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L’esportazione della democrazia Usa ha fallito e i Taliban si sono ripresi l’Afghanistan. Reportage dalla Casa Bianca

Immagine di copertina
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden alla conferenza stampa sull'Afghanistan nell'ala est della Casa bianca a Washington DC, il 16 August 2021. Credit: EPA/Oliver Contreras

Ho aspettato un po’ per dire la mia su cosa sta attualmente succedendo in Afghanistan, perché prima volevo sentire, di persona, le parole del presidente Joe Biden questo lunedì alla Casa bianca. Un rientro del democratico a Washington in fretta e furia dalle sue vacanze improvvisamente interrotte, in una sala piena di giornalisti, nonostante il caldo e il fatto che la città fosse mezza vuota in questi giorni, perché le immagini che arrivavano da Kabul obbligavano il presidente a metterci la faccia. A prendersi la responsabilità di questa figuraccia, perché di figuraccia si tratta, mentre Biden, senza battere ciglio, affermava che ritirare le truppe sia stata la cosa giusta da fare e che qualsiasi momento sarebbe stato sempre quello sbagliato. Che il vero scopo era sconfiggere al-Qaeda e Osama Bin Laden per vendicare gli attacchi terroristici di venti anni fa e prevenirne ulteriori.

Parole che non hanno convinto molta gente nella platea dell’ala est della Casa bianca.

Diciamolo senza vergogna: era praticamente impossibile per gli Stati Uniti fare le cose in maniera più raffazzonata di come le abbiamo viste fare in questi ultimi mesi, partendo da Donald Trump con l’annuncio del ritiro l’anno scorso (che ha rafforzato e legittimato i Taliban nei farlocchi negoziati di pace a Doha) e terminando con Joe Biden che lo ha portato a compimento.

Una totale azione unilaterale, senza lasciare nessuna presenza minima sul territorio come deterrente, a mo’ di spaventapasseri. Né militare, né logistica. Quella diplomatica ridotta all’osso. Una completa mancanza di pianificazione, a detta di molti, soprattutto considerando che le forze internazionali in Afghanistan erano già molto diminuite. In soldoni: un ritiro quasi improvvisato, portato avanti in maniera tragicamente amatoriale da persone che sarebbero dovute essere, sulla carta, il top del top a livello mondiale e che, al contrario, sono sembrate completamente impreparate in questo frettoloso “sbaraccare” , mentre i Taliban si riprendevano tutto, giorno dopo giorno, senza una minima opposizione.

Un gesto di quasi menefreghismo per il futuro del paese che, secondo gli esperti di geopolitica, ha fiaccato il morale di tutti gli afghani che ovviamente si sono ritrovati, sedotti e abbandonati, con due ipotesi: resistere e probabilmente morire o evitare di combattere e forse scamparla. Facile intendere quale ipotesi sia stata scelta dalla stragrande maggioranza, per quanto Biden abbia accusato gli afghani di essere dei codardi, di non aver lottato per il proprio destino, di essere gli unici responsabili di questo scatafascio, nonostante tutti gli aiuti generosamente dati in venti lunghissimi anni.

Si poteva fare meglio? Sicuro. Si poteva fare diversamente? Difficile. O Biden seguiva la linea tracciata da Trump o doveva riprendere a combattere i Taliban e magari lasciare la patata bollente a un altro presidente. C’è poco da girarci attorno e, per come si guardi, non c’è una vera opzione che risultasse la migliore. Un autentico fardello bipartitista, quasi un’unicità nel complesso mondo politico americano, che ha coinvolto quattro capi di stato statunitensi, due democratici e due repubblicani, senza che nessuno, da Obama a Trump, passando per Bush Jr.,  trovasse il vero bandolo della matassa. Ammesso poi che un bandolo ci fosse, aggiungerei.

