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Il Perù costruirà un’autostrada nella foresta amazzonica: quali sono i rischi per l’ambiente e le popolazioni indigene

Immagine di copertina

La legge da poco approvata riguarda alcuni parchi protetti e potrebbe mettere in pericolo l'esistenza stessa dei popoli indigeni

A poche ore dal discorso del Papa che condannava la distruzione dell’ambiente, tenuto proprio durante la sua visita in Perù, lo scorso lunedì 22 gennaio il governo peruviano ha approvato un disegno di legge che permetterà di costruire strade in regioni remote della foresta pluviale amazzonica, luoghi incontaminati che ospitano diversi gruppi indigeni.

La legge approvata il 22 gennaio era stata proposta su iniziativa del deputato Glider Ushñahua, ed è stata sostenuta dal Fuerza Popular, il partito guidato da Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente.

Il ministero della Cultura, l’ente governativo incaricato della protezione delle comunità indigene, ha da sempre respinto il progetto di legge proprio perché riteneva che violasse i diritti di quei popoli e territori.

La proposta era stata approvata dal Congresso lo scorso 15 dicembre e, non essendovi mai stato posto il veto dal Governo, entro il termine stabilito la legge è entrata in vigore a tutti gli effetti.

 

Secondo le ultime stime, gli abitanti delle tribù indigene che abitano nella foresta peruviana sono circa 5 mila, distribuiti in almeno 12 villaggi nomadi; non hanno la carta d’identità, non hanno accesso ai servizi sanitari, non sono registrati ufficialmente. Secondo i numerosi studi degli antropologi, la loro unica garanzia di sopravvivenza è stata da sempre la vita in isolamento.

Queste comunità vengono raggruppate sotto la definizione di “Pueblos indígenas en aislamiento o contacto inicial” (PIACI) e, per quanto possibile, monitorate e protette dal ministero della Cultura peruviano.

Secondo il ministero, il principale progresso nell’aiuto offerto dallo Stato ai Piaci era stato il miglioramento del controllo territoriale delle riserve indigene.

L’anno scorso, erano state create le prime tre riserve indigene del paese: Isconagua, Murunagua e Mashco Piro, situate negli Ucayali (la regione interessata dalla legge appena entrata in vigore).

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E, per diversi anni, ci sono state anche le riserve territoriali di Madre de Dios, Kugapakori e Nahua Nanti, situate tra Madre de Dios, Cusco e Ucayali.

Per garantire l’intangibilità di questi luoghi, il ministero della Cultura ha dato vita a operazioni di controllo sul territorio con 33 agenti attivi in totale.

L’obiettivo di questa politica di conservazione e controllo, secondo Ángela Acevedo, direttore generale dei diritti dei popoli indigeni del Ministero della cultura, era proprio quello di impedire che attività come il disboscamento, l’estrazione illegale e il traffico di droga compromettessero la sopravvivenza dei popoli isolati.

Inoltre, Acevedo aveva sottolineato che, a causa dello scarsissimo contatto che hanno con il resto della comunità nazionale, i Piaci sono molto vulnerabili fisicamente. Le malattie comuni per la maggior parte dei peruviani, ad esempio, sarebbero in grado di decimarli.

Proprio per questo motivo, nessuno ha il permesso di entrare nelle riserve indigene o territoriali tranne in casi eccezionali e su autorizzazione.

E proprio il 24 novembre scorso, la “commissione multisettoriale delle organizzazioni indigene, dei governi e delle istituzioni subnazionali”, ha approvato i termini di riferimento per la realizzazione degli studi necessari per la creazione e la categorizzazione di altre nuove riserve indigene.

In totale, le riserve hanno una superficie di 2.871.464 ettari (circa 30 mila chilometri quadrati), pari al 2,2 per cento del territorio nazionale. Ovvero, poco più dell’intera regione di La Libertad (1/10 della superficie del territorio italiano).

Già all’inizio del secolo scorso, durante il boom della gomma, molti popoli amazzonici che non avevano alcun contatto con la civiltà occidentale furono ridotti in schiavitù dai commercianti di lattice.

Ora, la loro già precaria esistenza è minacciata dalla Legge 30723 che, nel comunicato ufficiale riporta che “è priorità di interesse nazionale la costruzione di strade nelle zone di confine e la manutenzione di strade sterrate nella regione Ucayali” (proprio in coincidenza di una delle riserve).

Il progetto stradale più importante si estenderà per 172 miglia (circa 280 chilometri) attraverso la foresta pluviale amazzonica, collegando le città di Puerto Esperanza con il distretto di Iñapari lungo il confine tra Perù e Brasile.

La costruzione di questa strada potrebbe causare la deforestazione di 2.750 chilometri quadrati secondo la mappatura satellitare del progetto Monitoraggio dell’Amazzonia Andina, che si occupa di rilevare i disboscamenti in quelle aree.

Credit: Monitoring of Andean Amazon Project

James Gordon, responsabile regionale dell’Amazzonia per il WWF, ha definito i piani del governo “estremamente preoccupanti”, sostenendo che “la preoccupazione principale non è tanto nella quantità di asfalto che verrà impiegata, quanto piuttosto il fatto che si stia aprendo una foresta. Non vale la pena dichiarare riserve indigene e aree protette se in seguito puoi approvare una legge per costruirci una strada”.

“Ciò che tipicamente accade in Amazzonia – continua Gordon  – è che una volta che una nuova strada percorre la foresta ne si ottiene la colonizzazione. Potrebbe avvenire per il legname, o a causa delle popolazioni che usano la terra per l’agricoltura, ma ecco che se si verifica il contatto tra alcune comunità indigene isolate, molto probabilmente ciò segnerà l’inizio della fine di quelle stesse società”.

E infatti, anche Julia Urrunaga, direttrice dell’Environmental Investigation Agency peruviano, ha affermato che il 95 per cento della deforestazione avviene a meno di 6 chilometri da una strada, aggiungendo che la nuova legge ha contraddetto una sentenza della corte che aveva dichiarato la protezione della foresta un prioritario interesse nazionale.

 

 

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