Arabia Saudita-Iran, lo scontro sul petrolio: ecco cosa sta succedendo
Dopo gli attacchi di sabato, che hanno devastato il più grande impianto petrolifero mondiale e fatto alzare il prezzo del greggio, gli Usa puntano il dito contro Teherean
Attacco alle raffinerie in Arabia Saudita, vola il prezzo del petrolio ed è scontro tra Iran e Arabia Saudita
Il 14 settembre sono state colpite da almeno dieci droni due delle principali raffinerie di petrolio dell’Arabia Saudita. Gli stabilimenti petroliferi appartengono alla compagnia statale di idrocarburi Saudi Aramco (Arabian American Oil Company), una delle più grandi al mondo, che proprio di recente aveva annunciato l’inizio del processo di privatizzazione.
Il primo stabilimento colpito è stato quello di Abqaib, nella zona orientale dell’Arabia Saudita, non lontano dal Bahrain, che costituisce uno degli impianti di raffinazione più grandi al mondo. Il secondo giacimento danneggiato è invece quello di Khurais.
L’attacco, come ammesso dallo stesso ministero del’Energia dell’Arabia Saudita, ha quasi dimezzato la produzione nazionale con una diminuzione pari a 5,7 milioni di barili di petrolio.
Con le raffinerie dell’Arabia Saudita bloccate anche il mercato globale del petrolio è entrato in crisi e il prezzo del greggio a New York è schizzato a 61,24 dollari al barile, con un incremento del prezzo pari a circa l’11,65 per cento.
L’attacco è stato rivendicato dai ribelli sciiti Houthi dello Yemen, dal 2015 in guerra contro la coalizione guidata dall’Arabia Saudita, alleata di Hadi, il presidente del governo yemenita riconosciuto dalla comunità internazionale.
La posizione degli Stati Uniti su Arabia Saudita e Iran
Gli Stati Uniti, però, sembrano non credere a questa rivendicazione e ipotizzano che dietro l’attacco ci sia l’Iran. Il 16 settembre, infatti, l’amministrazione Usa ha diffuso foto satellitari che mostrano gli almeno 17 punti di impatto sugli impianti petroliferi sauditi.
Le immagini dimostrerebbero che gli attacchi sono provenienti da nord, ovvero dall’Iran. Anche il portavoce dell’esercito di Riad, il colonnello Turki al-Malki, sostiene che gli attacchi non provengano dallo Yemen e che siano stati provocati da “armi iraniane”. Le prove a sostegno di questa tesi, però, al momento scarseggiano e inoltre se così fosse non si spiega perché la difesa aerea saudita non sia riuscita a intercettare gli attacchi.
A rincarare la dose è arrivato anche il segretario di Stato Mike Pompeo: “Teheran è dietro circa cento attacchi contro l’Arabia saudita mentre Rouhani e Zarif fingono di ricorrere alla diplomazia. Mentre fa appelli alla de-escalation, l’Iran ha lanciato un attacco senza precedenti alle riserve mondiali di energia”, ha dichiarato.
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La risposta dell’Iran
L’Iran dal canto suo ha respinto le accuse: “La crisi in Yemen è il risultato di calcoli sbagliati da parte degli Stati Uniti. Tutti i Paesi della regione non dovrebbero risparmiare gli sforzi per riportare la pace e la tranquillità con l’aiuto dell’Onu. L’Iran è pronto a lavorare con l’Onu e altri Paesi per riportare la pace e la stabilità in Yemen e nella regione”, ha dichiarato il presidente dell’Iran Hassan Rouhani.
“I cinque anni di aggressione e gli attacchi inumani contro il popolo yemenita, che hanno ucciso e costretto a sfollare persone innocenti e bambini, sono alla base dell’insicurezza in Yemen e nella regione, quindi non serve accusare altri per questi problemi. Con accuse del genere, i nemici, tra cui alcuni Paesi della regione, cercano di provocare discordia tra l’Iran e i suoi vicini. La regione sta pagando il costo di questa insicurezza e gli Usa ne stanno traendo il massimo beneficio”, ha poi commentato il portavoce del governo di Teheran, Ali Rabiei.
Anche il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Abbas Mussavi ha difeso la Repubblica islamica affermando che le accuse degli Stati Uniti sono “inutili, cieche, incomprensibili e prive di senso. Finalizzate solo a giustificare future azioni” contro l’Iran. “Incolpare l’Iran non fermerà il disastro”, ha poi twittato il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif.
