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Home » Economia

Stipendio da 19 milioni per il ceo di Stellantis, polemiche in Francia. E in Italia? Tutto tace

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Nella ultracentenaria storia della Fiat non era mai successo che lo stipendio dell’amministratore delegato venisse messo in discussione. Ci voleva la fusione con i francesi di Peugeot perché il compenso del top manager finisse sotto la lente d’ingrandimento. È, insomma, qualcosa di mai visto prima quello che è successo lo scorso 13 aprile, all’assemblea degli azionisti tenuta in videoconferenza: con il 52% di voti contrari, la maggioranza ha bocciato la remunerazione attribuita a Carlos Tavares nel 2021. Troppi, secondo i soci dissidenti, i 19,1 milioni di euro intascati l’anno scorso dal dirigente portoghese per guidare il quarto gruppo mondiale dell’automotive. Il voto è solo consultivo, non vincolante: dunque lo stipendio del capo è salvo. Ma la presa di posizione dell’assemblea ha fatto rumore. Al punto che la remunerazione di Tavares è diventata anche uno dei temi della campagna elettorale per le presidenziali di Francia.

Certo, 19 milioni di euro sembrano davvero una cifra esagerata, se confrontati con le somme intascate dai top manager delle altre principali case automobilistiche. Per esempio, il giapponese Akyo Toyoda, padre padrone della Toyota (che fu fondata da suo nonno), si è accontentato di 3,2 milioni di euro. E il tedesco Herbert Diess, amministratore delegato del gruppo Volkswagen, ha guadagnato “appena” 8,6 milioni, meno della metà di Tavares. Eppure sia Toyota che Volkswagen possono vantare numeri ben migliori di quelli di Stellantis. Non c’è confronto: nel corso del 2021 la casa nata dalla fusione tra Fiat-Chrysler e Peugeot ha venduto 6,6 milioni di veicoli fatturando 152 miliardi di euro, mentre Toyota ha piazzato oltre 10 milioni di vetture incassando 193 miliardi di euro e Volkswagen ha realizzato 8,8 milioni di vendite e 250 miliardi di euro di ricavi.

Lo stipendio base di Tavares – va detto – sarebbe di poco inferiore ai 2 milioni di euro: si arriva a quota 19 con i premi di incentivo basati sui risultati raggiunti, come l’utile triplicato in un anno. Fatto sta che l’amministratore delegato ha visto quasi triplicare anche il proprio reddito rispetto al 2019, quando, da presidente e amministratore delegato del gruppo Peugeot, ricevette un compenso di 7,2 milioni.

Eppure quello stesso anno, il suo pari-grado di Fiat-Chrysler, l’americano Mike Manley, fu pagato quasi il doppio di lui: 13,2 milioni. Ciò basta per capire che è stato proprio il matrimonio con casa Agnelli – celebrato nella fiscalmente vantaggiosa sede di Amsterdam – a gonfiare le entrate di Tavares. Non a caso, il primo a difenderlo davanti agli azionisti è stato proprio John Elkann, che nel passaggio da Fca a Stellantis ha conservato la sua poltrona di presidente (il suo stipendio ammonta a  7,8 milioni): «Siamo un’azienda fondata su una cultura meritocratica», ha spiegato Elkann. «Ricompensare in base alle prestazioni fa parte del modo in cui Stellantis riconosce l’impegno dei suoi dipendenti e il loro effettivo contributo al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi prefissati». L’azienda, per bocca di un portavoce, ha ricordato che quando arrivò Tavares, nel 2014, Peugeot era sull’orlo del fallimento e che il manager l’ha portata oggi a essere tra i maggiori costruttori di auto su scala globale. Da Stellantis hanno fatto notare poi che nell’automotive c’è anche chi guadagna di più: dai 20 milioni di euro di Jim Farley, amministratore delegato di Ford, ai 22 milioni di Mary Barra, che guida General Motors.

ceo stellantis

Ma chi è stato a votare contro Tavares nell’assemblea degli azionisti? Impossibile saperlo: il voto è segreto. Ma è probabile che il malumore abbia pervaso le file dei soci minori, che mettono insieme il 62,7% delle quote. Impensabile, ad esempio, che abbiano voltato le spalle al top manager Exor, la holding della famiglia Agnelli che detiene il 14,3% delle azioni, o Epf, braccio finanziario della famiglia Peugeot che ha il 7%.

Di certo, invece, ha espresso voto contrario l’azionista francese Phitrust, società finanziaria “politicamente” impegnata sul tema della responsabilità sociale d’impresa. Titolare di un piccolo pacchetto di azioni, Phitrust è stata la capofila della protesta contro lo stipendio dell’amministratore delegato di Stellantis, bollato come «indecente». E ha posto due domande all’assemblea: «Questa remunerazione, la più alta fra le grandi società francesi (e probabilmente fra tutti i gruppi quotati nell’Unione europea), è giustificata per un uomo che non è l’ideatore dell’azienda, ma ne è solo il manager e quindi non si assume rischi personali?». E ancora: lo stipendio d’oro «è socialmente giustificato a fronte delle massicce ristrutturazioni, con conseguenti tagli di posti di lavoro, che il gruppo dovrà probabilmente affrontare?».

Interrogativi che evidentemente hanno fatto breccia nella maggioranza dei soci. Ma che, come detto, hanno finito per trovarsi anche al centro della campagna elettorale di Francia. Il presidente uscente Emmanuel Macron ha definito il compenso di Tavares «scioccante» e «astronomico» e propone l’introduzione di un tetto europeo alle retribuzioni dei top manager: «Dobbiamo stabilire dei limiti che rendano le cose accettabili, altrimenti a un certo punto la nostra società esploderà», ha avvertito. Marine Le Pen, sua sfidante al ballottaggio presidenziale, ha parlato invece di stipendio «sproporzionato» invocando l’attribuzione di quote societarie ai dipendenti delle grandi aziende. Anche secondo il ministro dell’Economia, Bruno le Maire, la busta paga di Tavares è «eccessiva». E le sue parole hanno un peso ancora maggiore, se si considera che il Parlamento francese è azionista di Stellantis tramite la Bpi, il corrispettivo della nostra Cassa Depositi e Prestiti.

E mentre dall’altra parte delle Alpi la politica si interroga, in Italia non vola una mosca: nessun leader, nessun partito e nemmeno i sindacati (fatta eccezione per un comunicato della Fiom-Cgil) hanno pronunciato una parola sul manager che viene ricoperto d’oro malgrado nelle fabbriche si continui a tirare avanti con la cassa integrazione. E pregando il cielo che il ricco amministratore delegato non decida un giorno di chiudere perché produrre qui da noi costa troppo.
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