“Su Stellantis si gioca il futuro industriale dell’Italia, ma il Governo è assente”: intervista a De Palma (Fiom)
"Basta incertezze, operai preoccupati per le voci di tagli: Stellantis ci dica che piani ha per l'Italia. Il Governo? Se Giorgetti non ci convoca prenderemo iniziative": a due giorni dall'atteso incontro tra azienda e sindacati abbiamo intervistato Michele De Palma, segretario nazionale e responsabile automotive della Fiom-Cgil
Fra due giorni, giovedì 15 aprile 2021, è in programma a Torino un attesissimo incontro tra i vertici di Stellantis (l’azienda nata dalla fusione tra Fca e Psa) e i sindacati italiani. Negli stabilimenti c’è forte agitazione per l’intenzione, manifestata dall’azienda, di operare un corposo piano di tagli alle spese. Stellantis – quarto gruppo mondiale dell’automotive, sede legale ad Amsterdam – conta in Italia circa 47mila addetti, numero che triplica se si considera l’indotto. Dell’incontro in programma il 15 aprile parliamo con Michele De Palma, segretario nazionale e resposabile automotive della Fiom-Cgil.
De Palma, cosa vi aspettate da questo incontro?
“Innanzitutto chiarezza, perché negli stabilimenti è aumentata l’incertezza”.
Dove in particolare?
“Inizio da Atessa, dove nei mesi passati eravamo tranquilli, anche perché il mercato chiede in maniera importante la produzione del Ducato: sembra che, all’interno della nuova configurazione del Gruppo Stellantis, ci sia la possibilità che uno stabilimento polacco possa fare produzioni simili a quello di Atessa. Anche a Melfi nei mesi più complessi della pandemia si è lavorato a pieno regime, ma oggi, per le informazioni che circolano, la preoccupazione è molto forte: pare che la produzione possa passare da due linee a una. A questo si aggiungono tutti i problemi che già avevamo sugli altri stabilimenti. A cominciare dal polo torinese, dove è prevista una riduzione dei volumi sulla Cinquecento elettrica, per arrivare a Cassino, con i suoi problemi consolidati sui volumi dell’Alfa Romeo. Infine, c’è Pomigliano, dove la produzione si deve fermare fino al 19 aprile per la crisi dei semiconduttori”.
Cosa chiederete all’azienda?
“Abbiamo già chiesto l’apertura di un confronto. Anche perché in queste settimane, dopo il primo vertice a gennaio con l’amministratore delegato Tavares, l’azienda ha espresso delle valutazioni sui costi industriali, giudicati troppo alti. E sappiamo che in alcuni stabilimenti si è già proceduto unilateralmente al taglio di alcuni costi, come quelli di pulizia”.
Qual è il vostro timore?
“Prima di tutto vorremmo capire cosa si intende con costi industriali. Il management precedente ci aveva sempre spiegato che, in termini di efficienza e organizzazione del lavoro, i costi erano contenuti all’interno di piani di efficienza in vigore all’interno di Fca. Scopriamo oggi che, invece, ci sarebbero dei delta sui costi industriali. Vorremmo capire di cosa stiamo parlando. Per esempio, non ci risulta che il costo del lavoro negli stabilimenti Stellantis in Italia sia più alto che in Francia”.
Siete preoccupati?
“Abbiamo segnali preoccupanti, sì. Noi abbiamo sempre valutato la fusione Fca-Psa come un’opportunità per implementare la capacità industriale dell’Italia. Poi c’è la questione strategica del gruppo: quali sono investimenti per il futuro degli stabilimenti italiani?”.
Sull’elettrico vi aspettate un cambio di passo?
“Guardi, sull’elettrico i nostri ritardi vengono da lontano. Anni fa noi della Fiom fummo sbeffeggiati su questo punto dall’allora amministratore delegato di Fca, secondo il quale l’auto elettrica costava troppo. Oggi siamo indietro sia dal punto di vista tecnologico sia da quello dell’offerta di prodotti. Vogliamo colmare questo gap, ma il presupposto è investire in modelli e tecnologie”.
E con i francesi pensate che cambierà qualcosa?
“La svolta c’è nel momento in cui ci sono i modelli, la ricerca e sviluppo, l’assemblaggio. Al momento un nuovo piano non c’è. Proprio su questo vorremmo un confronto con l’azienda, e vorremmo che si aprisse prima della presentazione del piano industriale”.
Perché specifica “prima”?
“Non vorremmo trovarci a dover prendere atto, dopo, che alcune produzioni sono state allocate in un Paese anziché in un altro. E su questo punto, me lo faccia dire, sarebbe importante che questo Paese inizi finalmente ad avere un ruolo attivo anche a livello istituzionale, viste le risorse previste per la transizione ecologica”.
Adesso sta parlando al Governo.
“Il tema è: dove si producono le batterie elettriche? Ci sono diversi elementi di svolta del mercato dell’auto, dall’alimentazione alla guida autonoma”.
E quindi?
