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Allevatori e agricoltori ai tempi della Brexit

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Come si muoverà il Regno Unito una volta che mancheranno i contributi europei che valgono oltre tre miliardi di sterline l’anno, componente fondamentale del bilancio di un imprenditore del settore agricolo e dell’allevamento britannico? Maurizio Carta da Londra

Maurizio Carta corrispondente da Londra. Fra le politiche che concentrano la maggior parte delle risorse dell’Unione europea, un posto d’onore spetta sicuramente alla Pac, la Politica Agricola comune. Settore europeo che si propone di supportare con regole e risorse economiche settori quali l’agricoltura e l’allevamento dell’Unione europea.

Negli anni, il suo peso all’interno del bilancio europeo è andato via via diminuendo, anche se rappresenta ancora la voce di maggiore spesa del bilancio di Bruxelles. Attualmente occupa infatti il 38% del totale del budget, anche se nei primi anni settanta, tale percentuale era quasi al 70%.

Quindi, riassumendo, ogni 100 euro che l’Ue spende, quasi 40 sono destinati al comparto agricolo dei suoi 28 stati mebri. Nel 2014, anno in cui terminava l’ultimo bilancio pluriennale europeo, in testa fra i paesi beneficiari per risorse ricevute stava in vetta la Francia, con circa 8,5 miliardi di euro, seguita da Spagna, Germania e Italia.

Tale sussidio è spesso fondamentale per mantenere in piedi un’azienda agricola e di allevamento. Se infatti il totale del reddito di un’azienda derivante da sussidi al settore è di circa 2% in Australia e meno del 10% in Usa, nell’Unione europea la media rappresenta circa il 20%, o un quinto, dei ricavi totali dell’imprenditore agricolo europeo.

Nel Regno Unito il settore agricolo influisce circa il 0,5% nel prodotto interno lordo, precentuale che negli anni ’70 toccava la soglia del 3%.

Secondo un’indagine svolta dalla National Farmers Union – associazione di categoria con oltre un secolo di storia – i britannici sono autosufficienti nella produzione alimentare per circa il 60% del fabbisogno totale, percentuale in calo negli ultimi trent’ anni quando circa l’80% del prodotto totale era proveniente dall’interno dei propri confini.

Il Regno Unito, riceve ogni anno da Bruxelles oltre tre miliardi di sterline per le quattro nazioni che lo formano: Scozia, Galles, Irlanda del Nord e Inghilterra.

Per quanto riguarda la regolamentazione e la disciplina della materia, il governo centrale di Sua Maestà, tramite la deregulation avvenuta alla fine degli anni ’90 con il governo di Tony Blair, ha delegato tali funzioni direttamente alle nazioni “decentrate”, che si occupano dei pagamenti e della loro disciplina, ovviamente all’interno del perimetro legislativo stabilito da Bruxelles.

Attualmente, pagamenti e regolamenti,  sono entrambi devoluti a Scozia, Galles e Irlanda del Nord e sono soggetti alle politiche europee. La proposta di legge in discussione al parlamento del Regno Unito – che regolamenterà l’uscita dall’Unione europea – propone che questi poteri, come altre “competenze europee decentrate”, debbano tornare a Westminster. Al momento, vi è una situazione di stallo in materia, con i governi scozzese e gallese (più agguerrite rispetto al nord-irlandese al momento senza un governo) a condurre una battaglia per il mantenimento di tali aree di competenza e autonomia decisionale anche quando il Regno Unito non sarà più uno Stato membro dell’Ue.

Il dibattito sul dopo Brexit per le nazioni del Regno Unito

Entrambe le parti – il governo centrale e le nazioni costituenti – hanno concordato sulla necessità di leggi a sostegno del comparto nel Regno Unito, che riguarderebbero in sintesi due settori: quello dei pagamenti a sostegno per gli agricoltori, e i regolamenti/standard dei prodotti da rispettare.

Senza quest’ultimo, il commercio nel Regno Unito sarebbe difficoltoso se non uniformato al suo interno e non sarebbe possibile includere l’agricoltura in futuri accordi commerciali, con l’Unione europea o con paesi terzi. Anche i rappresentanti del comparto agricolo desiderano mantenere i regolamenti dell’Unione europea per consentire il proseguimento degli scambi con l’Europa. Gli stessi standard consentirebbero l’ingresso dei prodotti nell’Unione europea.

