Attacco al cuore dell’Europa
L'opinione di Carlo Brenner in seguito agli attentati di Parigi
Parigi, 13 novembre 2015, luogo e data che resteranno per sempre nella nostra memoria, non solo dei francesi ma di tutti noi, europei.
Noi viviamo in un mondo che ha deciso di mettere da parte la religione e di basare la propria coesistenza su istituzioni laiche. È bene ricordarsi, oggi, chi siamo e che idee rappresentiamo.
Rispettiamo le religioni, le tradizioni e le preferenze di ciascuno a patto che tutti si sottomettano alle leggi dello stato. È evidente che alcuni hanno deciso di non sposare questa visione, coloro che condividono con noi diritti, doveri e un insieme di valori che dicono di odiare.
Bene, se c’è questo odio, non sono obbligati a sottomettersi. La nostra cultura offre anche questa possibilità. Noi rappresentiamo un mondo dove, in principio, ognuno è uguale davanti alla legge, non davanti a Dio. In Europa abbiamo deciso che chiunque può essere cristiano, musulmano, buddista, induista a patto che sia, innanzitutto, italiano, francese, inglese, spagnolo.
Questo è quello che rappresentiamo quando diciamo di essere europei. Chi decide di accettare il nostro modo di vivere sarà sempre bene accetto, ma non possiamo piegarci al fanatismo che desidera sottomettere tutti al volere di un Dio.
Abbiamo la responsabilità di proteggere la visione del mondo che rappresentiamo, senza imporla agli altri, ma mantenendola viva come scelta per chiunque.
Una cosa che non ho mai capito della religione è: per quale motivo Dio, che tutte le religioni rappresentano come il più alto degli esseri, dovrebbe essere infastidito se non ascoltiamo la sua parola.
Io, che sono un uomo, sono disposto ad accettare l’opinione altrui. Ogni tanto mi arrabbio ma, quando succede, mi sento molto debole, molto umano. Perché Dio dovrebbe essere più debole di me e pretendere il rispetto con la forza, come un bullo.
È evidente che gli estremisti che hanno attaccato Parigi operano con tanta convinzione proprio perché certi di essere nel giusto ma come fanno a credere che Dio sia così capriccioso.
Non ho mai creduto ai concetti di giusto e sbagliato in assoluto, credo che ognuno debba compiere una scelta soggettiva sulla base degli elementi a disposizione per prendere una parte. Confrontando le idee proposte dall’Europa e quelle rappresentate dal Califfato non ho dubbi su quale prendere.
È arrivato il momento per l’Europa di rendersi conto che gli uomini di Londra, Parigi, Roma, Madrid e Lisbona condividono gli stessi principi e rappresentano un modello comune di convivenza.
Non dovremmo pensare ai sette attentati di venerdì come a un evento francese, ma come a un attacco al cuore dell’Europa, intesto come cuore sia geografico che morale. Non dobbiamo aspettare di essere attaccati anche a Roma: siamo stati già colpiti, nei nostri valori, che sono più importanti di qualsiasi luogo fisico.
Per questo noi europei non possiamo più continuare a considerare gli Stati Uniti il nostro protettore, ma dobbiamo essere noi stessi a esprime il nostro potenziale, a emanciparci, senza aver paura di ammettere che la sicurezza è una responsabilità dello stato e un diritto del cittadino.
Riguardo al nostro nemico non dobbiamo lasciarci prendere da un odio generalizzato verso il mondo islamico, come ha fatto ieri il titolo di Libero: non sono gli islamici il nostro nemico. La religione è solo una preferenza che gli stati occidentali permettono di esprimere a chiunque.
A guardare i dati, le prime vittime del sedicente Stato islamico sono i musulmani stessi. Fortunatamente una buona parte della nostra opinione pubblica e dei nostri politici l’ha già capito, ma non tutti.
I più intransigenti nel nostro panorama politico sono alcuni elettori di destra ma ieri, durante una conferenza del Partito popolare europeo (Ppe) al palazzo delle stelline a Milano, Antonio Tajani, Paolo Romani e altri colleghi di partito hanno portato sul tavolo idee razionali, ponderate e hanno cercato di far ragionare i più estremisti. Buoni segnali.
È necessario dare spazio ai musulmani moderati e non associarli agli estremisti. Per vincere questa guerra è importante capire cosa spinge i terroristi a dare la loro vita per uccidere, oltre alla follia.
Venerdì a Parigi tutto è iniziato alle 21 e 20, prima detonazione di fronte allo stadio dove si stava giocando l’amichevole Francia-Germania. Io guardavo un’altra partita, Italia-Belgio, quando mi arriva una notifica sul cellulare: 18 morti a Parigi.
