Alberto Negri a TPI: “L’abbandono degli Usa in Afghanistan apre alle partnership con Cina e Russia. L’Isis-k? Oggi è il principale nemico dei talebani”
L’Isis-K è il principale sospettato per gli attentati suicidi che hanno colpito nella giornata di oggi, 26 agosto, l’aeroporto di Kabul, in Afghanistan, dove si stanno svolgendo le operazioni di evacuazione dei civili e di chi ha collaborato con le potenze occidentali dopo la presa di potere dei talebani nel Paese. Gli attacchi hanno provocato almeno 90 morti, tra cui alcuni bambini e 12 marines americani. Sulla situazione afghana TPI ha intervistato Alberto Negri, giornalista, a lungo inviato di guerra per il Sole 24 Ore, che ha seguito sul campo i principali conflitti ed eventi politici internazionali dagli anni Ottanta a oggi.
L’attentato a Kabul era stato preannunciato negli scorsi giorni. I rapporti dell’intelligence americana parlavano di un possibile attacco proprio in aeroporto da parte dell’Isis-K.
C’erano già stati altri attentati da parte dell’Isis a Kabul quest’anno, soprattutto con il cambio di guardia ai vertici dell’Isis-K (il nome con cui è conosciuto lo Stato islamico del Khorasan, una regione afghana). L’attuale leader, Shahab al-Muhajir, è un ex membro di Al Qaeda che è passato al campo rivale. La sua ascesa ai vertici dell’Isis in Afghanistan ha portato a un’escalation clamorosa, col ricorso non solo ad attentati suicidi, ma anche ad zioni armate, alcune delle quali con missili antiaerei.
Cosa sappiamo sull’Isis-K?
È un gruppo fortemente armato, le cui basi si trovano nella regione di Nangarhar (nell’est dell’Afghanistan, al confine col Pakistan, ndr). È composto da non più di 1.500-2.000 uomini ma è stato estremamente pericoloso per la tenuta del governo Ghani, e adesso lo è per i talebani, perché insidia il controllo del territorio. Negli scorsi mesi, i suoi attacchi hanno preso di mira la popolazione generale, ma anche gli sciiti, come nello stile dell’Isis in Siria o in Iraq. Quando c’erano ancora gli americani, hanno attaccato anche bersagli strategici, ad esempio caserme o prigioni.
Qual è la posizione di questo gruppo rispetto ai talebani?
Rappresenta il loro principale nemico. Pur essendo entrambi movimenti jihadisti, tra Isis-K e talebani c’è una profonda contrapposizione ideologica: i talebani puntano alla restaurazione dell’Emirato crollato nel 2001, invece l’Isis vuole instaurare un Califfato, ha una visione panislamica jihadista che riguarda tutto il mondo islamico e non si limita ai confini nazionali. Questa contrapposizione c’è sempre stata, ma è diventata più aspra da quando i talebani hanno cominciato a prendere il potere.
Come possiamo leggere gli attentati di oggi?
Sono un messaggio dell’Isis che rifiuta di accettare l’Emirato dei talebani. I talebani, dal canto loro, devono dimostrare di poter garantire il controllo sul territorio, per non dare adito all’accusa di favorire il terrorismo. Gli accordi di Doha con gli americani, infatti, prevedono l’impegno dei talebani affinché l’Afghanistan non diventi una base terroristica.
Quali saranno le conseguenze di questi attacchi?
Penso che si cercherà di chiudere il più velocemente possibile le operazioni di evacuazione, sia da parte dei talebani sia da parte degli Stati Uniti e degli Occidentali. Tra le vittime infatti non ci sono stati solo civili o occidentali, ma anche guardie talebane. La zona dell’aeroporto è diventata molto vulnerabile, cercheranno in ogni modo di mettere in sicurezza il più possibile l’area e di accelerare le operazioni di evacuazione.
I talebani hanno preso il potere rapidamente. Quali sono stati secondo lei gli errori degli occidentali?
I talebani controllavano già da almeno cinque o sei anni buona parte del territorio afghano, gli americani sapevano perfettamente che avrebbero provato a riprendere il potere a Kabul prima o poi. L’elemento più eclatante è stato il rapido crollo delle forze afghane.
A cosa è stato dovuto?
