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Home » Economia

Tremonti smentisce Conte: “Il premier sbaglia e non conosce la storia degli eurobond”

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L’ex ministro Giulio Tremonti contro il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, dagli eurobond al Mes: “Non conosce la storia”. Intervista di Cecilia Sala su Tpi.it

Professore, Conte dice che il governo Berlusconi, di cui lei era ministro dell’economia, ha dato impulso al MES. Fa un po’ di confusione, nel 2012 al governo c’era Monti. Il vostro esecutivo era caduto l’anno prima. Ciò non toglie che le prime discussioni sul MES in Europa iniziarono già nel 2010, all’Eurogruppo del 9 maggio in cui proprio lei rappresentava l’Italia…
Conte cita continuamente gli eurobond, ma non ne conosce la storia. Io ero favorevole a un fondo di solidarietà, a un fondo salva-Stati (MES, ndr), ma finanziato appunto con emissioni di debito comune a livello europeo, eurobond. In quei mesi, e all’Eurogruppo di cui lei parla, stavo portando avanti quella linea, riuscendo a farmi degli alleati. Di quello che le dico c’è una prova, ed è pubblica: un articolo apparso sul Financial Times il 6 dicembre del 2010 a firma Giulio Tremonti e Jean-Claude Junker. Il titolo era: “Eurobonds would end the crisis”. Proponevamo come soluzione alla crisi quella di emettere eurobond per finanziare un fondo salva-Stati, i prestiti ai paesi sotto stress sarebbero stati coperti dall’emissione di titoli comuni europei, non proponevamo certo di bilanciare tale aiuto con misure draconiane come quelle della Troika, di cui abbiamo visto l’effetto devastante in Grecia. Questo è il tipo di MES a cui lavoravo all’epoca, non avrei mai firmato un trattato che, invece, imponesse la Troika, e non l’ho fatto.
Era il 2010, nel 2011 cambia tutto. La lettera della BCE all’Italia, firmata da Trichet e Draghi, ci impone condizioni stringenti se vogliamo che la BCE continui con l’acquisto di titoli del nostro debito. Il vostro governo cade, arriva Mario Monti. E la proposta degli eurobond in Europa che fine fa?
Mi permetta un passo indietro. Già nell’ottobre del 2008 scriviamo una proposta italiana, che ambiva a diventare una proposta europea in vista del G20. Io mi permettevo di far notare che c’era la crisi finanziaria e nei nostri trattati la parola “crisi” non compariva mai, erano trattati “in positivo”, direi ingenui. Invece le crisi arrivano, e una volta superata una se ne presenta un’altra in forme che non prevediamo, come in un videogame: arriva un mostro, lo batti, ti rilassi e arriva un mostro più grande del primo.

Il primo mostro è la crisi finanziaria del 2008, il secondo la pandemia che stiamo vivendo.
Ecco, perché sono tornato al 2008. In quel G20 otteniamo un impegno dell’Europa per contribuire a disegnare le regole dell’economia mondiale: passando dal “free trade” al “fair trade”. Da un mercato completamente “libero”, a un mercato “corretto”. Doveva essere questa la voce europea nella globalizzazione. Il documento proposto è il Global Legal Standard, votato anche dall’OCSE. Pensi che all’articolo 4 c’era scritto: “rispetto delle regole ambientali ed igieniche”. Igieniche, in tutto il mondo. Regolare la globalizzazione serviva anche a questo. Ma la proposta fu bocciata dal Financial Stability Board, allora presieduto proprio da Mario Draghi.
Torniamo al 2011, gli eurobond erano sul tavolo. Sono stati spazzata via dagli eventi?
Nel 2010 si discute di eurobond, poi tutto crolla. C’è la famosa passeggiata tra Angela Merkel e Nicholas Sarkozy a Deauville, al termine della quale dichiarano che se un Paese si trova in stato di insolvenza, chi detiene i suoi titoli di stato – privati, investitori, famiglie – dovrà pagarne le conseguenze. Quelle parole scatenano un attacco spaventoso sui mercati. Lo spread si impenna, in Italia noi andiamo via e al nostro posto arriva Mario Monti. In Grecia viene utilizzato il fondo salva-Stati, ma – come abbiamo detto – il MES non viene finanziato con eurobond. Il popolo greco subisce la Troika. Oggi la stessa Christine Lagarde – presidente della BCE, all’epoca parte della Troika come presidente del Fondo Monetario Internazionale – ammette che molti dei soldi chiesti dalla Grecia al MES sono poi finiti alle banche tedesche e francesi.
Questo perché lo Stato greco era fortemente indebitato con quelle banche.
Quel fondo si chiama salva-Stati, usandolo così non abbiamo certo aiutato la Grecia. Le banche tedesche e francesi erano comunque piene di titoli tossici che avevano poco a che fare con il debito pubblico. Mi domando, perché la crisi finanziaria che negli USA è stata la crisi dei grandi istituti finanziari pieni titoli spazzatura, non si è manifestata allo stesso modo anche da noi? In Europa, se le banche francesi e tedesche erano a rischio per 200, quelle italiane lo erano solo per 20. Mi viene da pensare che l’uscita di Merkel e Sarkozy a Deauville non fosse un gigantesco errore, bensì un modo per distogliere l’attenzione dai problemi della banche e dirottarla su quelli del debito pubblico. Nello specifico, distoglierla da Germani e Francia e dirottarla verso l’Italia, la Grecia, l’Irlanda. A Deauville c’è l’origine dell’attacco sugli spread, dell’attacco all’Italia. Poi il 5 agosto arriva anche la famosa lettera di Draghi, che ci chiede l’anticipo del pareggio di bilancio. Non austerità, iper austerità!
Ma l’attacco allo spread si è poi trasformato in attacco all’euro, con tutti i paesi coinvolti.
Infatti è in quel momento che si cambia registro, perché l’euro doveva essere salvato. Capiscono che le conseguenze di ciò a cui avevano dato impulso a Deauville sarebbero andate oltre noi, oltre la Grecia. E, per salvare la moneta unica, arriva il “Whatever it takes” di Mario Draghi, con il quale si salvano da sé stessi.

