Gerusalemme, inaugurazione ambasciata Usa: scontri a Gaza, 66 morti
Tensioni per il contestato trasferimento della rappresentanza americana: strage di palestinesi al confine tra la Striscia e Israele
Lunedì 14 maggio 2018 è stato il giorno del contestato spostamento dell’ambasciata degli Stati Uniti in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme.
L’inaugurazione è stata circondata da un clima di forti tensioni, in quanto è un implicito riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello stato ebraico (Cosa significa il riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele?).
Il 16 maggio anche il Guatemala ha spostato la sua ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, seguendo l’esempio degli Stati Uniti, e il 21 maggio è stata la volta del Paraguay.
Intanto, Israele ha convocato gli ambasciatori di Spagna, Belgio e Slovenia per avere dei chiarimenti su voto da loro espresso sulla risoluzione dell’Onu che condannava le violenze a Gaza.
Dal 14 maggio si registrano violenti scontri al confine tra Israele e la Striscia di Gaza, dove sono morte almeno 63 persone e altre 2.700 sono rimaste ferite.
Tre palestinesi sono morti il 19 maggio 2018 in seguito alle ferite riportate negli scontri del 14 maggio durante le proteste nella Striscia di Gaza, secondo quanto riferisce il ministero della Sanità della Striscia, aggiungendo che 50 feriti sono in gravi condizioni.
Il bilancio sale così a 66 morti.
Altri 1.300 palestinesi hanno manifestato in 18 diverse aree della Cisgiordania, ma non ci sono state vittime. A dare la notizia è stato il portale israeliano Ynet.
Hamas ha fatto sapere che 50 vittime appartengono al suo movimento. A rendere nota la notizia è stato Salah Bardawil, uno dei comandanti del gruppo, che non ha però fornito ulteriori dettagli sulle vittime.
Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione per l’invio di alcuni investigatori internazionali nella striscia di Gaza proposta dal Pakistan a nome dell’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oic).
Gli esperti dovranno svolgere delle indagini sulle violenze compiute dall’esercito israeliano contro i manifestanti palestinesi in occasione dell’apertura dell’ambasciata americana a Gerusalemme.
Il 16 maggio 2018, l’esercito israeliano ha attaccato con proiettili di artiglieria alcune postazioni delle brigate Ezzedine al-Qassam, l’ala armataHamas, nel nord della striscia di Gaza.
L’attacco è stato condotto dopo che i miliziani hanno sparato alcuni colpi di arma da fuoco contro i militari israeliani, senza fare vittime. La notizia è stata diffusa dall’esercito israeliano in un comunicato ufficiale.
L’inviato dell’Onu per il Medio Oriente Nickolay Mladenov ha affermato che “non ci sono giustificazioni” per la “tragedia” di Gaza, rivolgendosi sia a Israele che ad Hamas.
Durante il suo intervento al Consiglio di sicurezza, Mladenov ha riconosciuto che Israele “deve proteggere le sue frontiere dalle infiltrazioni e dal terrorismo”, ma deve farlo in modo “proporzionato” e l’Onu deve “indagare in forma indipendente e trasparente” su quanto accaduto a Gaza.
Hamas “non deve usare le proteste per cercare di posizionare bombe sulla barriera di sicurezza e provocare, i suoi miliziani non devono nascondersi tra i manifestanti e mettere a rischio la vita dei civili”, ha proseguito Nickolay Mladenov.
Abu Mazen, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, ha definito un “massacro” le azioni portate avanti da Israele nella Striscia di Gaza e ha indetto tre giorni di lutto nazionale. Secondo il presidente palestinese, “gli Stati Uniti non possono più proporsi come mediatori del conflitto israelo-palestinese”.
Intanto, la Turchia e il Sudafrica hanno richiamato in patria i propri ambasciatori come segno di protesta per i morti palestinesi.
Ankara ha definito “crimini contro l’umanità” e “genocidio” le azioni compiute da Israele contro i manifestanti presenti nella Striscia di Gaza e ha espulso l’ambasciatore di Israele.
Qui abbiamo raccolto le reazioni dei leader del mondo su quanto accaduto a Gaza.
L’inaugurazione dell’ambasciata
Lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, contestato da ampia parte della comunità internazionale, si è tenuto in concomitanza con le celebrazioni per il 70esimo anniversario della nascita dello stato di Israele, ricorrenza che i palestinesi commemorano ogni anno il 15 maggio come la Nakba, la catastrofe.