Tensione Arabia-Saudita Iran: le dichiarazioni caute dell’Onu
L’Onu è rimasto cauto sull’attribuzione delle responsabilità: “Non è interamente chiaro chi sia dietro l’attacco alle strutture petrolifere saudite. E’ un incidente estremamente serio, con conseguenze che vanno molto oltre la regione. Gli attacchi rischiano di trascinare lo Yemen in una conflagrazione regionale. Non c’è tempo da perdere e bisogna trovare una soluzione politica”, ha dichiarato l’inviato speciale dell’Onu in Yemen, Martin Griffiths, durante una riunione del Consiglio di Sicurezza del 16 settembre.
Le offese hanno però inevitabilmente aumentato le tensioni nel Golfo tra Teheran e Usa proprio alla vigilia di un possibile storico incontro fra Donald Trump e il presidente iraniano Hassan Rouhani che si sarebbe dovuto tenere a margine dell’assemblea generale delle Nazioni Unite.
In Yemen la guerra tra Arabia Saudita e ribelli Houthi va avanti da oltre quattro anni, ma mai si era arrivati ad un attacco così “violento” nei confronti delle risorse economiche saudite.
Il riassunto del conflitto in Yemen
Nel 2014 le milizie ribelli degli Houthi prendono il controllo della capitale Sana’a e mettono in fuga il presidente Hadi che a quel punto chiede aiuto all’Arabia Saudita per riprendere il controllo della città.
I sauditi formano la Coalizione del Golfo di cui fanno parte anche gli Emirati Arabi Uniti e nel marzo 2015 rispondono con l’operazione “Decisive Storm”: bombardamenti a tappeto sulle zone dello Yemen occupate dai ribelli. Gli attacchi non risparmiano nemmeno i civili.
Hadi rimane in “esilio” a Aden, a sud-ovest del Paese e la città diventa la nuova base del governo yemenita filo-saudita. Al momento è ancora in corso una guerra civile in cui nessuna delle due parti riesce a prevalere.
La catastrofe umanitaria in Yemen
Dall’inizio della guerra in Yemen sono morti oltre 17mila civili. 22 milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari e nel paese imperversa una terribile carestia che ha accresciuto ulteriormente il bilancio delle vittime.
Le Nazioni Unite hanno più volte invitato entrambe le parti a trovare un accordo ma tutti i tentativi di mediazione sono andati falliti.
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La risposta della Russia
Nel frattempo dopo gli attacchi alla raffineria, Washington e Riad si sono dette pronte ad utilizzare le loro riserve strategiche di petrolio (rispettivamente di 630 e di 188 milioni di barili) per far fronte alle perdite della produzione causate dagli attacchi agli impianti che coprono circa il 10 per cento delle forniture mondiali.
Aramco sta lavorando alacremente per ripristinare la piena produzione ma secondo gli esperti occorreranno settimane, non giorni per ristabilire la situazione.
La Russia intanto è in attesa delle prossime mosse del governo saudita, per capire se dopo gli attacchi ad Aramco sarà necessario aumentare la produzione di greggio, così da bilanciare i prezzi globali.
“L’Arabia Saudita afferma che ripristineranno i volumi nel prossimo futuro. Pertanto, è necessario solo aspettare di vedere cosa possono fare i sauditi e quindi seguire da vicino gli sviluppi sul mercato petrolifero che, senza dubbio, ora è sotto pressione”, ha detto oggi il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, citato da Interfax.
Le conseguenze in Italia dell’attacco alle raffinerie
Le conseguenze della diminuzione della produzione di petrolio potrebbero colpire anche l’Italia e Codacons ha lanciato l’allarme: “Le famiglie italiane rischiano una stangata da 320 euro l’anno se la corsa delle quotazioni petrolifere, innescata dall’attacco agli impianti sauditi che ha fermato il 5 per cento della produzione globale dovesse proseguire”.
“Se le quotazioni del petrolio raggiungeranno quota 80 euro al litro -continua la Codacons – i prezzi di benzina e gasolio saliranno almeno di 10 centesimi di euro, con un effetto domino sull’economia italiana, con la benzina che arriverebbe a costare 1.800 euro al litro e il diesel 1.695 euro”, ha aggiunto.