Amnesty accusa Israele di apartheid: “Ha imposto contro i palestinesi un crudele sistema di dominazione”
Il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha respinto il rapporto come "lontano dalla realtà", accusando Amnesty di antisemitismo
Amnesty accusa Israele di apartheid: “Ha imposto contro i palestinesi un crudele sistema di dominazione”
Israele è colpevole del crimine di apartheid. È la dura accusa lanciata dall’ong Amnesty International nel suo ultimo rapporto, in cui sostiene che lo Stato ebraico impone “un sistema di oppressione e dominazione contro il popolo palestinese”.
Una condanna netta, che arriva dopo decenni di allarmi sulla situazione umanitaria nella regione e a meno di un anno dalla denuncia da parte di un’altra delle principali organizzazioni per la difesa dei diritti umani, Human Rights Watch, che già lo scorso aprile aveva accostato Israele al famigerato regime abolito a inizio anni ’90 in Sudafrica.
Il reato di apartheid è previsto dal trattato istitutivo della Corte penale internazionale, firmato nel 1998, che fa riferimento agli “atti inumani” che sono stati “commessi nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione sistematica e di dominazione da parte di un gruppo razziale su altro o altri gruppi razziale ed al fine di perpetuare tale regime”.
Il ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid ha respinto il rapporto come “lontano dalla realtà”, accusando l’ong con sede a Londra di ripetere “le stesse menzogne condivise dalle organizzazioni terroristiche”. Lapid ha anche accusato Amnesty di antisemitismo. “Odio dire che se Israele non fosse uno Stato ebraico, nessuno di Amnesty avrebbe osato opporsi a esso. Ma in questo caso non ci sono altre possibilità”, ha detto il capo della diplomazia israeliana, che ad agosto del 2023 dovrebbe assumere l’incarico di primo ministro, secondo gli accordi presi con gli alleati di governo.
“Le nostre conclusioni possono scioccare e dare fastidio, e dovrebbero farlo”, ha invece dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, in una conferenza stampa tenuta a Gerusalemme Est. “Alcuni all’interno del governo di Israele potrebbero cercare di distogliere [l’attenzione] da esse, accusando falsamente Amnesty di aver tentato di destabilizzare Israele, o di essere antisemiti, o di aver puntato il dito ingiustamente contro Israele”, ha continuato, “ma sono qui per dire che questi attacchi infondati, queste bugie sfacciate, queste falsificazioni su chi sul ‘messaggero’ non metteranno a tacere il messaggio in un’organizzazione con 10 milioni di membri in tutto il mondo”.
Callamard ha anche dichiarato di essere rimasta colpita dalla “crudeltà del sistema, l’intricata amministrazione del controllo, dell’espropriazione e della disuguaglianza, in continua evoluzione, e la burocratizzazione incredibile e dettagliata su cui si basa quel sistema”, oltre che dalla “sua pura banalità e, a volte, assurdità, che mi hanno tolto il fiato”.
L’ex Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, che in passato ha indagato sull’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, ha esortato la comunità internazionale ad agire in maniera risoluta nei confronti del “crimine contro l’umanità che viene perpetrato al fine di mantenere il sistema di apartheid”. Amnesty ha invitato tutti gli stati a esercitare “la giurisdizione universale per portare di fronte alla giustizia i responsabili del crimine di apartheid”, chiedendo al Tribunale penale internazionale di includere il crimine nella sua indagine riguardante i Territori palestinesi occupati.
“Il nostro rapporto rivela la reale portata del regime di apartheid di Israele. Che vivano a Gaza, a Gerusalemme Est, a Hebron o in Israele, i palestinesi sono trattati come un gruppo razziale inferiore e sono sistematicamente privati dei loro diritti”, ha detto Callamard. “Abbiamo riscontrato che le crudeli politiche delle autorità israeliane di segregazione, spossessamento ed esclusione in tutti i territori sotto il loro controllo costituiscono chiaramente apartheid. La comunità internazionale ha l’obbligo di agire”, ha aggiunto.
Secondo Amnesty, le autorità israeliane hanno introdotto una serie di misure “per negare deliberatamente i diritti e le libertà basilari ai palestinesi, anche attraverso drastiche limitazioni al movimento nei Territori palestinesi occupati, i cronici e discriminatori minori investimenti a favore delle comunità palestinesi residenti in Israele e il diniego del diritto al ritorno dei rifugiati”. Il rapporto, sostiene l’ong, documenta casi di “trasferimenti forzati, detenzione amministrativa, tortura e uccisioni illegali sia in Israele che nei Territori palestinesi occupati”.
L’ong afferma che questi atti “formano parte di attacchi sistematici e diffusi contro la popolazione palestinese, commessi allo scopo di mantenere il sistema di oppressione e di dominazione” e configurano perciò “il crimine contro l’umanità di apartheid”.
“L’esempio più chiaro”, secondo Amnesty, “di come le autorità israeliane ricorrano ad atti vietati per mantenere il loro status quo” è l’uccisione illegale di manifestanti. L’ong fa in particolare riferimento alle proteste della Marcia del ritorno, tenute nel 2018 e nel 2019 lungo il confine tra la striscia di Gaza e Israele. Secondo le Nazioni Unite, durante gli scontri almeno 214 palestinesi, tra cui 46 bambini, sono stati uccisi dalle forze israeliane, che hanno usato lacrimogeni, proiettili di gomma e anche proiettili veri per fermare i manifestanti.
A marzo la procuratrice capo della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, ha annunciato l’apertura di un’indagine su possibili crimini di guerra commessi sia da israeliani che da palestinesi in Cisgiordania, nella striscia di Gaza e a Gerusalemme Est a partire dal 2014. Israele ha dichiarato che non intende collaborare all’indagine, arrivata dopo quasi cinque anni di indagini preliminari.