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Home » Economia

La ragnatela di Gubitosi: ecco cosa si nasconde dietro i giochi di potere di Mr. Tim

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Da Gualtieri al fondo Kkr: sul nuovo numero del nostro settimanale raccontiamo le manovre dell'ex amministratore delegato di Tim per (e controllare) la rete unica. Scaricando così debiti ed esuberi dell'ex monopolista sui consumatori

Il 4 agosto 2020 il consiglio d’amministrazione di Tim viene interrotto da una telefonata insolita: è il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. In quell’esatto momento il board sta per dire sì all’offerta da 1,8 miliardi di euro del fondo statunitense Kkr per il 37,5 per cento di FiberCop, la nascente società a cui sarà conferita la rete secondaria di Telecom (cioè il tratto di cavi per la telefonia che va dagli “armadietti” in strada alle abitazioni dei clienti). Ma Conte blocca tutto: l’affare potrebbe impattare sull’interesse nazionale e Palazzo Chigi vuole valutare se esercitare il golden power.

L’operazione FiberCop-Kkr, infatti, è la prima tappa del percorso verso la realizzazione della rete unica, un progetto di cui in Italia si parla da almeno quindici anni e che in quelle settimane sembra arrivato a un punto di svolta. Il piano prevede che la nuova società della rete secondaria di Tim venga fusa con OpenFiber, il player della fibra partecipato da Cassa Depositi e Prestiti (voluto dal Governo Renzi per stimolare gli investimenti nel settore): dal matrimonio tra FiberCop e OpenFiber dovrebbe nascere – secondo il progetto – una nuova società, AccesCo, cogestita da Tim e Cdp ma con la maggioranza assoluta (il 50,1 per cento delle quote) in capo a Telecom.

Il grande regista di questo riassetto è Luigi Gubitosi, amministratore delegato di Tim, che punta a fare cassa per ridurre il pesante indebitamento dell’azienda mantenendo però il controllo sull’indispensabile asset patrimoniale della rete. Il miliardo e 800 milioni di euro messi sul piatto da Kkr per FiberCop rappresentano ossigeno vitale per i conti precari dell’ex monopolista di Stato. Al punto che, pur di concludere l’accordo, Gubitosi concede al fondo condizioni clamorosamente vantaggiose: secondo fonti ben informate, nel contratto è previsto che il 90 per cento degli utili andrà distribuito ai soci sotto forma di dividendo e che al quinto anno gli americani avranno la facoltà di uscire dalla partita con un rendimento garantito dell’8 per cento. In pratica si tratta di un prestito garantito mascherato da partecipazione azionaria. Nel cda di Tim del 4 agosto 2020, però, come detto, Conte a sorpresa tira il freno a mano…
Continua a leggere l’articolo sul settimanale The Post Internazionale-TPI: clicca qui

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