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Bangladesh, la premier Sheikh Hasina fugge in India dopo mesi di proteste: l’esercito annuncia un governo ad interim

Immagine di copertina
Credit: AGF

Quasi 300 persone sono morte durante le manifestazioni di studenti e disoccupati represse nel sangue. Ma i gruppi che guidano la protesta sono contrari a un golpe militare: “Non è una soluzione”

La premier del Bangladesh, Sheikh Hasina, si è dimessa oggi a seguito di diverse settimane di proteste represse nel sangue dal suo governo, al potere dal 2009, fuggendo in elicottero in India, dopo che migliaia di manifestanti hanno fatto irruzione nella sua residenza ufficiale nella capitale Dacca. Intanto l’esercito ha assunto il potere, annunciando la formazione di un governo militare ad interim, già contestato dai dimostranti.

Cosa è successo in Bangladesh?
Le proteste erano cominciate lo scorso mese quando l’Alta Corte di Dacca aveva reintrodotto un controverso sistema di quote di assunzioni all’interno della pubblica amministrazione che favoriva i figli dei veterani della guerra di indipendenza dal Pakistan del 1971. Allora in migliaia erano scesi in strada per contestare la decisione, che in un Paese con altissimi livelli di disoccupazione giovanile limitava ulteriormente l’accesso ai posti di lavoro pubblici, i più ambiti soprattutto dai più istruiti, e non per motivi di merito ma per una sorta di diritto di nascita.

Il governo di Sheikh Hasina ha risposto chiudendo le università e schierando la polizia e l’esercito per reprimere i cortei, arrivando persino a imporre un coprifuoco a livello nazionale a bloccare l’accesso e il segnale telefonico e Internet. Quasi 300 persone sono rimaste uccise durante gli scontri tra la polizia e i dimostranti e migliaia sono state arrestate.

La situazione sembrava essersi calmata dopo il 21 luglio, quando la suprema corte del Bangladesh stabilì che le quote di assunzione nella pubblica amministrazione riservate a determinate categorie dovevano essere ridotte dal 30% al 5%, limitando al solo 3% quelle destinate ai figli dei veterani della guerra di indipendenza.

Tuttavia le proteste non si sono fermate, arricchendosi di nuove rivendicazioni, tra cui un’inchiesta per accertare le responsabilità delle violenze durante la repressione delle manifestazioni e le dimissioni della premier Sheikh Hasina, che aveva invece promesso “una risposta dura”, definendo i dimostranti “criminali e sabotatori”.

La situazione è precipitata nelle ultime ore. “Questa rivolta studentesca-cittadina continuerà fino alla caduta di Sheikh Hasina”, aveva annunciato ieri sera sui social il coordinatore della protesta, Asif Mahmud. “Domani è il giorno della ‘Marcia verso Dacca’. Andate a Dacca adesso per assistere alla storia. Unitevi alla lotta finale”.

Per tutta risposta, il governo aveva annunciato un coprifuoco a livello nazionale, i carri armati dell’esercito e i veicoli corazzati della polizia erano stati schierati nella capitale insieme a centinaia di pattuglie appiedate, bloccando di fatto quasi tutto il traffico civile, a parte qualche motocicletta e taxi a tre ruote.

Questo massiccio schieramento delle forze di sicurezza, secondo il quotidiano locale Prothom Alo, non ha però impedito a migliaia di persone di fare irruzione nella residenza ufficiale della premier Sheikh Hasina a Dacca dopo la fuga della leader della Awami League, scappata in elicottero e atterrata poco dopo nella città di Agartala, nel nord-est dell’India, dove il governo di New Delhi del premier Narendra Modi sembra disposto a offrirle un passaggio sicuro.

Una fuga che non ha calmato gli animi. “Ha ucciso il nostro Paese, ucciso la nostra economia e ucciso il nostro popolo”, ha commentato Akter in un’intervista all’emittente al-Jazeera il presidente della Federazione dei lavoratori dell’abbigliamento Sommilito, Nazma Akter, uno dei più importanti del principale settore dell’economia privata nazionale, che ha definito “vergognoso” l’epilogo della vicenda politica della premier. “Non ama il Paese, ha approfittato e abusato del suo potere, e questo è davvero spiacevole”.

