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Home » Esteri

Torture e violenze sessuali sui migranti in Libia

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Un rapporto di Amnesty International rivela gli abusi che i migranti subiscono dai trafficanti di esseri umani e dai gruppi armati sulle coste libiche

Quando un ragazzo di 17 anni, che era stato rinchiuso per mesi in una casa vicino a Sabha, in Libia, ha detto che la sua famiglia in Costa d’Avorio non avrebbe potuto pagare per la sua liberazione, i suoi rapitori non hanno mostrato alcuna pietà.

“Ci hanno torturato per costringerci a chiamare i nostri parenti ed estorcere loro denaro”, ha raccontato il ragazzo, “Se non si paga, non si può uscire”.

“Ho detto al capo della prigione di non avere una famiglia, che tutti i miei parenti erano morti. Lui ha risposto che sarei morto insieme a loro se non avessi pagato. Ho cominciato a piangere, e loro hanno iniziato a picchiarmi con una cintura e un manico di scopa”.

La storia di questo adolescente fa parte di un rapporto dell’organizzazione per i diritti umani Amnesty International, che documenta sequestri, torture e altri abusi da parte dei trafficanti di esseri umani e dei gruppi armati in Libia.

L’organizzazione sostiene che questi orrori stanno spingendo molti dei profughi e dei migranti a “rischiare le loro vite in disperati tentativi di raggiungere un posto sicuro in Europa”.

Queste agghiaccianti testimonianze sono state pubblicate da Amnesty in un momento in cui l’Unione Europea fatica a fronteggiare il crescente numero di persone che tentano di attraversare il Mediterraneo, salpando dalle coste della Libia.

La commissione europea dovrebbe formulare nuove proposte per imporre quote per l’accoglienza dei migranti nei diversi Paesi membri mercoledì, ma si stanno ideando anche piani per attacchi militari volti a sgominare le reti dei trafficanti.

Amnesty ha avvertito che i tentativi di distruggere le imbarcazioni dei trafficanti, prima che queste possano essere usate, rischierebbero lasciare i migranti e i profughi intrappolati in una zona di conflitto.

Ha inoltre sollecitato l’Unione europea a schierare immediatamente le navi per i soccorsi, che erano state promesse in precedenza, dove siano necessarie, e a garantire più punti di accoglienza.

“Introdurre misure per contrastare i trafficanti, senza fornire un’alternativa sicura, percorribile dalle persone disperate che cercano di fuggire dal conflitto in Libia, non risolverà la tragica situazione dei migranti e dei profughi”, dice Philip Lutehr, direttore di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa.

“Le nazioni confinanti, incluse la Tunisia e l’Egitto, devono lasciare aperti i loro confini per garantire rifugio a chiunque stia scappando dalle violenze e dalle persecuzioni in Libia”, ha dichiarato.

Amnesty ha condotto 70 interviste tra agosto 2014 e marzo di quest’anno. Oltre a nuovi immigrati appena arrivati, l’organizzazione ha scoperto che altri migranti, appartenenti a comunità stabilitesi in Libia, stavano cercando di scappare dalla crescente anarchia nel Paese.

Il giovane proveniente dalla Costa d’Avorio è arrivato in Sicilia lo scorso giugno. Ha raccontato che i trafficanti, che lo avevano aiutato a raggiungere la Libia a marzo 2014, hanno consegnato i migranti nelle mani di un gruppo armato che li ha tenuti imprigionati in una casa di tre piani per mesi.

Il giovane ha aggiunto che la “prigione” era gestita da libici ma che anche alcune persone provenienti dal Ghana lavoravano al suo interno.

Mohamed, un profugo somalo intervistato in Sicilia ad aprile, ha detto che il suo gruppo è arrivato in Libia attraverso il Sahara.

“Nel deserto, alcuni uomini libici ci torturavano, ci picchiavano con spade, pistole, pietre e kalashnikov. Ci picchiavano ogni giorno. Mi hanno rotto un dito, a un mio amico un braccio. Non potevamo scappare. Il mio amico Mohamed ha provato a scappare e l’hanno ucciso a colpi di pistola. Un altro uomo era stato colpito in testa con una pietra ed è morto.. sono rimasto un mese, poi hanno pagato per me. Il fratello di mia madre vive in Olanda, ha pagato per me,” racconta.

Il rapporto evidenzia che i migranti e i rifugiati hanno subito abusi durante ogni fase del viaggio dall’ovest all’est dell’Africa verso le coste della Libia.

Molti sono stati sequestrati e torturati per obbligare le loro famigliare a pagare i riscatti.

“Quelli che non sono in grado di pagare sono tenuti come veri e propri schiavi, obbligati a lavorare senza essere pagati, abusati fisicamente e derubati. I trafficanti a volte consegnano i migranti e i profughi a gruppi criminali una volta passato il confine delle aree deserte, oppure nella maggiori città di transito lungo la rotta delle migrazioni, città come Sabha nel sud­ovest o nella città costiera di Ajdabiya nell’est della Libia,” si legge nel rapporto.

Una donna nigeriana ha raccontato ad Amnesty di essere stata vittima di uno stupro di gruppo appena raggiunta Sabha, nel dicembre 2012, dopo che cinque rapinatori armati l’hanno sequestrata insieme al marito.

“Ci hanno portati in un posto lontano fuori dalla città, in mezzo al deserto. Hanno legato mio marito, mani e piedi a un palo, e mi hanno stuprata davanti ai suoi occhi”, racconta.

Amnesty ha scoperto inoltre che gli abusi non sono limitati alle zone del deserto ma che avvengono anche nelle città.

Ibrahim, un giovane di 25 anni originario del Mali, racconta di essere stato sequestrato a Tripoli lo scorso settembre. È stato rinchiuso in una piccola stanza sporca, con altre 46 persone.

“Se hai mille dinar (740 dollari), allora ti lasciano andare. Se non li hai devi restare. Spesso, le guardie venivano e ci maltrattavano. Alla fine ho dovuto pagare per essere liberato. È un vero e proprio business. Ti detengono finché non paghi”, ha aggiunto.

I cooperanti di Amnesty hanno parlato anche di abusi nei centri di detenzione dove i migranti e i profughi, inclusi bambini, possono essere trattenuti a tempo indeterminato.

Una donna ha raccontato che gli ufficiali di un centro hanno picchiato a morte una donna incinta. Chi è stato intervistato da Amnesty ha anche sottolineato il rischio che corrono i cristiani nelle mani di alcuni gruppi armati.

Di recente, l’Isis ha ucciso 49 cristiani, la maggior parte dei quali provenienti da Egitto ed Etiopia.

Charles ha 30 anni e viene dalla Nigeria. Racconta di essere scappato a marzo dopo essere stato sequestrato e violentato da un gruppo di criminali nella città costiera di Zuwara.

“A volte degli uomini giovani venivano nella nostra casa per rubarci i soldi. A volte venivano armati. Sono cristiano ed è per questa ragione che venivano sempre a casa nostra per derubarci e attaccarci”, dice.

“La comunità internazionale è rimasta ferma a guardare mentre la Libia precipitava nel caos, da quando la campagna militare della Nato è finita. Ha effettivamente permesso alle milizie e ai gruppi armati di andare fuori controllo”, dichiara Luther, il direttore di Amnesty per il Medio Oriente e Nordafrica.

“I leader internazionali sono responsabili e devono essere pronti ad affrontare le conseguenze, incluso il gran numero di rifugiati e migranti che scappano dai conflitti e dai crescenti abusi in Libia”.

L’articolo originale è stato pubblicato sul sito di The Guardian.

Traduzione a cura di Irene Fusilli.

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