Beirut, un anno dopo. “Quella maledetta esplosione ha ucciso nostra figlia e distrutto la nostra casa”
Il 4 agosto del 2020 una delle più potenti esplosioni non nucleari della storia devasta il porto di Beirut e interi quartieri della capitale libanese facendo oltre 200 vittime e 7mila feriti, costringendo 300mila persone ad abbandonare le proprie case, distrutte o fortemente danneggiate da un impatto esteso fino a 20 chilometri di distanza. L’esplosione è stata causata dalla detonazione di 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio rimaste apparentemente incustodite per anni in un magazzino del porto.
Da più parti si è invocata l’apertura di una inchiesta internazionale indipendente. Ma finora le indagini sono quelle svolte dalle autorità libanesi, da febbraio guidate dal giovane giudice Tareq Bitar, subentrato al più esperto procuratore Fadi Sawan, rimosso dal suo incarico su forti pressioni politiche dopo che aveva incriminato tre ex ministri.
“Non dimenticheremo quel 4 agosto, ho perso mia figlia Cidra quel giorno, aveva 16 anni. I miei figli hanno sempre paura, anche di andare in cucina da soli. Siamo tutti stanchi, mentalmente stanchi. Tutta la famiglia è stanca”, racconta Farid, un papà libanese, in una testimonianza raccolta da Save The Children e pubblicata in esclusiva da TPI.
E mentre è montata in questi mesi e settimane la frustrazione e la rabbia dei familiari delle vittime, il Libano è ogni giorno sempre più in ginocchio: il sistema bancario è fallito dal 2019 ed è ormai cronica l’assenza di benzina, elettricità e medicinali. Le Nazioni Unite stimano ad oltre 350 milioni di dollari gli aiuti d’emergenza per la popolazione che si tenteranno di raccogliere nella Conferenza Internazionale organizzata per dopodomani dalla Francia e dall’Onu.