Certo, gli americani speravano che l’esercito e il governo afghano avrebbero tenuto botta, come gli era stato garantito dal presidente Ashraf Ghani (lo stesso che, secondo i rumors, è poi scappato dal Paese con cinque auto piene zeppe di dollari in contanti), ma già a Washington tutti sapevano da tempo che i Taliban sarebbero tornati. Era una semplice questione di tempo. Perché il governo, corrotto e con numeri di unità militari fittizi ed esagerati, era praticamente un fantoccio senza l’appoggio degli Stati Uniti e chi credeva il contrario, sotto sotto, mentiva a se stesso. Nessuno s’immaginava però che la cosa sarebbe avvenuta così rapidamente e in maniera tanto eclatante, tanto da far sembrare gli americani, agli occhi di tutti, quasi in fuga, con la coda fra le gambe, come fecero a Saigon, in Vietnam, nel 1975. Le foto degli elicotteri sulle due ambasciate statunitensi evacuate sono identiche. Persino Biden ha ammesso l’errore e questo la dice lunga.

Il presidente ha difeso la sua decisione a spada tratta, non tornerà indietro e, onestamente, diciamocelo: era ora di ritirarsi perché, anche se gli americani fossero rimasti altri trent’anni, le cose non sarebbero cambiate in Afghanistan come non sono cambiate in un ventennio, con i Taliban che, manco fossero una coriacea gramigna infestante, si sono dimostrati più resistenti di qualsiasi avversità. Famoso il detto del mullah Mohammed Omar, storico leader degli “studenti”: “Voi avete gli orologi, noi il tempo”. 

Altri vent’anni avrebbero portato solo altri morti, tanti altri soldi buttati e nulla di più.

Tuttavia la figuraccia rimane per il presidente democratico, specie perché l’intelligence americana non ha saputo analizzare bene la realtà delle cose, toppando clamorosamente, tanto che in molti prevedono qui a Washington che svariate teste al Pentagono e al Dipartimento di Stato voleranno a breve.

Rimane una domanda: cosa ne sarà di questo Paese? Viene da pensare, maliziosamente, che Trump non abbia ritirato le truppe già nel 2020 proprio per evitare questa situazione: un inquantificabile danno d’immagine per la politica estera degli Stati Uniti, dopo che gli americani hanno speso mille miliardi di dollari, più di duemila soldati americani sono caduti (forse inutilmente) e hanno trascorso tempo invano senza ottenere nessun cambio.

Fatale probabilmente nel 2003 andare a fare la guerra in Iraq, togliendo così risorse per dare la mazzata finale ai Taliban, secondo gli analisti. Sebbene vada chiarita una cosa: la maggior parte della popolazione spingeva per il ritiro già da anni e i Repubblicani stanno criticando ora il presidente solo perché l’occasione è ghiottissima per dargli contro e magari danneggiarlo alle prossime elezioni del 2024.

In tutto ciò, le libertà verranno annichilite, non ci sono dubbi.  Il rischio che l’Afghanistan divenga nuovamente un covo di terroristi è reale, ma dimentichiamoci un possibile ritorno delle forze internazionali di fronte questa emergenza. Non è un’opzione, per ora.

Allo stesso tempo, anche se può sembrare un controsenso, i Taliban stanno negoziando con i pochi pupazzi del governo afghano che sono rimasti, quelli che non sono scappati o si sono camuffati fra la folla, proprio perché sanno che, se tirassero troppo la corda, se tornassero a quello che erano prima dell’11 settembre 2021, la reazione internazionale arriverebbe. Biden dice che il terrorismo si potrà combattere senza essere presenti sul territorio, ma anche questa è sembrata una frase di circostanza, più che di legittima attendibilità.

Al di là di tutto, gli unici che pagano, come in ogni conflitto, sono sempre gli stessi: i poveri cittadini innocenti che non hanno nulla e non possono nulla. In particolare le donne e le minoranze etniche e religiose. Forse l’unica vera speranza è scappare, ma anche quello sembra difficile, mentre il mondo s’indigna e, allo stesso tempo, si volta dall’altra parte, dicendo che certamente si accoglieranno i profughi, ma non troppo.

L’immagine dell’America come poliziotto del mondo oggi viene meno, una volta per tutte, mentre nuove potenze ne prendono e prenderanno il posto, in primis la Cina, che già si è detta pronta a riconoscere i Taliban al potere (e a farci succulenti affari). 

Nel frattempo Joe Biden ha terminato la sua conferenza stampa, se ne va, senza rispondere a nessuna domanda. Deve tornare alle sue vacanze estive e poi, si spera, Dio vedrà e provvederà. Nel frattempo, l’Afghanistan rimane nel caos più totale e un’oscura ombra si staglia sempre più pesantemente all’orizzonte per il suo popolo ormai abbandonato. 

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