Contro il salario minimo: la proposta del M5s è un autogol per i lavoratori
Il commento di Elisa Serafini
È notizia recente l’annuncio del M5S di promuovere una legge sul “salario minimo” per i lavoratori italiani. Bello, diranno in molti. E invece no, questo può essere il tipico esempio di una proposta che parte da “buone” intenzioni, ma può finire in tragedia.
Se chiedessimo a un cittadino per strada cosa pensa del salario minimo, probabilmente ci direbbe che si trova d’accordo. Dopotutto chi potrebbe essere contrario a una proposta che sembra andare nell’interesse del lavoratore? Ma è qui il vero inganno.
Il salario minimo è una proposta che non sostiene né il lavoro, né l’occupazione né, tantomeno, il benessere dei lavoratori. Proviamo a semplificare con un esempio, immaginando che, dal 1 aprile 2019, il salario minimo per i lavoratori italiani diventi 20 euro all’ora, per qualunque tipologia di mansione.
Le conseguenze sarebbero facili da individuare: lavoratori in piazza a festeggiare, in una prima fase, e in strada a protestare in una seconda perché si accorgerebbero – ben presto – che il salario minimo riduce il lavoro.
Un costo imposto a un’azienda, in maniera artificiale, da un ente superiore (in questo caso, lo Stato), deve essere in qualche maniera armonizzato sulla produzione. In una fase – per altro – di decrescita produttiva, di elevata pressione fiscale e di incertezza dei mercati.
Se aumentano i costi del personale, in maniera non regolata dal mercato della domanda/offerta di lavoro, le aziende avranno una sola possibilità: aumentare i prezzi dei prodotti o dei servizi, ridurre le ore di lavoro dei lavoratori, ridurre il numero dei lavoratori o, ancora, sostituire i lavoratori meno qualificati con macchine automatizzate (pensiamo alle casse robot).
Insomma, non uno scenario che possiamo considerare favorevole ai lavoratori. Questo è il tipico esempio di una proposta di politiche pubbliche basata più sull’emotività e sul facile ottenimento di un consenso nel breve periodo, che sul metodo scientifico di analisi costi/benefici sul medio-lungo periodo.
Un esempio di conseguenze post introduzione del salario minimo arriva dagli Stati Uniti. In questo caso, non è stata una legge, ma un’azienda privata a decidere liberamente di incrementare il salario minimo dei dipendenti, la famosa Whole Foods, catena di 479 supermercati orientati al consumo di alimenti particolarmente sostenibili e sani.
Whole Foods ha infatti deciso, spontaneamente, di aumentare il salario di tutti i dipendenti a 15 dollari l’ora. A poche settimane dall’introduzione, però, i dipendenti hanno visto i propri turni calare: meno ore di lavoro, meno soldi e più proteste.
In un contesto di forte automatizzazione dei processi, di ingente calo della produzione e di sostanziale irrigidimento del mondo del lavoro, una proposta come questa rischia quindi di rappresentare un autogol.
Per sostenere il mercato del lavoro, l’occupazione e il benessere dei cittadini, non può quindi essere il salario minimo la soluzione, o rischieremmo, ancora una volta, di far pagare agli stessi cittadini gli errori enormi della politica.