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Home » Economia

Reddito di cittadinanza, la stretta del governo: “Solo a chi non può lavorare”, a rischio 660mila percettori

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Il reddito di cittadinanza, misura cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle in vigore dall’aprile 2019, ha le gambe corte nel nuovo governo Meloni: la nuova presidente del Consiglio non ha nascosto le sue intenzioni programmatiche nel discorso pronunciato alla Camera prima di chiedere la fiducia: “Ai pensionati in difficoltà o agli invalidi non sarà negato il doveroso aiuto dello stato. Per altri, per chi è in grado di lavorare, la soluzione non è il reddito di cittadinanza ma il lavoro, la formazione e l’accompagnamento al lavoro”. L’esecutivo intende quindi rivedere la misura di contrasto alla povertà limitando la platea di beneficiari. Secondo la presidente del Consiglio la misura “ha rappresentato una sconfitta per chi era in grado di fare la sua parte per l’Italia”. La proposta sul tavolo a Palazzo Chigi è in capo a Matteo Salvini, che ipotizzava la sospensione per sei mesi “per quei 900mila percettori che sono in condizioni di lavorare e che già lo percepiscono da diciotto mesi” così da poter finanziare con i risparmi – circa un miliardo – la riforma pensionistica Quota 102 per tutto il prossimo anno, che consentirebbe di andare in pensione a chi ha almeno 61 anni di età con 41 anni di contributi.

Salvini ha preso i dati dall’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro (Anpal), secondo la quale i beneficiari del reddito di cittadinanza indirizzati ai servizi per il lavoro sono 919.916. Da questa cifra vanno però sottratti i 173mila (18,8%) che risultano già occupati e gli 86mila (9,4%) esonerati, esclusi o rinviati ai servizi sociali. Rimangono quindi i 660mila (il 71,8%) tenuti alla sottoscrizione del patto per il lavoro, che verranno interessati dalla stretta del governo. “Dei 660mila beneficiari soggetti al patto per il lavoro (dunque non occupati, non esonerati e non rinviati ai servizi sociali), quasi i tre quarti – il 72,8%, corrispondente a 480mila persone – non ha avuto un contratto di lavoro subordinato o para-subordinato negli ultimi 3 anni”, sottolinea l’Anpal. «Si tratta di individui che complessivamente esprimono alcune fragilità rispetto al bagaglio con cui si affacciano ai percorsi di accompagnamento al lavoro e che nel 70,8% dei casi hanno conseguito al massimo il titolo della scuola secondaria inferiore – prosegue la nota – Solo il 2,8% presenta titoli di livello terziario, mentre un quarto ha un diploma di scuola secondaria superiore”.

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