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L’Iran condanna a morte il ricercatore Djalali: tutto il mondo si mobilita per fermare l’esecuzione

Immagine di copertina
Ahmadreza Djalali Credits: Amnesty International

Rischia di essere ucciso a giorni, dopo una condanna a morte da parte delle autorità di Teheran, il ricercatore iraniano-svedese Ahmadreza Djalali. Specializzato in medicina dei disastri, ha anche lavorato per un periodo in Italia, a Novara, ora rischia di morire con l’accusa di spionaggio: un reato che in quel Paese è punito con l’impiccagione.

Esecuzione rinviata

L’esecuzione della condanna a morte era prevista per oggi, mercoledì 2 dicembre, ma è stata rinviata a data da destinarsi, come ha riferito il legale del ricercatore, Halaleh Mousavian. L’avvocato ha anche dichiarato all’emittente Radio Farda (l’emittente in lingua persiana di Radio Free Europe/Radio Liberty), che il suo cliente non è stato trasferito dal carcere di Evin alla prigione di Rajai Shahr a Karak dove sarebbe dovuta avvenire l’esecuzione.

Mobilitazione internazionale

Per il ricercatore si sono mobilitati in tanti: da Amnesty International a Iran Human Rights, fino al presidente del Parlamento europeo David Sassoli e a tutta la comunità scientifica, inclusa l’Università del Piemonte Orientale di Novara, dove aveva lavorato. Tutti chiedono che gli venga risparmiata la vita, nelle ore in cui i famigliari parlano di un’esecuzione capitale imminente.

Negoziati e ore determinanti

L’avvocato ha dichiarato che l’unico modo in cui potrà essere evitata la condanna è tramite i negoziati con le autorità svedesi. Le notizie sulla sua permanenza in prigione sono state discordanti: Radio Farda ieri ha riportato – citando la madre di Djalali – che le autorità hanno informato l’avvocato di suo figlio che stava per essere trasferito nel carcere di Rajaei-Shahr, dove verrà eseguita la condanna. Secondo l’IHR, i detenuti condannati a morte nel tristemente famoso carcere di Evin, di solito vengono trasferiti a Rajaei-Shahr per essere giustiziati.

Cosa è successo finora

Ma cosa è successo finora? Il dramma di Ahmadreza Djalali, ricercatore irano-svedese esperto di Medicina dei disastri e assistenza umanitaria inizia nel 2016 quando, rientrato in Iran per partecipare ad alcuni seminari ai quali era stato invitato nelle Università di Teheran e Shiraz, viene arrestato e condannato a morte con l’accusa di spionaggio a favore di Israele in un processo che Amnesty International definisce “clamorosamente iniquo”.

Per la procura di Teheran avrebbe fornito al Mossad informazioni su due responsabili del programma nucleare iraniano, che sono poi stati uccisi tra il 2010 e il 2012. Secondo Amnesty, il tribunale che l’ha condannato si è basato essenzialmente su presunte confessioni estorte con la tortura quando il ricercatore era detenuto in isolamento, senza avere accesso a un avvocato.

La moglie di Djalali, Vida Mehrannia, ha riferito che oggi il medico sarebbe stato trasferito nella prigione di Rajài Shahr a Karaj, dove solitamente al mercoledì vengono eseguite le pene capitali. Gliel’ha detto lui stesso qualche giorno fa, quando per la prima volta dopo oltre un mese sono riusciti a sentirsi al telefono “per appena due minuti”. La sua esecuzione, secondo Iran Human Rights – organizzazione con sede a Oslo che si batte contro la pena di morte nella Repubblica islamica – potrebbe essere una rappresaglia per la recente uccisione dello scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh.

Per due volte, dal dicembre 2017, i suoi avvocati hanno invano chiesto una revisione giudiziaria del processo. Al contrario, il 9 dicembre 2018 hanno scoperto che la prima sezione della Corte suprema aveva approvato la condanna a morte senza neanche consentire di presentare una memoria difensiva.

Djalali negli ultimi giorni è riuscito, nonostante l’isolamento, a comunicare che gli “è stato negato l’accesso ad un avvocato ed è stato costretto a fare confessioni davanti a una videocamera leggendo dichiarazioni prestampate dei suoi interrogatori”. Ha detto di essere stato sottoposto a pressioni intense con tortura e altri maltrattamenti, incluse minacce di morte, anche verso i figli che vivono in Svezia e la sua anziana madre che vive in Iran, “al fine di fargli confessare di essere una spia”.

Leggi anche: Iran, ucciso lo scienziato del nucleare: Teheran accusa Israele e annuncia vendetta
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