Arrestati per l’ambiente
Il direttore di Greenpeace si offre come garante per la liberazione degli attivisti, ma le autorità russe contestano nuove accuse
Crescono le preoccupazioni per la sorte dei 28 militanti Greenpeace e dei 2 giornalisti che dal 19 settembre sono detenuti dalle autorità russe con l’accusa di pirateria. I giovani, provenienti da diversi Paesi, si trovavano a bordo della nave olandese Artic Sunrise per svolgere una protesta pacifica contro le trivellazioni operate dalla società petrolifera russa Gazprom nell’Artico, quando sono stati arrestati dalle autorità russe.
Il direttore esecutivo di Greenpeace International, Kumi Naidoo, ha scritto ieri una lettera aperta al presidente russo Vladimir Putin, offrendosi di raggiungerlo in Russia e rischiare la propria libertà, qualora questo fosse d’aiuto a ottenere rilascio su cauzione degli attivisti trattenuti nel Paese: questa settimana, infatti, il tribunale di Murmansk ha rifiutato di liberare i giovani su cauzione, ordinando che invece restino detenuti per un periodo iniziale di due mesi in attesa del processo.
Le autorità russe hanno però dichiarato ieri di voler contestare reati aggiuntivi oltre la pirateria. Vladimir Markin, portavoce del capo del comitato investigativo, ha comunicato che la polizia ha trovato possibili “sostanze stupefacenti” a bordo della Arctic Sunrise. Greenpeace ha definito l’accusa “una calunnia, una montatura pura e semplice” dal momento che la nave è stata perquisita in ogni angolo prima dalle autorità norvegesi e poi dagli ufficiali russi alcune settimane fa. Le politiche di Greenpeace vietano la detenzione droghe illegali a bordo delle sue navi, inoltre l’imbarcazione è rimasta sotto il controllo russo per settimane, dunque l’origine di qualsiasi prova di droga scoperta a bordo ora sarebbe poco chiara. “Presumiamo quindi che la dichiarazione di oggi sia stata fatta per distrarre l’attenzione dalla crescente indignazione globale per il protrarsi della prigionia degli attivisti”, ha scritto l’organizzazione in una nota.
Tutto è iniziato lo scorso 18 settembre. La Artic Sunrise era ancorata a poche centinaia di metri di distanza dalla piattaforma Prirazlomnaya, un gigante di metallo di 100.000 tonnellate situato a 60 km al largo della costa nel mare della Pečora. Alcuni degli attivisti a bordo si sono avvicinati alla piattaforma con due gommoni, allo scopo di porre uno striscione di protesta, e per questo sono stati accusati dalle autorità russe di aver minacciato la sicurezza della piattaforma e fermati immediatamente. Il resto dell’equipaggio è stato arrestato il giorno dopo dalla Guardia Costiera russa. L’accusa iniziale era quella di “pirateria”, anche se il presidente Putin ha spiegato che le forze di sicurezza russe conoscevano l’identità delle persone che hanno preso d’assalto la piattaforma: “È assolutamente evidente che non si tratta, ovviamente, di pirati”, ha detto, “Ma formalmente stavano cercando di assaltare la piattaforma. È dunque chiaro che queste persone abbiano violato il diritto internazionale.”
Greenpeace ha eseguito esattamente le stesse proteste di molti Paesi nel corso degli anni, tra cui la Groenlandia, la Nuova Zelanda, i Paesi Bassi e, appena un anno fa, nella stessa Russia. Tale attivismo è universalmente riconosciuto come libera espressione e fino ad ora nessun governo ha mai accusato i militanti di pirateria.
Gli attivisti arrestati provengono da Finlandia, Ucraina, Gran Bretagna, Olanda, Stati Uniti, e altri 13 paesi. Tra loro c’è anche un cittadino italiano, Cristian D’Alessandro. In seguito alla vicenda, l’Olanda ha aperto una causa internazionale contro la Russia e la Danimarca si è associata.
Nella conferenza stampa di ieri, a Mosca, Greenpeace ha inoltre annunciato la presentazione di denunce sulla violazione dei diritti dei 30 detenuti. Secondo Sergei Golubok, avvocato di Greenpeace, infatti, in alcune celle fa molto freddo e i detenuti sono sottoposti continuamente a riprese video. Non tutti avrebbero accesso ad acqua potabile a sufficienza o la possibilità di fare esercizio fisico adeguatamente. Sul sito dell’organizzazione, intanto, più di un milione di persone hanno firmato l’appello chiedendo la liberazione degli attivisti.