“Al Governo vorrei fare una domanda: questo Paese vuole ancora avere un ruolo industriale? Perché, se vuole averlo, ha bisogno dell’auto”.
Sta dicendo che Draghi non ha una politica industriale?
“In Italia il Ministero dello Sviluppo economico è diventato il Pronto Soccorso dell’industria del Paese: quando c’è un incidente si va al Mise per rimettere a posto le cose. Ma così non funziona, e in questi anni lo abbiamo visto. Per un’azienda le cose si possono rimettere davvero in piedi solo se dietro c’è un settore che funziona. Il problema dell’automotive è un problema di settore. Bisognerebbe sedersi a un tavolo, mettere insieme le conoscenze e decidere quali leve utilizzare”.
E invece?
“Due settimane fa abbiamo fatto una cosa surreale. Noi di Fiom, Fim e Uilm ci siamo dovuti autoconvocare al Mise perché nessuno ci chiamava. Almeno dopo l’incontro a Torino, credo che una convocazione da parte del Mise e del Ministero del Lavoro su Stellantis, e in generale sull’automotive in Italia, sia inevitabile. Altrimenti discuteremo con i lavoratori quali sono le iniziative per convincere il Governo dell’essenzialità di questo settore industriale”.
Minaccia lo sciopero?
“No, fare sciopero con tutti i lavoratori in cassa integrazione sarebbe dannoso”.
Con il passaggio da Patuanelli-Catalfo a Giorgetti-Orlando non è cambiato niente?
“Ai ministeri ne ho visti tanti in questi anni: all’inizio si presentano tutti come migliori di quelli precedenti… Faccio notare solo una cosa”.
Prego.
“Un anno fa, col Decreto Liquidità, Fca ha ottenuto dal Governo 6,3 miliardi di euro di prestito garantito. Il finanziamento andava accompagnato con un piano occupazionale. A un anno di distanza io quel piano occupazionale non l’ho ancora visto”.
Torniamo al piano industriale. Elettrico non significa meno operai e più ingegneri?
“C’è bisogno di entrambi. È vero: per assemblare un’auto endotermica servono più addetti rispetto a un’auto elettrica (secondo alcune stime il rapporto è di 1 a 3, ndr). Ma, ad esempio, per l’auto ibrida ne servono di più”.
Ma ha ancora senso programmare il futuro puntando sull’ibrido?
“La capacità di vedere nel futuro non ce l’ho. Faccio notare però che oggi in Europa le auto più vendute sono le ibride. Credo che un Paese che deve gestire una trasformazione dell’industria dell’auto dovrebbe utilizzare la fase della transizione ragionando anche in relazione all’occupazione. E poi non dimentichiamoci che non tutti vanno verso l’elettrico. In Giappone Toyota sta passando dall’ibrido all’idrogeno senza trasitare per l’elettrico”.
Certo è che, guardando all’oggi, il mercato dell’auto non se la passa bene. Non c’è un problema di sovracapacità produttiva?
“Sì, lo stiamo pagando tutto noi però”.
Temete che Stellantis si riferisca a questo quando parla di costi industriali da tagliare?
“Il mercato dell’auto a livello globale non ha avuto una contrazione: su questo Fca ha sempre avuto il problema di non essere presente in Cina, a differenza di quanto fatto a suo tempo da Volkswagen. In Europa i volumi calano, è vero, ma in Italia il mercato ha perso la metà (12% contro 24%, ndr), grazie a una serie di fattori tra cui gli incentivi. In ogni caso, se la riduzione dei volumi è dovuta solo alla sovracapacità produttiva, allora perché si continuano a costruire nuovi impianti nell’Europa dell’Est o in Turchia o in Marocco?”.
Prima ha detto che la crisi del settore la stanno facendo pagare solo ai lavoratori. In che senso?
“In Italia mettiamo a disposizione delle imprese una flessibilità straordinaria: parlo della cassa integrazione, che consente all’azienda un utilizzo flessibile degli impianti. Questa situazione viene pagata dai lavoratori che, anziché percepire il salario, percepiscono l’indennità di cassa per le ore che non lavorano”.
Vuole superare la cassa integrazione?
“No, ma penso che ci sono anche altri ammortizzatori sociali molto interessanti, come il contratto di solidarietà o il Fondo nuove competenze, utile per incrociare la trasformazione di processo con la competenza delle persone. Gli ammortizzatori sociali devono servire per fare gli investimenti. Altrimenti sono uno strumento di flessibilità per le imprese”.
Chiudiamo con le proteste di piazza di questi giorni. Voi operai come valutate la manifestazioni dei ristoratori contro le chiusure?
“A inizio anno è stata aperta una crisi di governo sulla spesa per il Recovery Plan. Ora questo tema è sparito dal dibattito. Penso che a un comportamento polito élitario si contrapponga sempre un elemento populistico nelle piazze. Il tema è come in senso positivo si possa costruire la partecipazione delle persone. Il Governo non ha aperto al confronto di cui sarebbe bisogno. Dov’è la politica? Se non c’è una rappresentanza sociale è chiaro che prevalgono i corporativismi”.
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