La Baku che cambia, la Baku che non cambia
La capitale dell’Azerbaigian tra petroldollari, ambiziosi progetti urbanistici e una corruzione dilagante che si insinua in ogni strato della società
Baku che cambia Baku che non cambia
Un tempo veniva chiamata la ‘città dove soffia il vento’, ma oggi Baku, capitale della Repubblica dell’Azerbaigian, potrebbe essere meglio definita come la città che corre come il vento. Chi l’avesse visitata una decina di anni fa, probabilmente oggi stenterebbe a riconoscerla. Marco Polo quando l’attraversò descrisse “una fontana ove surge tanto olio e in tanta abbondanza che cento navi se ne caricherebbero alla volta. Ma egli non è buono da mangiare, ma sì da ardere”. Proprio questo petrolio ha permesso a Baku di espandersi a una velocità inarrestabile. Proprio qui avvenne la prima trivellazione al mondo nel 1848. Proprio da qui, all’inizio del XX secolo proveniva la metà del petrolio consumato globalmente.
Raggiunta l’indipendenza dall’Urss nel 1991, seguita da un biennio stravolto dal conflitto con l’Armenia per il controllo della regione di Nagorno-Karabakh, l’ex vice primo ministro dell’Urss Heydar Aliyev è diventato presidente e ‘padre-padrone’ dell’Azerbaigian, aprendo a investimenti internazionali e lasciando confluire miliardi di dollari di investimenti petroliferi nel Paese. I soldi del petrolio hanno cambiato il volto di Baku, soprattutto dopo l’inaugurazione nel 2005 dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che attraverso un percorso di 1.768 chilometri porta il petrolio in Turchia e quindi in Europa, attraversando la Georgia, evitando Russia e Iran e isolando di fatto l’Armenia.
Impressionanti progetti urbanistici e architettonici hanno rinnovato il centro della città e il litorale sul mar Caspio. Sulla collina del Parlamento sono sorte le Flame Towers, tre torri che insieme creano la forma di una fiamma e di notte vengono illuminate da led con i colori dell’Azerbaigian. I vecchi immobili in stile comunista del centro hanno lasciato spazio a edifici costruiti dai migliori architetti europei. La Black City, l’area nella quale sorsero le prime raffinerie e dove ancora oggi viene lavorato il petrolio, si sta trasformando in White City, un’area urbana ultramoderna che connetterà il pomposo centro storico di Baku alla sua ancor degradata periferia, trasformando la capitale in una vera e propria metropoli. Baku è la città più grande del Caucaso e ospita oltre 2 dei circa 9 milioni di abitanti dell’Azerbaigian.
I progetti per il futuro sono altrettanto ambiziosi. Il progetto Zira Zero Island punta a trasformare l’isola di Zira in una comunità eco-sostenibile dal design futuristico, composta da complessi turistici e residenziali a impatto zero. A 25 chilometri a sud di Baku, la costruzione dell’arcipelago artificiale delle isole Khazar sarà completata tra il 2020 e il 2025. La nuova area urbana galleggiante, definita dagli addetti ai lavori ‘la nuova Venezia’, potrà ospitare 1 milione di abitanti, con 50 ospedali, 150 scuole, parchi e centri commerciali, campus universitari e persino un tracciato di Formula 1. Nel 2019 inoltre, Baku potrà vantarsi di possedere l’edificio più alto del mondo, l’Azerbaijan Tower, che con i suoi previsti 1.050 metri di altezza supererà gli 830 metri della torre Burj Khalifa di Dubai.
La repentina ricchezza derivata dal petrolio ha migliorato le condizioni di vita della popolazione soltanto in parte. Il costo della vita a Baku è simile a quello delle città dell’Europa occidentale, il Manat azero ha un valore quasi equivalente all’euro, mentre la media degli stipendi mensili dei cittadini azeri si aggira intorno ai 350 euro mensili. Lontano dallo scintillante centro cittadino, il Paese di trova ancora in un profondo stato di arretratezza. Al di là del settore petrolifero, nessun altro tipo di economia si è sviluppata. La popolazione rurale ha sofferto in seguito alla privatizzazione delle aziende agricole e oggi il 42 per cento degli abitanti delle campagne vive al di sotto della soglia di povertà, mentre il gap tra ricchi e i poveri continua ad aumentare.
L’esasperata rincorsa alla modernizzazione non ha nemmeno trasformato la cattiva fama guadagnata dal Paese negli anni Novanta, quando era considerato tra i più corrotti al mondo. Lo storico presidente Heydar Aliyev fu accusato di corruzione dal giornale sovietico Pravda già nel 1985, quando era vice presidente dell’Urss. La situazione non é cambiata con l’avvicendamento al potere del figlio Ilham nel 2003, che ha continuato a governare con gli stessi metodi autoritari del padre. In Azerbaigian la corruzione si insinua in ogni strato della società, dagli affari alla salute, dalla politica all’educazione. Nell’indice sulla percezione di corruzione stilata da Transparency International nel 2012, il Paese si trova negli ultimi posti della graduatoria, condividendo con Kenya, Nepal, Pakistan e Nigeria la 139esima posizione su 174.
Il 10 dicembre scorso, in occasione della giornata mondiale per i diritti dell’uomo, una pacifica manifestazione contro il governo è stata repressa in maniera violenta dalla polizia, che in pochi minuti ha ‘ripulito’ con la forza la piazza dai manifestanti. Secondo Amnesty International, le autorità azere criminalizzano regolarmente ogni forma pacifica di protesta e usano metodi legislativi e amministrativi per mettere al bando gruppi di cittadini e organizzazioni impegnate nel campo dei diritti umani. Secondo un giornalista di Kanal 13, una televisione locale online “questo tipo di eventi non fa notizia, perché i canali televisivi principali sono controllati dal governo”. Nella graduatoria di Reporter Senza Frontiere, l’Azerbaigian si trova al 162esimo posto al mondo in quanto a libertà di stampa. Ma a essere in pericolo secondo l’organizzazione americana Freedom House è anche la libertà di espressione in internet, perché l’informazione indipendente e i social network sono costantemente monitorati.
L’Azerbaigian è un Paese profondamento diviso, e la sua capitale Baku ne è un lampante esempio. I proventi del petrolio permettono la costruzione di opere incredibili, ma a beneficiarne per il momento è solo una ristretta élite della popolazione. La situazione è aggravata dalla corruzione dilagante e dalla negazione dei diritti politici dei gruppi di opposizione. Non sarà facile arrivare a un vero cambiamento sociale.