Afghanistan, i talebani promettono moderazione: la Russia apprezza. Ue: “Trattare per evitare crisi migratoria”
Alla prima uscita “mediatica” dalla presa di Kabul e dopo un’avanzata travolgente in tutto l’Afghanistan, riconquistato quasi senza combattere a seguito del ritiro occidentale, i talebani fanno bella mostra di moderazione, tentando di rassicurare la comunità internazionale e gli afghani con l’impegno per i diritti delle donne e il rispetto della libertà di stampa, sempre nel quadro della Sharia. Intanto arrivano i primi segnali interlocutori dalle cancellerie mondiali, con l’Unione europea che vuole evitare una nuova ondata migratoria, mentre la situazione sul campo resta complicata.
“Questo è un momento di orgoglio per l’intera nazione”, ha esordito oggi il portavoce del movimento dei cosiddetti studenti coranici, Zabihullah Mujahid, durante la prima conferenza stampa convocata dai talebani al media center della capitale dopo il ritorno al potere. “Dopo 20 anni di lotte abbiamo liberato l’Afghanistan ed espulso gli stranieri”.
Intanto dalla Russia arrivano i primi segnali di apertura, con il ministro degli Esteri Lavrov che sottolinea i passi positivi intrapresi dai talebani, che si sono mostrati aperti a formare un governo con altre forze locali. L’Unione europea dal canto suo resta invece preoccupata dalla possibile nuova ondata migratoria che potrebbe investire il continente e così l’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri, Josep Borrell, ammette che Bruxelles dovrà “parlare” con i talebani.
Le promesse dei talebani
L’esponente talebano ha poi assicurato che il movimento non prepara alcuna “vendetta” e che rispetterà anche la libertà di stampa. “Non ci vendicheremo con nessuno”, ha aggiunto il portavoce dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, che in una dichiarazione rilasciata poco prima della conferenza stampa alla ong Reporters Sans Frontieres aveva promesso che i giornalisti non saranno perseguitati e che alle donne sarà permesso di continuare a lavorare nei media.
“Rispetteremo la libertà di stampa, perché i media saranno utili alla società e potranno aiutare a correggere gli errori dei leader”, ha sottolineato Zabihullah. “Attraverso questa dichiarazione a Rsf, dichiariamo al mondo che riconosciamo l’importanza del ruolo dei media: i giornalisti che lavorano per le testate statali o private non sono criminali e nessuno di loro sarà perseguito”.
Un’affermazione piuttosto sorprendente visti i precedenti del gruppo, che in questo slancio di moderazione (almeno a livello mediatico) va anche oltre. I talebani infatti promettono di “impegnarsi per i diritti delle donne nel quadro della Sharia”. Lavoreranno fianco a fianco con noi. Non ci saranno discriminazioni”, ha assicurato Zabihullah. “Nessuno sarà danneggiato, non vogliamo avere problemi con la comunità internazionale”.
Nonostante queste rassicurazioni, il movimento non ammette cambiamenti rispetto al passato. Alla domanda di un giornalista straniero su quale sia la differenza fra i talebani di oggi e quelli che governarono l’Afghanistan negli anni Novanta prima dell’invasione occidentale, il portavoce ha etichettato il quesito come “ideologico”. “Non ci sono differenze”, ha ribadito Zabihullah. “Eravamo e siamo musulmani. Le differenze riguardano l’esperienza acquisita e saranno positive: la nostra politica sarà complementare a quella di allora”.
Il portavoce ha poi riaffermato come il movimento abbia “il diritto di agire secondo principi religiosi”. “Altri Paesi hanno approcci e regolamenti diversi e gli afghani hanno il diritto di avere le proprie regole in accordo con i nostri valori”, ha sottolineato Zabihullah, confermando però che i talebani non vogliono più “nemici esterni né interni”.
“Vogliamo assicurarci che l’Afghanistan non sia più un campo di battaglia”, ha dichiarato l’esponente talebano. “Abbiamo perdonato tutti coloro che hanno combattuto contro di noi. Le animosità sono finite”. Tornando sull’avanzata nella capitale, Zabihullah ha giustificato l’ingresso dei combattenti con l’esigenza di “garantire la sicurezza dei cittadini” di Kabul.
