima della storia britannica-irlandese.

L’unita dei 27 membri europei e le divisioni nel governo May

Bisognerà capire se Michel Barnier, che rappresenta i 27 stati rimanenti nell’Unione europea, darà disco verde all’accordo che verrà proposto, cercando di armonizzare le differenti posizioni degli stati al riguardo ma che sino ad oggi si sono mostrati compatti in ogni passo della trattativa.

Il governo May, invece, dopo due anni ancora non ha una posizione unica al riguardo: l’esecutivo è polarizzato tra chi vuole un taglio netto e chi vuole mantenere un piede dentro il continente, e fra chi crede in Theresa May e chi invece la vorrebbe spodestare dal numero 10 di Downing Street.

Una cosa appare certa, ossia che la linea dell’Unione europea sarebbe sempre la solita: niente scelte selettive da Londra e non una posizione conveniente nel dopo-Brexit tanto quanto sarebbe il rimanerne membri effettivi.

Il perché è semplice: troppe concessioni potrebbero tentare altri stati a seguirne la strada. Conti ancora da fare con l’oste, quello che ha più potere negoziale, e l’osteria sta proprio a Bruxelles.

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