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Home » Economia

Stellantis vende Comau a un fondo Usa: un nuovo caso Marelli all’orizzonte?

Immagine di copertina
L'amministratore delegato di Stellantis Carlos Tavares. Credit: AGF

I sindacati chiedono al Governo di esercitare il Golden Power

Stellantis cede la maggioranza di Comau al fondo d’investimento statunitense One Equity Partners. Lo ha annunciato oggi, giovedì 25 luglio, la stessa multinazionale dell’automotive.

I sindacati sono preoccupati e chiedono al Governo di attivare il Golden Power. Il rischio che si intravede è quello di andare incontro a una situazione simile a quella della Marelli di Crevalcore.

L’operazione
Comau, storica azienda torinese dell’automazione industriale, faceva parte del Gruppo Fiat dalla fine degli anni Novanta. Oggi è leader mondiale nel suo settore, è presente in dodici Paesi, conta 3.800 lavoratori (di cui 750 in Italia) e fattura circa 1,5 miliardi di euro all’anno.

Da tempo Stellantis lavorava alla sua vendita o in alternativa a uno spin-off con annessa quotazione in borsa. L’operazione di dismissione rientra nell’ambito dell’accordo strategico stipulato nel gennaio 2021 al momento della fusione tra Fiat-Chrysler e Peugeot.

La multinazionale franco-italo-statunitense conserverà una quota di minoranza e l’attuale management è confermato: Alessandro Nasi (cugino di John Elkann) resterà presidente mentre l’amministratore delegato continuerà a essere Pietro Gorlier.

L’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, ha spiegato così il senso della cessione: “Negli ultimi cinquant’anni Comau è diventata leader nel campo delle soluzioni di automazione. Questa operazione ha lo scopo di aiutare Comau a raggiungere la propria autonomia e rafforzare ulteriormente il suo successo a vantaggio di tutti i suoi stakeholder, in particolare i suoi dipendenti e i suoi clienti. Offre inoltre a Stellantis la possibilità di concentrarsi sulle attività del suo core business in Europa”.

Stando alle parole di Tavares, dunque, le ragioni della vendita sono da ricercarsi nel fatto che Comau ha un raggio d’azione che va ben oltre il solo comparto automotive. Ma al di là delle dichiarazioni ufficiali, dietro la vendita sembra esserci anche la mera volontà di fare cassa da parte di Stellantis (non sono note le cifre dell’operazione, ma nel 2019 il Sole 24 Ore scrisse che il 100% Comau era stato valutato 2 miliardi di euro).

Inoltre, tra le motivazioni che hanno portato alla dismissione potrebbe esserci anche la malcelata volontà da parte dei vertici della multinazionale di privilegiare i fornitori francesi rispetto a quelli italiani, tendenza più volte denunciata dai sindacati negli ultimi tre anni.

I timori dei sindacati
I sindacati non hanno accolto con favore la notizia della cessione della maggioranza di Comau. Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil chiedono tutte al Governo di esercitare il Golden Power per bloccare l’operazione “a garanzia del patrimonio industriale del nostro Paese”.

“Si tratta di una scelta sbagliata per due ragioni”, osserva Samuele Lodi, responsabile automotive della Fiom-Cgil:  da un lato “Stellantis si priva di un pezzo ad alto contenuto tecnologico ed innovativo”, dall’altro “la maggioranza passa ad un fondo di investimento e non ad un soggetto industriale”.

“Le dichiarazioni rassicuranti sulle prospettive future di Comau e dei lavoratori si scontra con un contesto in cui Stellantis continua a disimpegnarsi dal nostro Paese in una logica di massimizzazione dei profitti”, attacca il sindacalista della Fiom.

“Abbiamo sempre sostenuto che l’unico spin-off per noi accettabili era sul ‘modello Ferrari’ dove si manteneva la maggioranza azionaria della società Stellantis, a garanzia del patrimonio industriale del nostro Paese”, sottolinea il segretario nazionale della Fim-Cisl Ferdinando Uliano. “Nella giornata attuale abbiamo appreso questa notizia che prendiamo criticamente”.

Rocco Palombella, numero uno della Uilm, rincara la dose: “La cessione a fondi di investimenti – dice – è sempre fonte di forte preoccupazione. Comau ha un grande patrimonio industriale e professionale che deve essere salvaguardato nell’interesse non solo dei lavoratori ma del nostro paese, per cui chiediamo che la sua cessione costituisca oggetto di massima attenzione già al tavolo ministeriale convocato il 7 agosto”.

L’acquirente di Comau
Il nuovo socio di maggioranza di Comau è dunque One Equity Partners. Si tratta di un fondo d’investimento statunitense focalizzato sui settori industriale, sanitario e tecnologico in Nord America ed Europa.

Il fondo ha in portafoglio asset per oltre 10 miliari di dollari, tra cui partecipazioni in ThyssenKrupp, Polaroid ed Ericsson.

“Comau è un’azienda leader nell’automazione industriale, con una tecnologia robotica all’avanguardia e un enorme potenziale di crescita”, ha dichiarato oggi Ante Kusurin, partner del fono. “Abbiamo una comprovata esperienza nell’esecuzione di complesse operazioni di carve-out aziendale e disponiamo delle risorse necessarie per aiutare Comau ad affermarsi ulteriormente come azienda di successo”.

A dispetto delle rassicurazioni, tuttavia, questa operazione ricorda sinistramente quella realizzata nel 2018 dall’allora Fiat-Chrysler con Magneti Marelli. Allora Fca cedette il gioiello italiano della componentistica auto alla giapponese Ck Holdings, società controllata dal fondo statunitense Kkr, lo stesso che oggi ha preso il controllo della rete di Tim (ma questa è un’altra storia almeno fino a un certo punto).

Magneti Marelli cambiò così nome in Marelli Holdings. Poco meno di un anno fa la proprietà nippo-statunitense annunciò a sorpresa la chiusura dello stabilimento in provincia di Bologna, in cui lavoravano 230 lavoratori.

Dopo una dura lotta portata avanti dagli operai e dai sindacati, la chiusura è stata scongiurata e lo stabilimento è stato ceduto all’azienda meccanica novarese Tecnomeccanica.

Quella vicenda ha dimostrato (per l’ennesima volta) quanto sia pericoloso affidare una fabbrica a un fondo d’investimento: questo tipo di società mirano esclusivamente alla valorizzazione dei propri asset e alla massimizzazione dei profitti e sono totalmente disinteressate alla tutela dei posti di lavoro, men che meno alla salvaguardia dell’occupazione in uno specifico territorio.

Ecco perché i lavoratori di Comau adesso temono di fare la stessa fine di quelli della Marelli di Crevalcore. Staremo a vedere se il Governo dei “patrioti” – che pure con Stellantis in questi mesi ha più volte battagliato – deciderà che questa operazione va fermata.

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