Arriviamo a oggi. Che opinione ha – nel merito, tenendo conto che in Europa siamo in tanti e bisogna fare dei compromessi – degli strumenti per affrontare la pandemia proposti dall’Eurogruppo?
Il risultato dell’Eurogruppo è stato “We agree to desagree”. Ma questa volta il tempo stringe davvero. A leggere la proposta, ancora provvisoria, questa Europa mi sembra un’agenzia bancaria. Uno sportello a cui dobbiamo rivolgerci indossando la mascherina e mantenendo la distanziata di sicurezza di almeno un metro mentre siamo in coda. Tra i servizi bancari offerti alla gentile clientela c’è il piano SURE. Mi fa sorridere che abbiamo conservato l’uso della lingua inglese, ma non l’Inghilterra. Mi ricorda di quando il ministro tedesco Schäuble voleva cacciare la Grecia dall’Unione. Io gli spiegai che per farlo avrebbe dovuto requisire le banconote in circolazione e ristamparle tutte, perché sulle banconote c’è scritto “euro” in caratteri greci. Lui entra in crisi. Allora dico: “guarda, ho una soluzione, resta comunque Cipro”. Tira un sospiro di sollievo e mi ringrazia sinceramente, senza alcuna ironia. Adesso potremo continuare a usare l’inglese perché ci resta l’Irlanda: quindi SURE.
Si tratta di un fondo per finanziare la cassa integrazione che verrà attivata nei paesi dell’Unione.
L’uso di fondi europei per la cassa integrazione ha senso, lo avevo già fatto io nel 2009. Ma c’è una dettaglio importante, il bilancio europeo non è ancora stato approvato. Quindi, di cosa stiamo parlando? Di un “future”, di un contratto con cui ci si impegna per il futuro, che non si realizza adesso. Ci vuole del tempo perché gli Stati decidano sulla proposta dell’Eurogruppo, del tempo perché si approvi il bilancio comune, abbiamo davvero tutto questo tempo? Inutile aggiungere che i fondi del bilancio europeo sono soldi degli Stati, soldi nostri. Appena li versiamo, ci tornano indietro sotto forma di prestito. Una partita di giro, anzi, di raggiro.

Poi ci sono i soldi della BEI, la Banca europea per gli investimenti.
Per acquistare i bond privati, le obbligazioni. Alle nostre azienda arriva comunque una frazione modesta. Poi c’è un problema, perché la BEI vuole mantenere la tripla A, cioè la certificazione che attesta la sicurezza dei suoi titoli, ma già deve fare i conti con una notevole perdita sui crediti, sulle obbligazioni che ha acquistato in passato. Non sarà troppo generosa nell’erogare prestiti, altrimenti non sarebbe scontato mantenere un rating -una valutazione dell’affidabilità dei suoi titoli – così alta.
E poi c’è il MES. Incredibilmente Conte continua a escludere che l’Italia vi farà ricorso, ma poi – per spiegare che abbiamo raggiunto buoni risultati in Europa – dice che il MES non sottopone più i paesi a dure condizioni, che le opposizioni mentono quando lo definiscono una “trappola”. Allora perché escludere di usarlo?
Perché il MES è complicato ed equivoco, non lo usiamo ma l’Italia ci ha già messo otto miliardi. Per non sottostare a forti condizioni dovremmo finanziare solo le spese sanitarie. L’ambiguità è anche questa: se si parla di spese sanitarie l’opinione pubblica si immagina aiuti, cioè a fondo perduto, non prestiti. Invece questo è un “mutuo sanitario”. Nella proposta ho letto di sforzi per il raggiungimento di una “maggiore sostenibilità economica”, mi pare il solito condizionamento che invoca riforme ed efficienza. Infine, tutto quello di cui stiamo parlando non è pronto subito, dobbiamo attendere che si esprima il Consiglio europeo. A quel punto, di quali spese sanitarie staremo parlando? Perché il grosso le abbiamo e le avremo già sostenute.
Infine c’è il Recovery Fund, che sembra l’ultima speranza italiana e, più in generale, del “fronte del Sud”. Potrebbe essere finanziato con eurobond? Conte ribadisce che al prossimo Consiglio europeo lotterà per averli.
Conte dice che la discussione sugli eurobond sta andando avanti, ma ciò a cui si riferisce è qualcosa di diverso, per via di una doppia intermediazione che è stata inserita. Eurobond significa fare debito a livello europeo e con quei soldi farci investimenti diretti: grandi opere, infrastrutture, Difesa. Questo è ciò che volevamo fare, poi mi dicono che non sono europeista! Tutt’altra cosa è ciò di cui si parla adesso, dove, anche si riuscisse ad avere un nuovo veicolo europeo che emette debito, i singoli stati dovrebbero a loro volta indebitarsi con l’Europa per poter utilizzare quelle risorse. Così non ha senso. Si voleva evitare di far salire il debito pubblico dei paesi.

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