La cerimonia di insediamento è iniziata alle 16 ora locale (le 15 in Italia).
Alla cerimonia hanno preso parte la figlia del presidente americano Donald Trump, Ivanka, e il genero, Jared Kushner, oltre al segretario del Tesoro, Steven Mnuchin, e al vice segretario di Stato, John Sullivan.
Il presidente non era presente, ma è intervenuto con un messaggio video pre-registrato.
Trump ha sottolineato che Gerusalemme è stata anticamente fondata dal popolo ebraico e per questo gli Stati Uniti hanno riconosciuto la città come capitale di Israele.
“La nostra più grande speranza è la pace, gli Stati Uniti rimangono pienamente impegnati a facilitare un accordo di pace duraturo”, ha detto il presidente americano.
Nel corso della cerimonia ha preso la parole anche il premier di Israele, Benjamin Netanyahu.
“Non abbiamo amici migliori degli Usa. State a fianco di Israele e degli ebrei”, ha dichiarato il primo ministro.
Tensioni e scontri
A partire dalle prime ore del mattino di lunedì si sono registrate violenze al confine tra Israele e la Striscia di Gaza. L’esercito israeliano ha aperto il fuoco contro i manifestanti palestinesi.
Almeno 63 persone sono morte, tra cui otto minorenni, e altre 2.700 sono rimaste ferite, di cui una cinquantina in modo grave, dopo essersi avvicinate alla barriera di frontiera per lanciare pietre.
Tra le vittime c’è una bimba di soli 8 mesi, rimasta intossicata dopo aver inalato gas lacrimogeni.
La bimba si chiamava Leila al-Ghandhour e si trovava sul posto insieme ai genitori: non è chiaro quanto la famiglia fosse vicina alla barriera di sicurezza dove sono avvenuti gli scontri più violenti.
Amnesty International ha denunciato una violazione dei diritti dell’uomo.
Hamas, il movimento che governa la Striscia di Gaza, ha chiamato a raccolta oltre 100mila palestinesi perché si ammassino lungo una dozzina di punti di attrito sul confine e forzino i recinti.
In risposta alcuni jet dell’esercito israeliano hanno lanciato volantini sulla Striscia, esortando gli abitanti a non essere le marionette di Hamas e a restare lontani dal confine con lo stato ebraico.
La vigilia è stata resa ancor più incandescente da un attacco missilistico lanciato da Israele sulla striscia di Gaza, poche ore dopo la decisione del ministro della Difesa Avigdor Lieberman di chiudere la zona di Kerem Shalom, il valico di passaggio commerciale al confine tra Gaza, Israele e Egitto, in seguito a un incendio causato da manifestanti palestinesi.
Nell’ultimo mese e mezzo 55 dimostranti palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano in occasione della Marcia del Ritorno, manifestazione di protesta per chiedere il ritorno dei profughi palestinesi nei territori che attualmente fanno parte dello stato ebraico.
Inoltre, il leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, ha lanciato un appello alla jihad. In un video intitolato “Tel Aviv è anche terra di musulmani”, Zawahiri ha attaccato l’Autorità nazionale palestinese, accusandola di essere “venditori della Palestina”.
Il presidente americano, Donald Trump, “è stato chiaro ed esplicito e ha rivelato la vera faccia della Crociata moderna, l’essere accomodante non funziona con loro, ma solo la resistenza attraverso la jihad”, ha detto al-Zawahiri.
La prossima settimana, inoltre, prenderà avvio il Ramadan, il mese sacro per i musulmani.
La contestata decisione di trasferire
La decisione di Trump di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendola come capitale di Israele, risale al dicembre 2017 ed è stata fortemente osteggiata dalla maggioranza della comunità internazionale.
Il provvedimento ha dato seguito a una legge statunitense del 1995 in cui Gerusalemme veniva riconosciuta come capitale di Israele.
La sua attuazione era stata rimandata dai vari presidenti, per evitare che la decisione facesse sprofondare il Medio Oriente nel caos.
Il 21 dicembre 2017 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha bocciato la decisione di Trump con 128 voti contrari, 9 favorevoli e 35 astenuti.
I paesi favorevoli sono stati Guatemala, Honduras, Isole Marshall, Micronesia, Nauru, Palau, Togo e ovviamente Israele e Stati Uniti.
Alla cerimonia di inaugurazione è prevista la presenza di solo quattro delegazioni europee: Repubblica Ceca, Romania, Austria e Ungheria.