Aumentano i giornalisti uccisi: +18 per cento in 5 anni, oltre la metà in Paesi non in guerra
Aumentano i giornalisti uccisi: +18 per cento in 5 anni, oltre la metà in Paesi non in guerra
Aumentano i giornalisti uccisi: +18 per cento in 5 anni, oltre la metà in Paesi non in guerra
Raccontare uccide. Nonostante le sirene di un mondo in cui le informazioni dovrebbero viaggiare libere sostenute dalle nuove tecnologie raccontare ciò che non si vuole che venga raccontato continua a fare del giornalismo uno dei lavori più “pericolosi” del mondo. Il nuovo rapporto dell’Unesco in occasione della quinta edizione della Giornata internazionale per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti parla chiarissimo: le uccisioni sono aumentate del 18 per cento nel mondo nel quinquennio 2014-2018 rispetto ai cinque anni precedenti, e il 55 per cento degli omicidi ha avuto luogo in Paesi “in pace”. Quasi il 90 per cento dei responsabili delle uccisioni dei 1.109 giornalisti assassinati tra il 2006 e il 2018 non è stato punito.
In soldoni significa che si muore di giornalismo (o meglio, si muore perché si ama allenare il muscolo della curiosità là dove i poteri vorrebbero che rimanesse il buio) anche nei cosiddetti Paesi “di pace”. E uccidere un giornalista garantisce livelli di impunità che farebbero sognare i boss di qualsiasi organizzazione criminale.
Ogni tanto ci capita di leggere (nei libri o nei giornali) di giornalisti la cui morte ha avuto almeno la dignità di diventare una notizia, ma negli ultimi dieci anni sono 881 i giornalisti morti per avere detto la verità, quella verità inconfessabile che talvolta rimane sepolta. L’indagine segnala che i Paesi con il più alto tasso di vittime tra i giornalisti sono gli Stati Arabi, seguiti da America Latina, Caraibi e Asia, e che a essere presi di mira sono sempre più spesso i giornalisti che si occupano di fatti politici, criminalità e corruzione. Eppure sono gli stessi anni in cui alcuni insistono, anche dalle nostre parti, nell’immaginare giornalisti come semplice “scendiletto” dei potenti.
Poi, capita che qualcuno decida di affilare un po’ la penna e che venga improvvisamente accusato di essere affetto da “mania di protagonismo”. Se davvero giornalismo è scrivere ciò che non si vorrebbe vedere scritto allora forse sarebbe il caso di riflettere sul ruolo fondamentale del (buon) giornalismo per una (buona) democrazia. “Se non riusciamo a proteggerli, sarà estremamente difficile per noi rimanere informati e contribuire al processo decisionale. Se i giornalisti non riescono a fare il loro lavoro in sicurezza, il mondo di domani sarà segnato da confusione e disinformazione”, ha dichiarato il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres. E chissà che qualcuno non capisca il danno che ogni volta produce un attacco generalizzato alla stampa che produce la cattiva stampa. Chissà.