Mauritania, arrestato l’attivista che si batte contro la schiavitù e candidato alle presidenziali 2019
Biram Dah Abeid, conosciuto come il Gandhi mauritano, è stato prelevato dalla sua abitazione nel sobborgo meridionale di Nouakchott alle 5.30 del mattino di martedì 7 agosto
Biram Dah Abeid è stato arrestato alle prime ore dell’alba di martedì 7 agosto 2018.
Biram è il leader dell’Ira (Initiative de résurgence du mouvement abolitionniste), un movimento che si batte per l’abolizione della schiavitù in Mauritania, ed è candidato alla presidenza della Mauritania nelle elezioni che si terranno nel 2019.
Nel 2012 è salito alla ribalta grazie ad un gesto eclatante: ha bruciato pubblicamente alcuni libri pseudo-islamici, che indottrinavano gli schiavi ad essere fieri della loro condizione. Quel gesto gli è costato la galera e incredibili violenze.
Il prestigioso settimanale statunitense Time nel 2017 lo aveva inserito tra i cento uomini più influenti al mondo e la sua azione negli anni è stata talmente incisiva da essere definito il “Gandhi mauritano”.
Biram Dah Abeid è stato prelevato dalla sua abitazione nel sobborgo meridionale di Nouakchott alle 5.30 del mattino. Stando alle prime ricostruzioni, l’accusa nei suoi confronti si baserebbe su una denuncia sporta da un giornalista che sostiene di aver ricevuto minacce dal leader dell’Ira.
L’arresto è stato percepito dai suoi sostenitori come un tentativo di ostacolare l’organizzazione delle elezioni e di intimidire un candidato che disturba il potere.
Biram Dah Abeid e il suo movimento hanno stretto un’alleanza con il partito nazionalista arabo Sawab per partecipare alle prossime elezioni regionali e locali e legislative il primo settembre 2018.
Nonostante l’arresto, il vicepresidente di Sawab, Oumar Yally, ha ribadito la determinazione della coalizione a voler partecipare alle elezioni: “Siamo determinati ad adottare tutte le misure possibili e legali per continuare il processo democratico”, ha detto.
Abeid in passato è stato arrestato più volte per il suo attivismo ed era stato rilasciato l’ultima volta a maggio 2016.
Destinatario del prestigioso premio per i diritti umani delle Nazioni Unite, l’uomo è famoso a livello internazionale per la lotta contro la schiavitù basata sulla casta in Mauritania.
Essendo egli stesso un ex schiavo, il governo mauritano ha ripetutamente tentato di zittire lui e altri attivisti tramite una sistematica e brutale repressione del movimento contro la schiavitù.
Abeid è stato precedentemente arrestato nel 2010 e nel 2012. Ha ricevuto la condanna a morte nel 2012 per aver bruciato l'”Abrégé de Khalil” (interpretazione non sacra dell’Islam). È stato nuovamente arrestato durante una marcia pacifica di protesta nel novembre 2014, solo pochi mesi dopo essere arrivato secondo alle elezioni presidenziali in Mauritania.
Più di 29 milioni di persone vivono oggi in una forma di servitù forzata nel mondo, ma in nessun luogo la schiavitù è prevalente come in Mauritania, anche se, sulla carta, il paese ha ufficialmente criminalizzato la schiavitù con una legge del 2007.
In Mauritania ci sono circa 700mila persone costrette a vivere alle dipendenze di un padrone ed è un numero enorme, soprattutto se si considera che il Paese ha poco meno di 3 milioni e mezzo di abitanti.
Gli schiavi sono haratin, il gruppo etnico che rappresenta il 40 per cento della popolazione, hanno la pelle nera e subiscono ogni forma di sopruso fisico e psicologico.
Ultimamente, però, qualcosa nella società mauritana sta cambiando: molti stanno cominciando a ribellarsi e a fuggire.
Intorno al consolidamento della pratica schiavistica si reggono interessi ancestrali che supportano il potere di Mohamed Ould Abdel Aziz, giunto per la prima volta al comando all’indomani di un colpo di stato militare nel 2008.
Appena l’anno prima, tra l’altro, era stata approvata dal parlamento mauritano una legge che dichiarava la schiavitù per la prima volta un reato “penale”.
Solo nel 2014, il 12 agosto, il parlamento ha ufficialmente previsto di raddoppiare la pena per i colpevoli di reato di schiavitù – fino a 20 anni di carcere – garantendo alle vittime, sulla carta, processo regolare ed assistenza legale gratuita.