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L’ultimo attacco di Boko Haram ci ricorda che l’Africa è il nuovo fronte del jihadismo

Immagine di copertina
Alcune vittime dell'attacco di Boko Haram a Zabarmari, in Nigeria, il 29 novembre 2020. Credit: EPA/STR

Sono almeno 110 i lavoratori agricoli uccisi in una risaia a poca distanza dalla città di Maiduguri, nello stato nigeriano settentrionale di Borno, dai miliziani del gruppo jihadista Boko Haram, in una tragedia che riporta all’attenzione l’attività di questo gruppo nell’area del lago Ciad e l’aumento dell’attività dei gruppi jihadisti nella regione del Sahel dopo che l’Isis ha perso tutto il suo territorio in Siria e Iraq.

Sabato 28 novembre, un gruppo di miliziani di Boko Haram ha fatto irruzione in una risaia a Koshobe, a pochi chilometri da Maiduguri, arrivando a bordo di motociclette e compiendo un massacro premeditato. Secondo le prime ricostruzioni riportate dai media, molti dei contadini, che provenivano dal vicino stato di Sokoto, sono stati legati e sgozzati. Le prime cifre del massacro parlavano di 40 vittime, ma Edward Kallon, coordinatore Onu per la Nigeria, ha fatto sapere oggi che sono state in tutto 110.

Nato nel 2002, il gruppo jihadista Boko Haram ha lanciato nel 2009 un’insurrezione nel nord-est della Nigeria, in modo particolare nello stato di Borno, che ha causato la morte di oltre 50mila persone e ha costretto oltre due milioni di persone a lasciare le proprie case e le proprie città, rimanendo sfollati o cercando di fuggire in altri Paesi. Negli anni tale insurrezione si è espansa anche ai Paesi vicini intorno al bacino del lago Ciad, come Camerun, Niger e Ciad, dove il gruppo ha compiuto altri attacchi armati.

Nel 2015 una coalizione di governi africani ha lanciato una massiccia offensiva contro i jihadisti, che nel frattempo si erano avvicinati all’Isis, ridimensionando la potenza di fuoco del gruppo senza però sconfiggerlo definitivamente. Boko Haram ha comunque continuato negli anni la sua insurrezione portando avanti numerosi altri attacchi terroristici e di guerriglia che hanno continuato a causare un numero drammaticamente alto di vittime.

Con il graduale sfaldamento della presenza dell’Isis in Siria e in Iraq a partire dal 2016, fino alla definitiva sconfitta dal punto di vista territoriale del gruppo, sempre più miliziani jihadisti si sono diretti verso la regione del Sahel, quella fascia di territorio a sud del deserto del Sahara che avvolge numerosi Paesi che negli ultimi anni hanno assistito a un drammatico aumento di attacchi jihadisti e che tocca anche il nord della Nigeria.

Tale situazione, come mostra il Global Terrorism Index pubblicato la scorsa settimana dall’Institute of Economics and Peace, ha portato a un forte aumento degli attacchi terroristici in alcuni Paesi del Sahel, a partire dal Burkina Faso, nel corso del 2019. Un dato che ha portato a registrare il fatto che il terrorismo marcato Isis ha spostato il suo epicentro dal Medio Oriente all’Africa. Tuttavia, il dato risulta in controtendenza per la Nigeria.

Il Paese, infatti, ha visto uno dei maggiori cali di vittime di attacchi terroristici, ma è un dato che, seppur positivo, va preso con tutte le precauzioni del caso. Intanto, sempre secondo il rapporto, si tratta dell’unico Paese insieme all’Afghanistan ad aver registrato nel corso dello scorso anni oltre mille morti per attacchi terroristici, e a questo va aggiunta una situazione generalmente complessa per la sicurezza, soprattutto nelle regioni del nord.

Oltre all’insurrezione jihadista, sempre più limitata allo stato di Borno, la Nigeria deve affrontare un aumento di fenomeni di banditismo con sempre più frequenti rapine a mano armata e sequestri di persona in particolar modo negli stati del nord-ovest, come Katsina e Zamfara. Solo per citare uno di questi episodi, lo scorso aprile una gruppo di uomini armati ha preso d’assalto alcuni villaggi nello stato di Katsina, compiendo razzie e furti di bestiame e uccidendo 47 persone.

Questo mentre la Nigeria continua ad affrontare i tradizionali scontri di natura etnica tra contadini e pastori Fulani, che si aggiungono agli scontri religiosi che in più occasioni hanno avuto ruolo nel Paese e alle proteste del movimento #EndSARS, una serie di manifestazioni in cui i cittadini sono scesi in piazza contro le brutalità della polizia, manifestazioni che hanno visto l’infiltrazione di numerosi elementi violenti.

Se la Nigeria da un lato ha affrontato in maniera massiccia la questione Boko Haram e ha assistito a un calo degli attacchi nel corso degli ultimi anni, il massacro di sabato scorso nella risaia di Koshobe è un drammatico promemoria del fatto che il gruppo jihadista è ancora molto attivo e continua a terrorizzare il Paese, in modo particolare lo stato di Borno.

Il rischio è che la precaria sicurezza legata anche al fenomeno del banditismo possa sfuggire facilmente di mano alle autorità in un momento in cui stanno affrontando numerosi problemi, compresa la pandemia di Coronavirus e la crisi economica conseguente, resa più complessa dal crollo dei prezzi del petrolio che rappresentano la principale entrata nelle casse dello stato. E che in questa situazione Boko Haram rischi facilmente di trovare terreno fertile, nonostante gli sforzi delle autorità per sconfiggere l’insurrezione jihadista.

Leggi anche: 1. Nigeria, attacco jihadista in un villaggio: almeno 110 morti / 2. Nigeria, la rivolta contro gli abusi della polizia Sars costringe il Governo a proclamare il coprifuoco di 24 ore/ 3. Esclusiva TPI – La storia di Emeka, sopravvissuto alla carestia durante la guerra civile in Nigeria. La quinta puntata del podcast “Children of War” | PODCAST

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