Innanzitutto il loro numero era stato sovrastimato. Si parlava di 300mila uomini, ma il numero reale forse di 70-80mila. Questo è stato un errore sia degli Stati Uniti sia della Nato. Un altro fattore è stato la corruzione: molti comandanti dell’esercito afghano sono passati dall’altra parte o hanno disertato e sono andati oltre confine. Inoltre gli americani hanno demoralizzato le forze afghane. Il 2 luglio sono andati via da Bagram, la più grande base statunitense in Afghanistan. Lo hanno fatto di notte, senza neanche avvertire le forze armate locali. Questo ha dato un pessimo segnale all’esercito afghano, hanno capito che gli americani li stavano abbandonando al loro destino. Poi c’è anche un motivo politico dietro la disgregazione dell’Afghanistan.
Quale?
L’Afghanistan occidentale è stato una sorta di bolla, con 200-300mila persone che vivevano con uno stile di vita occidentale. Ma la stragrande maggioranza della popolazione li vedeva come un’élite. La creazione di questa élite si è rivelata molto fragile alla prova dei fatti.
I talebani godono del consenso di gran parte della popolazione?
La sconfitta dei talebani nel 2001 ha rappresentato una sconfitta per l’etnia Pashtun, largamente maggioritaria in Afghanistan, che è sempre stata al potere a Kabul, tranne in rarissime occasioni. La rivincita dei talebani è quindi anche in parte la rivincita dei Pashtun. Anche se i talebani di oggi hanno stretto alleanze anche con altri gruppi etnici.
Come sarà il nuovo Afghanistan a guida talebana?
Nel primo Emirato gran parte dei diritti delle donne non venivano garantiti e i diritti civili e umani venivano costantemente violati. Questo nuovo Emirato ricalcherà quello precedente, ma con alcune differenze, anche generazionali. I talebani di oggi sono giovani dai 20 ai 30 anni, bisognerà vedere come accetteranno i cambiamenti che ci sono stati in questi anni. Certamente non ci saranno elezioni, i diritti delle donne verranno ridotti al minimo. La sharia, la legge islamica, sarà applicata con durezza. Ma molti leader sono stati all’estero e capiscono perfettamente che la chiave della loro sopravvivenza è soprattutto legata ai buoni rapporti economici e politici con gli Stati intorno. La prima cosa di cui hanno bisogno sono i soldi, per mandare avanti il Paese.
Dove troveranno questi soldi?
Se terranno fede alle loro parole i talebani dovrebbero contrastare il commercio di oppio, che è una delle fonti di entrate degli afghani. Poi ci sono i rapporti internazionali, soprattutto quelli col Pakistan, il maggior sponsor dei talebani. I pakistani hanno un rapporto molto stretto con la Cina, che ha investito in Pakistan decine di miliardi di dollari. Cercheranno di avere anche buoni rapporti con la Russia e con l’Iran.
In questi giorni c’è chi parla di possibile dialogo tra le potenze occidentali e i talebani.
Per aiutare la popolazione afghana all’interno è indispensabile parlare coi talebani. I primi a farlo, d’altra parte, sono stati gli americani con gli accordi di Doha, i cui negoziati sono andati avanti per anni. Ma questo non vuol dire riconoscere il regime dei talebani in Afghanistan.
L’Occidente sta rinunciando al suo ruolo in Afghanistan e contro il terrorismo?
Gli Stati Uniti e la Nato si sono ritirati perché l’avventura in Afghanistan era già diventata un fallimento alcuni anni fa. Ora ne sono usciti dal punto di vista della presenza militare, ma sicuramente continueranno a monitorare ciò che avviene in Afghanistan. Gli americani sono sempre pronti a intervenire con raid missilistici e aerei. Ma il vuoto delle forze sul territorio lascerà probabilmente spazio ad altre potenze, incluse Cina e Russia.
La loro influenza sul Paese aumenterà?
Una crescita in questo senso c’era già stata: i cinesi, ad esempio, avevano investito nelle miniere afghane. Inoltre, l’Afghanistan era l’unico Paese della regione rimasto fuori dalla famosa via della Seta cinese. Ora tocca agli afghani scegliere cosa fare, ma credo che alla fine accetteranno la partnership economica della Cina.
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