L’ex ministra della comunicazione afghana a TPI: “Coi talebani bisogna dialogare per farli cambiare”
“I talebani sono destinati a cambiare perché il loro governo ha bisogno del sostegno internazionale o collasserà, già assistiamo a un caos incontrollato. Tutto è nelle mani delle grandi potenze”. Raggiunta ieri telefonicamente da TPI in Turchia, a parlare è Masooma Khawari, 36 anni, fino a qualche settimana fa Ministro delle Comunicazioni e Information Technology del governo afghano del presidente Ashraf Ghani, rovesciato lo scorso 15 agosto dai talebani.
Impegnata nell’ammodernamento dello Stato centroasiatico e nell’emancipazione femminile – che dal 2001 ha raggiunto traguardi prima impensabili con milioni di bambine tornate a scuola e il 27% di donne tra i parlamentari afghani – Khawari oggi fatica a vedere un futuro per la sua terra. “Tutto rischia di essere azzerato, dopo 20 anni di sacrifici della popolazione, costi umani e concreti elevatissimi”.
Sono, d’altra parte, le stesse ore in cui un attentato-kamikaze all’aeroporto di Kabul ha ucciso 13 soldati Usa e 90 civili, rivendicato dai guerriglieri dell’Isis, che non hanno esitato a accusare i mullah afghani di essere in combutta con Washington. “Un intervento armato straniero è impensabile, la comunità internazionale deve forzare i talebani a cambiare, usando la leva dei diritti umani, non la logica dei propri interessi, energetici e di influenza – dice Khawari – Le grandi potenze devono subordinare programmi di assistenza allo sviluppo dei diritti umani”.
Una strada non ideale ma percorribile per l’ex ministra, che ne spiega le ragioni. “I talebani non possono controllare il Paese con il solo uso della forza, perché la popolazione, oltre che terrorizzata, rischia di diventare presto affamata”, spiega Khawari, in riferimento al blocco dei fondi finora utilizzati da Kabul per pagare l’amministrazione statale e locale. C’è poi la siccità che da settimane sta devastando i raccolti alimentari. “Penso inoltre – aggiung e- che i combattenti talebani che oggi atterriscono la popolazione andando a caccia di ‘collaborazionisti’, non avranno posto nel futuro governo perché sono tutti analfabeti e incapaci di svolgere il lavoro di amministrazione di governo”.
Un dialogo, per Khawari, è tuttavia possibile con “funzionari talebani” (personalità sì integraliste, ma con un grado di istruzione più elevato), ai quali però, “andrebbe chiesto, in maniera chiara e inequivocabile: siete consapevoli delle atrocità commesse prima dell’11 settembre 2001, come la lapidazione di donne, fustigazioni e esecuzioni sommarie, omicidi a danno di civili, anche bambini? Siete disposti a scusarvi pubblicamente con il popolo afghano?”.
L’ex ministra esprime tuttavia sfiducia rispetto all’ipotesi che le potenze globali useranno la forza nella diplomazia in questa direzione. “Oggi vediamo il mondo intero affermare con una sola voce che non riconosceranno il governo dei talebani e si scandiscono slogan sul rispetto dei diritti umani, ma così come abbiamo assistito al ritiro precipitoso e irresponsabile delle forze straniere, temo che gli Stati prenderanno decisioni in base ai loro interessi”.
Lo sguardo è anche alla Cina, che si è detta pronta a “relazioni amichevoli con i talebani, sebbene non si conoscano i dettagli dei recenti accordi presi tra le due parti”. “La terribile contraddizione è che da un lato il mondo sta sbandierando slogan umanitari e dall’altro, la maggior parte dei Paesi chiude le frontiere agli sfollati – dice ancora Khawari- I visti umanitari totali finora concessi agli afghani non superano i 50.000 e non ho sentito ancora parlare di un piano per le centinaia di migliaia di sfollati a cui sono stati chiusi i confini”.
Quindi un appello anche all’Italia, al premier Mario Draghi, al quale si rivolge come padre: “So che lei è un padre, così come io sono madre di tre figli”, e come tale “si metta nei panni di un uomo afghano, che con la sua famiglia è esposto a morte, fame, povertà, per errori fatti da altri. Se può interceda presso l’Unione Europea, per salvare l’Afghanistan da una catastrofe umanitaria, dove a pagare il prezzo più alto sono donne e bambini”.
Kawari conclude con una richiesta anche alle attiviste italiane a difesa delle donne: “Dopo il coraggio dimostrato nei primi giorni della presa di potere talebana, oggi scrittrici e giornaliste afghane hanno silenziato la loro voce per paura, così come tanta gente comune, chiusa in casa ignara di cosa le aspetta, e i media (150 emittenti radio e 50 tv), si stanno ‘spegnendo, parlate voi per noi’”.
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