Il disaccordo riguarda la forma che prenderebbero queste strutture, imposte da Londra o negoziate tra le quattro nazioni. I governi scozzese, gallese e dell’ Irlanda del Nord, insistono sul secondo. Questi temono la centralizzazione di Westminster, sede del potere centrale, evidenziando il fatto che questo potrebbe rendere  le politiche sull’agricoltura difficoltose poichè non legiferate in base alle esigenze locali.

Di fatto, esiste già una sostanziale divergenza di politiche in tutto il Regno Unito poiché il pieno margine di discrezionalità consentito dalla politica agricola comune, la Pac, è applicato a livello decentrato.

Secondo il Ministero alla Brexit, circa la metà del reddito di un’azienda agricola, nel Regno Unito proviene dai fondi Pac di Bruxelles, ma in Scozia è di tre quarti, nel Galles è dell’80% e nell’Irlanda del Nord dell’87%. Il contributo europeo è fondamentale per chiudere in attivo il bilancio a fine anno.

Nelle parti più remote della Scozia e del Galles, l’agricoltura ha inoltre importanti ruoli sociali e culturali, mentre nella maggior parte dell’Inghilterra si è più concentrati sulla produzione intensiva. Se le future direttive nel Regno Unito saranno troppo “limitanti” e rifletteranno condizioni e priorità inglesi, i territori devoluti potrebbero risentirne. Future direttive che si concentrerebbero quindi sul puntare sulla produzione e non sulla quantità di terra posseduta.

L’altro punto chiave è la spesa in base alla popolazione totale. Attualmente, se si facesse la media per abitante,  l’Irlanda del Nord riceve circa 1400 sterline pro capite dalla Pac, rispetto alle 860 in Scozia e Galles e le 340 in Inghilterra. Denaro, va ricordato, che  proviene da Bruxelles passando per il governo centrale.

Quale modello di politica agricola per il Regno Unito dopo la Brexit e le possibili insidie della concorrenza globale

È probabile, in ogni caso, che i finanziamenti vengano ridimensionati e il governo del Regno Unito ha già chiarito che desidera abbandonare l’attuale modello di sussidi, cercando di avvantaggiare i veri produttori e incentivando ancora di più la salvaguardia ambientale fra i parametri considerati. In tal caso, potrebbe non voler consentire ai governi decentrati di continuare a sostenere l’agricoltura, in quanto ciò potrebbe sconvolgere la concorrenza fra le quattro nazioni del Regno Unito.

Le sovvenzioni attuali sono consentite dalle regole dell’Organizzazione mondiale del Commercio, ma potrebbero cambiare in futuro. Inoltre, va considerato che se una volta fuori dall’Ue si firmassero accordi di libero scambio con produttori agricoli a basso costo come il Sud America e l’ Asia, o con grandi produttori come Australia, ciò potrebbe minare la sopravvivenza dei produttori che affrontano costi più alti nel Regno Unito, anche se gli venisse consentito di continuare a ricevere sussidi.

Il Ministro dell agricoltura Michael Gove ha di recente dichiarato che il comparto agricolo continuerà ad essere supportato dopo la Brexit almeno sino al 2022 con il regime attuale, ovviamente con i soldi britannici anzichè europei.

Un settore, quello agricolo, che soffrirebbe in maniera letale se non si trovasse una soluzione permanente per evitare i dazi doganali sui prodotti, con un’inevitabile ricaduta nel prezzo finale per il consumatore, che rischierebbe di avere avere prezzi non competitivi nell’oceano del commercio mondiale.

Attualmente sono in corso discussioni nelle quattro nazioni per quanto riguarda il futuro della politica agricola ma, fino a quando la struttura del Regno Unito nel post-Brexit non sarà chiara e la parte di autonomia legislativa delle nazioni non sarà stabilita, è difficile capire che direzione prenderà il sostegno di un settore che produce un bene che definire primario appare riduttivo. Il cibo.

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