In Arabia Saudita tre soldati sono stati giustiziati per alto tradimento
Tre soldati sauditi sono stati giustiziati per “alto tradimento” in Arabia Saudita. Lo ha annunciato l’agenzia di stampa di Stato, citando il ministero della Difesa di Riad. I soldati sono stati giudicati colpevoli del “reato di alto tradimento in collaborazione con il nemico”, riferisce l’agenzia ufficiale senza fornire ulteriori dettagli.
Il ministero saudita non ha citato il nome del “nemico”, ma le esecuzioni – avvenute oggi, sabato 10 aprile – sono state eseguite nella provincia meridionale al confine con lo Yemen, dove l’Arabia Saudita è in guerra da più di sei anni contro i combattenti Houthi sostenuti dall’Iran.
Dall’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi avvenuto nel 2018 al consolato del regno di Istanbul, e dopo la detenzione di attiviste per i diritti delle donne, l’attenzione verso l’atteggiamento saudita in tema di diritti umani è sempre più alta. In Italia, nelle ultime settimane, l’Arabia Saudita è salita alla ribalta delle cronache nazionali anche per i viaggi intrapresi dal leader di Italia Viva Matteo Renzi nel Paese che ha definito “la culla di un neo-rinascimento”. Il dibattito sul mancato rispetto dei diritti umani nel regno saudita non si ferma.
Nel 2019 in Arabia Saudita si è registrato un numero record di esecuzioni, nonostante le cifre in calo a livello mondiale. In quell’anno sono state effettuate ben 184 condanne a morte – sei donne e 178 uomini – la cifra più alta mai registrato dall’ong Amnesty International nel paese durante un solo anno. Tra queste poco più della metà erano cittadini stranieri. Nel 2018 si sono registrate 149 esecuzioni. Solo nel 2020 c’è stata un’inversione di tendenza: le condanne a morte eseguite sono state 27, l’85% in meno del 2019. Secondo l’organizzazione non governativa Reprieve ci sono ancora 80 persone a rischio di essere condannate a morte in Arabia Saudita e molti sono attivisti per i diritti umani a cui non sono stati garantiti processi equi.
La maggior parte delle esecuzioni sono per crimini legati agli stupefacenti e omicidio. Amnesty International ha però documentato un maggiore ricorso alla pena di morte come arma politica contro i dissidenti appartenenti alla minoranza musulmana sciita. Il 23 aprile 2019, si è tenuta un’esecuzione di massa di 37 persone, di cui 32 uomini sciiti condannati per “terrorismo” dopo processi basati su “confessioni” ottenute sotto tortura. Una delle persone messe a morte il 23 aprile era Hussein al-Mossalem, che mentre era detenuto in isolamento aveva subito ferite multiple incluso il naso rotto, una frattura alla clavicola e a una gamba, ed è stato anche picchiato con manganelli elettrici oltre ad aver subito altre forme di tortura.
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