La battaglia interna di Theresa May
La premier britannica si trova a fronteggiare la crescente impopolarità che la circonda all’interno del suo stesso partito
Se sul fronte esterno, guardando verso Bruxelles, le negoziazioni per la Brexit pare non stiano andando come si ci aspettava, sul fronte interno Theresa May deve fronteggiare la crescente impopolarità che la circonda all’interno del suo stesso partito.
Di recente, durante la visita in Giappone, May ha affermato che non solo porterà a termine la missione Brexit, ma che alla scadenza naturale del suo mandato al timone del governo, non esclude di correre nuovamente alle prossime elezioni politiche nel 2022.
Una mossa che ha spiazzato non di poco i senior dei Tories, che masticano amaro dalle ultime elezioni, facendo pesare alla prima ministra di aver dilapidato la maggioranza conquistata da David Cameron nel 2015.
Il parlamento avrà inoltre l’ultima parola sui patti che David Davis, capo negoziatore Brexit, porterà – o forse non porterà – da Bruxelles.
L’assemblea è composta per oltre metà da parlamentari di sponda Remain, che adesso sono sì impegnati nel far rispettare l’esito referendario, ma in una versione ammorbidita che non tagli di netto la relazione quarantennale con la Ue, in primis sull’aspetto degli scambi commerciali.
Il partito laburista ha inoltre messo in forte difficoltà la già esigua maggioranza parlamentare del governo, facendo sapere che, anche se l’esito del referendum deve essere rispettato, questo non significa avere un assegno in bianco su quale genere di Brexit puntare.
Keyr Starmer, segretario Brexit nello shadow cabinet (il governo ombra dell’opposizione), ha dichiarato che il suo partito punta a ottenere dall’Ue un periodo di transizione post-Brexit per evitare il peggio, e che si batterà affinché il Regno Unito rimanga all’interno dell’unione doganale e del mercato comune europeo, sponsorizzando quindi la soft Brexit, un’uscita che tiene comunque un piede dentro l’Ue.
Questo appare un forte richiamo verso tutti i parlamentari conservatori scontenti di come il governo e il suo delegato David Davis stiano gestendo l’affare a Bruxelles. Fare fronte comune con i laburisti per ottenere una soft Brexit appare più che una semplice tentazione.
A ottobre 2017 si terrà il congresso del partito conservatore, una tappa fondamentale che farà da termometro alla salute del gruppo e alla fiducia nel suo leader.
Il Sunday Times svela che sarebbero 25 i parlamentari pronti a firmare un documento per spodestare la May dalla guida del partito e, di conseguenza, del governo. La soglia minima per riaprire la corsa alla leadership è di 48 parlamentari, e se raggiunta si riaprirebbero da subito le danze.
Fra i probabili successori futuri, i nomi più accreditati sono quelli di David Davis, attualmente Ministro per la Brexit, Boris Johnson, ministro per gli Esteri, Amber Rudd, l’attuale ministro dell’Interno, e l’euroscettico Jacob Ress-Mogg.
Quest’ultimo, il meno popolare fra i colleghi parlamentari, è quello che più piace alla base del partito, dettaglio non da poco.