“Il nostro piano era di fermarci alle porte di Kabul in modo che il processo di transizione potesse essere completato senza intoppi”, ha affermato il portavoce dell’Emirato islamico dell’Afghanistan. “Ma sfortunatamente il governo precedente era così incompetente e le loro forze dell’ordine non potevano fare nulla per garantire la sicurezza. Dovevamo fare qualcosa”.
Per il futuro però il movimento si impegna a combattere i mali endemici del Paese, come la corruzione, il traffico di droga e il terrorismo. I talebani infatti promettono che l’Afghanistan non sarà più un centro per la coltivazione del papavero da oppio o per il traffico di stupefacenti e che il Paese non darà asilo a terroristi.
“Con i talebani al potere l’Afghanistan non sarà più il centro della coltivazione del papavero da oppio o del traffico di droga”, ha assicurato Zabihullah. Anzi, secondo il portavoce, la nuova amministrazione afgana “avrà bisogno del sostegno internazionale per promuovere un’alternativa alla coltivazione del papavero”. Non solo: rispondendo ad una domanda sul rischio che l’Afghanistan torni a dare asilo a foreign fighter e terroristi legati ad al-Qaeda, Zabihullah ha ribadito: “Il suolo afghano non sarà utilizzato contro nessuno, possiamo assicurarlo”.
Le prime aperture delle cancellerie mondiali
A quanto pare, la moderazione dimostrata (almeno a parole) dai talebani sembra aver già riscosso timidi segnali di apertura da alcune importanti cancellerie mondiali, in primis dalla Russia, la cui ambasciata a Kabul insieme a quelle di Cina e Pakistan continua a operare normalmente.
Questa mattina, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha sottolineato i primi segnali “positivi” lanciati dai talebani in Afghanistan, ma ha ribadito che Mosca non tratta con i terroristi. “Il fatto che i talebani stiano ora dichiarando, e dimostrando nella pratica, la loro volontà di rispettare l’opinione degli altri è, credo, un segnale positivo”, ha affermato Lavrov in una riunione con il personale docente della regione di Kaliningrad, come riportato dall’agenzia di stampa Interfax. “In particolare hanno detto che sono pronti a discutere di un governo in cui non ci siano solo loro ma che preveda anche la partecipazione di altri rappresentanti afgani”.
Il ministro ha poi ribadito che la Russia interagirà “con varie forze politiche in Afghanistan” solo se non legate al terrorismo. “Ho detto che la Russia interagirà con le forze politiche, il che esclude i gruppi che sono stati collegati ad al-Qaeda o all’ISIS: queste sono organizzazioni puramente terroristiche e non le elenchiamo come gruppi politici”, ha aggiunto Lavrov. A esclusione però dei talebani, che in Russia sono considerati un’organizzazione terroristica. “Hanno un ufficio politico comunemente riconosciuto” e la Russia “ha negoziato e sta negoziando con loro”, ha ammesso il ministro.
Un’apertura seguita nel pomeriggio dalle dichiarazioni del premier britannico, Boris Johnson, che non ha escluso a priori un riconoscimento dei talebani. In un colloquio con il primo ministro del Pakistan, Imran Khan, il capo del governo di Londra ha affermato che un eventuale riconoscimento dei talebani avverrebbe “su base internazionale e non unilaterale” e sarebbe comunque “soggetto al rispetto degli standard concordati internazionalmente sui diritti umani e dell’inclusione”.
Insomma, più che altro una presa d’atto della realtà, come quella arrivata anche dall’Unione europea, i cui ministri degli Esteri si sono riuniti oggi in un incontro informale in videoconferenza alla presenza dell’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e del ministro Luigi Di Maio.
“Dovremo metterci in contatto con le autorità a Kabul, chiunque ci sia, i talebani hanno vinto la guerra quindi dobbiamo parlarci, per discutere ed evitare un disastro migratorio e una crisi umanitaria” oltre a “impedire il ritorno del terrorismo“, ha ammesso il capo della diplomazia comunitaria al termine della riunione, sottolineando però che questo non significa riconoscere ufficialmente un governo formato dagli studenti coranici, non ancora per lo meno. Le priorità dell’Ue infatti sono altre al momento, come sottolineato dal responsabile della Farnesina che chiede a tutto l’Occidente di riflettere su quanto accaduto.
