Il bambino afghano della maglietta di Messi minacciato dai Taliban
La sua foto con indosso la maglia ricavata da una busta di plastica del campione argentino aveva fatto il giro del mondo. Ora è stato costretto a scappare con la famiglia
La foto di Murtaza Ahmadi, il bambino afghano di cinque anni ritratto con indosso una maglia ricavata da una busta di plastica e dipinta con i colori dell’Argentina e il nome del suo calciatore preferito Lionel Messi, aveva fatto il giro del mondo.
L’immagine era quella di Murtaza mentre giocava a calcio su un campo improvvisato, indossando quella maglia di plastica che l’aveva reso famoso. La federazione di calcio afghana si era attivata affinché Murtaza riuscisse a conoscere il suo idolo.
Sono trascorsi mesi da quelle immagini felici che ritraevano il bambino di uno sperduto villaggio afghano alzare le dita in segno di vittoria per aver conquistato la maglia originale del suo campione.
Tuttavia, a essersi accorti di lui non sono stati solo gli utenti del web e le varie testate internazionali. Anzi, al contrario la troppa popolarità riservata a un bambino ha attirato l’attenzione dei Taliban. E non è trascorso molto tempo prima che le minacce di ritorsioni arrivassero, con telefonate e lettere anonime.
Sotto le costanti e continue pressioni, la famiglia Ahmadi ha dovuto lasciare l’Afghanistan. Il padre di Murtaza, Mohammad Arif Ahmadi, ha raccontato alla stampa locale il motivo per cui la sua famiglia è stata costretta a spostarsi nel vicino Pakistan.
Contattato dall’agenzia di stampa AP nella sua nuova casa di Quetta, il padre ha sottolineato come da quel momento in poi la loro vita avesse preso una piega diversa, divenendo un vero e proprio inferno.
Il loro timore più grande è che il bambino potesse essere rapito dai Taliban. “In un primo momento non ero sicuro di chi ci fosse dietro tutte quelle telefonate. Immaginavo si trattasse di bande criminali interessate a estorcere del denaro, nella convinzione che una volta apparsi sui giornali di mezzo mondo, ci fossimo arricchiti”.
Un giorno, Muhammad ricevette la conferma che non si trattava di criminali locali, bensì dei Taliban che gli inviarono una lettera nella quale si domandavano come mai Murtaza non fosse impegnato a imparare il Corano, in una scuola islamica, ma fosse incoraggiato a giocare a calcio.
“Ho dovuto vendere tutte le mie cose e ho portato la mia famiglia immediatamente fuori dall’Afghanistan”, ha raccontato ancora l’uomo. “Nonostante questa situazione drammatica, spero che un giorno Murtaza possa realizzare il suo sogno di incontrare il suo eroe Messi”.
I Taliban vietano alcuni sport – non il calcio maschile nello specifico – considerandoli non adeguati ai precetti islamici, e nel corso degli anni ha convertito lo stadio di Kabul in un palcoscenico per le esecuzioni pubbliche.
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