Non capisco subito l’importanza dell’evento ma metto il telegiornale per capire che succede. La situazione sembra degenerare minuto dopo minuto.
Ore 21:27, di fronte al bar Le Carillon e al ristorante Le petit Cambodge arriva una Seat nera con a bordo dei terroristi che aprono il fuoco con dei kalashnikov, ci sono vittime e feriti gravi. Tra i terroristi ci sono anche kamikaze con giubbotti esplosivi.
Ore 21:32, sparatoria nel XI arrondissement, 5 morti, gli attentatori sono sempre a bordo di una Seat nera.
Ore 21:36, altra sparatoria in Rue de Charonne al ristorante La Belle Equipe, 19 morti, sempre Seat nera. Ci sono anche feriti molto gravi.
Poco dopo anche in Rue de Voltaire succede qualcosa: un kamikaze si fa esplodere in un ristorante, stesso dispositivo usato per gli attentati avvenuti fuori dallo stadio di Francia. Il proprietario rimane ferito gravemente.
Tra le 21:36 e 21:54 si nota una Seat nera all’esterno del teatro Le Bataclan. Tre attentatori fanno irruzione e sparano durante il concerto di un gruppo rock americano, gli Eagles of Death Metal. Fa particolarmente impressione l’attentato a Le Bataclan perché era un posto frequentato da tantissimi ragazzi, molti miei amici ci sono stati nelle serate precedenti.
È un locale come l’Alcatraz a Milano o il Quirinetta a Roma. Alcuni testimoni segnalano che gli attentatori erano tre ragazzi giovani, non più di 25 anni, parlavano di Iraq e Siria. Si dimostravano molto tranquilli e giustiziavano gli ostaggi uno ad uno.
Scrivo ad Amèlie, appena arrivata a Milano da Parigi, mi dice che la sua migliore amica è dentro a Le Bataclan, ha mandato un sos dal suo cellulare e poi più nessuna notizia. Dopo mezz’ora Amèlie mi riscrive, la sua amica è scappata dai tetti e si è rifugiata a casa di qualcuno lì di fianco.
Il presidente Hollande aveva da poco chiesto ai francesi di aprire le porte di casa per le vittime in cerca di rifugio. Il tetto sarà lo stesso posto da dove, tre ore più tardi, entreranno le forze speciali della polizia francese per eseguire un blitz. L’esito di quest’ultimo vedrà un terrorista ucciso da un poliziotto mentre gli altri due si faranno esplodere con i loro giubbotti esplosivi.
Ore 21:54, vicino allo stadio si sente un’altra esplosione, l’ennesimo kamikaze.
Si parla anche di spari a Les Halles ma le voci non sono confermate.
Il presidente Hollande era stato evacuato dallo stadio dopo le prime esplosioni. Informato sulla situazione, è apparso in televisione per dichiarare lo stato di emergenza e la chiusura delle frontiere. Misure di una gravità estrema.
Dai telegiornali non riesco a capire quanti siano stati i morti, i numeri variano tra 40 e 60 ma continuano a contraddirsi. I giornali di questa mattina hanno titoli diversi, chi si ferma a 60, chi a 90, chi a 158.
Infine, poco fa François Molins, procuratore di Parigi, fornisce i numeri ufficiali: 129 morti ai quali si aggiungono 8 terroristi. Oltre ai morti ci sono 352 feriti, dei quali 99 molto gravi.
Oggi è stato aperto un dossier sul quale stanno indagando 22 magistrati. I livelli di sicurezza sono aumentati e il coordinamento delle operazioni è stato affidato all’antiterrorismo.
Pare che siano tre i gruppi terroristici all’origine dell’attacco. Come nel caso di Charlie Hebdo, la polizia francese rivela delle notizie che non danno una buona impressione del loro lavoro: alla base degli attentati c’è un individuo conosciuto alla polizia, mai stato imprigionato, ma era già stato segnalato per atteggiamenti radicali.
Vicino al corpo di un kamikaze è stato trovato un passaporto siriano, quest’uomo, invece, non era noto ai servizi segreti. Testimonianze e video hanno permesso di riscontrate un fil rouge tra gli attentati: il veicolo nero marca Seat e i giubbotti esplosivi, tutti uguali.
La macchina era stata affittata da un nazionale francese residente in Belgio. L’individuo era però su un altro veicolo, una Polo, è stato fermato e interrogato. I dettagli delle indagini sono, tuttavia, ancora segreti. Per chiunque si trovi a Parigi segnaliamo il numero di emergenza fornito dalle autorità: +33 (0) 800406505.
Nel frattempo, dopo gli avvenimenti, il presidente iraniano Rouhani ha annullato il suo viaggio in Europa. Altro segnale che il “vecchio continente” è considerato come un blocco unico. Dobbiamo solo rendercene conto noi adesso.