“Non potremo esimerci, come Occidente, da una riflessione approfondita sugli errori commessi e sulle lezioni da apprendere dall’intervento ventennale in Afghanistan“, ha dichiarato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio intervenendo in collegamento video alla riunione ministeriale informale del Consiglio affari esteri dell’Unione europea. “Ora tuttavia è necessario definire una strategia condivisa: nella visione italiana, l’approccio europeo dovrebbe articolarsi attorno ad alcune priorità”. Tra queste: “la protezione dei civili” e “la messa in sicurezza degli afghani che hanno collaborato con la comunità internazionale”.
“Abbiamo il dovere morale di non voltare le spalle all’Afghanistan. Dobbiamo restare uniti, come Unione europea e in collaborazione con i nostri partner della Nato“, ha proseguito Di Maio. “L’Italia continuerà il proprio impegno, rivolgendo un’attenzione speciale a donne e giovani e proseguendo, per quanto possibile, con progetti di cooperazione”. “Al riguardo l’Italia, finché le condizioni lo consentiranno, proseguirà le operazioni di evacuazione di altri connazionali e di cittadini afghani che hanno sostenuto la nostra ambasciata e il nostro contingente militare”, ha quindi sottolineato il ministro. “Nei prossimi giorni dovremmo lavorare a un’iniziativa coordinata a livello internazionale per assicurare voli umanitari e far sì che all’emergenza si sostituisca un processo organizzato”.
Un obiettivo ribadito anche dal presidente del Consiglio Mario Draghi nel corso di un colloquio telefonico avuto questa mattina con la cancelleria tedesca, Angela Merkel, con cui secondo una nota di Palazzo Chigi ha discusso la protezione umanitaria di quanti in questi anni hanno collaborato con le istituzioni italiane e tedesche e delle categorie più vulnerabili, a partire dalle donne afghane.
La situazione sul campo
Intanto la situazione in Afghanistan resta ancora confusa. I talebani controllano, secondo quanto affermato da alcuni esponenti locali, poco più del 70 per cento della capitale Kabul. Secondo l’amministrazione americana, l’aeroporto della città opera regolarmente e non sono stati registrati scontri tra il gruppo e le truppe occidentali impegnate nelle evacuazioni.
Eppure, secondo il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, gli stranieri che vogliono recarsi nello scalo “vengono lasciati passare”, ma per le forze locali afghane la situazione è “decisamente più pericolosa, perché non vi è garanzia che ottengano il lasciapassare ai punti di controllo dei talebani”. “Ad alcuni riesce”, ha aggiunto oggi Maas durante una conferenza stampa a Berlino. Con gli americani e gli altri partner il governo tedesco lavora per provare a rendere “più sicuro” il percorso anche per gli afghani nell’ambito della missione di evacuazione.
Proprio oggi è poi tornato in Afghanistan il mullah Abdul Ghani Baradar, considerato il leader politico dei talebani, sbarcato a Kandahar con una delegazione del gruppo. Capo politico dei negoziatori durante i colloqui di pace di Doha in Qatar e co-fondatore del movimento insieme al mullah Omar, Baradar è ufficialmente rientrato nel Paese per discutere con gli altri leader locali la formazione di un nuovo governo. A guidare il ritorno della teocrazia e dell’Emirato islamico, nuovamente proclamato dopo vent’anni, potrebbe essere proprio il mullah arrivato oggi nella seconda città più grande del Paese.
L’avanzata talebana però sembra cominciare a trovare qualche resistenza, almeno a livello politico. Il vice presidente del governo afghano travolto dai talebani, Amrullah Saleh, si è infatti dichiarato capo di Stato ad interim del Paese, dopo la fuga del presidente, Ashraf Ghani, e ha lanciato un appello alla “resistenza”. “Non mi piegherò mai davanti ai terroristi Talebani“, ha scritto oggi Saleh su Twitter. “Non starò mai sotto lo stesso tetto con i Talebani. Mai”. “È inutile discutere ora dell’Afghanistan con il presidente degli Stati Uniti. Noi afghani dobbiamo dimostrare che l’Afghanistan non è il Vietnam. A differenza degli Usa e della Nato noi non abbiamo perso lo spirito. Unitevi alla resistenza!”.
Tutto questo prima di proclamarsi presidente ad interim. “In base alla costituzione dell’Afghanistan, in caso di assenza, fuga, dimissioni o morte del Presidente, il Vice presidente diventa Presidente ad interim”, ha rimarcato Saleh. Attualmente sono nel mio Paese e sono il legittimo presidente ad interim. Mi rivolgo a tutti i leader per ottenere il loro sostegno e consenso”.