Chi è Sheikh Hasina?
Un tempo considerata una ‘“icona della democrazia” in Bangladesh per la sua lotta contro il regime militare del dittatore Hossain Mohammad Ershad, negli ultimi anni la leader del partito Awami League è stata accusata di aver assunto un atteggiamento sempre più “autoritario” e di aver violato i diritti umani e la libertà di espressione e di aver represso l’opposizione.
Al potere dal 2009, la 76enne ha conquistato il suo ultimo mandato, il quarto consecutivo, soltanto nel gennaio di quest’anno durante un’elezione molto contestata visto il boicottaggio del principale partito di opposizione, il Bangladesh Nationalist Party (BNP) e la bassa affluenza popolare alle urne.

Nata nel 1947 nel sud-ovest del Bangladesh, che allora era ancora noto come “Pakistan orientale”, Sheikh Hasina è figlia del padre fondatore del Paese, lo sceicco Mujibur Rahman, che guidò l’indipendenza del Bangladesh da Islamabad nel 1971.

Dieci anni dopo, la leader della Awami League si unì al suo principale avversario politico, il capo del BNP ed ex primo ministro Khaleda Zia, per guidare una rivolta popolare che rovesciò la dittatura militare nel 1990.

Diventata per la prima volta primo ministro nel 1996, cinque anni dopo perse le elezioni proprio contro Khaleda Zia. Entrambi finirono poi in carcere con l’accusa di corruzione nel 2007, a seguito di un golpe sostenuto dai militari. L’anno successivo però fu liberata, vinse le elezioni con una larghissima maggioranza e da allora è sempre rimasta al potere. Fino ad oggi.

Cosa succederà ora in Bangladesh?
La fuga della premier ha di nuovo lasciato spazio ai militari, che hanno annunciato la formazione di un governo ad interim. In un discorso rivolto questa mattina alla nazione, il generale Waker-Uz-Zaman, capo di stato maggiore dell’esercito, ha confermato le dimissioni di Sheikh Hasina ed esortato i cittadini “ad avere fiducia nell’esercito” che, ha affermato, “riporterà la pace” nel Paese.

“Faremo in modo che giustizia sia fatta per ogni morte e crimine verificatisi durante le proteste”, ha dichiarato il generale, invitando il pubblico a mostrare pazienza e a cessare qualsiasi atto di violenza e vandalismo, annunciando già una serie di consultazioni.

“Abbiamo invitato i rappresentanti di tutti i principali partiti politici, che hanno accettato il nostro invito e si sono impegnati a collaborare con noi”, ha aggiunto Waker-Uz-Zaman. “Troveremo una soluzione alla crisi entro stasera”. Infatti, secondo il militare, non ci sarà bisogno di un nuovo coprifuoco né di proclamare lo stato di emergenza nel Paese. Ma tale sviluppo non è piaciuto alla piazza.

“Il governo militare non è una soluzione in questo momento”, si legge in una nota diramata sui social dal gruppo “Studenti contro la discriminazione”, che fin qui ha guidato le proteste antigovernative in Bangladesh. Saranno invece coloro che “hanno portato la rivoluzione”, prosegue il comunicato, a decidere chi governerà il Paese.

“Crediamo che il governo militare non sia una soluzione in questo momento. Gli studenti e il pubblico, che hanno portato avanti questa rivoluzione e ottenuto la vittoria, decideranno chi prenderà il potere nel Paese”, si legge nella nota. “Abbiamo scacciato il fascismo e non permetteremo che il fascismo metta radici in Bangladesh in futuro. Ci impegniamo a sradicare qualsiasi sistema fascista”.

“Pertanto, il governo militare non è una soluzione in questo momento”, conclude. “Gli studenti e il pubblico decideranno chi verrà nominato per il governo ad interim. I coordinatori studenteschi del movimento forniranno ulteriori dettagli su questa questione”.

Una contestazione a quanto pare prevista dai militari. Tanto che nel suo discorso il generale Waker-Uz-Zaman aveva da subito invitato i manifestanti a dare all’esercito “un po’ di tempo”, promettendo loro che le forze armate avrebbero trovato una soluzione all’attuale crisi, esortando tutti a “mantenere la calma e a tornare a casa”.

Intanto, dopo aver concesso un passaggio sicuro alla premier Sheikh Hasina, il governo del primo ministro dell’India, Narendra Modi, ha proclamato lo stato di “massima allerta” lungo il confine con il Bangladesh.

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