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Home » Economia

Altro che rider più ricchi in tempi di Covid: quanto guadagnano (davvero) i lavoratori del delivery

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Un rider fa consegna a domicilio., Genova, 11 gennaio 2021. Credits: ANSA/LUCA ZENNARO

Quanto guadagna (davvero) un rider

Oggi ordinare qualcosa da mangiare restando comodamente seduti sul divano di casa non è più un lusso da re: grazie alle aziende di delivery si può infatti accedere ad un’ampia gamma di prodotti e delegare la noia di portarsi a casa il proprio cibo ad una delle emergenti figure professionali del nostro tempo: il rider. Neve, pioggia, smog, nulla ferma i ragazzi e le ragazze con lo zaino termico sulle spalle e, stando almeno alle testimonianze raccolte da molti media soprattutto in questo periodo, essere assunto da una delle aziende di delivery sarebbe molto remunerativo, tanto da far arrivare a qualcuno bonifici da oltre tremila euro. Peccato che, alla prova dei fatti, pare non essere proprio così.

Rider ricco o rider povero? Quanto guadagna un rider

Innanzitutto chiariamo che i rider non vengono assunti ma il più delle volte iniziano con un contratto autonomo occasionale che ovviamente non prevede le stesse tutele di un contratto di lavoro subordinato. La paga mensile media, stando ad alcune stime, si assesta intorno agli 840 euro al mese, ben al di sotto della metà delle cifre apparse nelle scorse settimane sui giornali. Del resto gran parte della forza lavoro sono giovani e immigrati, categorie economicamente deboli che si devono fare andare bene cifre modeste ma che non appena possono cambiano lavoro: stando a quanto riportato da alcune aziende di delivery solo il 15% dei rider lavora per più di 12 mesi. Non proprio la condizione economica di un manager, se usare fare una citazione famosa di questi giorni, e che pone interrogativi e riflessioni su un mestiere ancora oggi considerato “lavoretto” dalla stessa società che comodamente aspetta il proprio kebab nel tepore della propria casa.

Arrivare a 2000 euro? Possibile ma…

Le modalità d’impiego dell’esercito dei lavoratori delle consegne, circa diecimila persone in Italia, da settembre sono regolamentate da un controverso accordo sindacale firmato da Assodelivery, un’associazione di categoria che comprende quasi tutte le aziende di food delivery e Ugl (sindacato di destra), l’unico sindacato che ha accettato l’accordo tra le diverse sigle confederali presenti durante la contrattazione. “Tra mancata assunzione e paghe al ribasso spiega Mario Grasso, sindacalista di Uiltucs Nazionale – i risultati sono pesanti. Il contratto che viene ad oggi applicato è stato bocciato anche dal Ministero del Lavoro e per noi rappresenta un peggioramento sotto molti punti di vista anche perché continua a legittimare i rider come partite iva e non come lavoratori dipendenti”.

Un rider, secondo il contratto Assodelivery-Ugl, prende circa 11 euro per ogni ora lavorata, con maggiorazioni del 10% durante i festivi e un’indennità in caso di maltempo. Condizioni che non sembrerebbero delle peggiori ma che nascondono una realtà ben diversa una volta che si prova ad andare nelle pieghe dell’accordo. “Nel mese di dicembre ho lavorato fino a 15 ore al giorno – ha spiegato Giuseppe Di Maggio in un’intervista apparsa sul sito della Uil Lombardia a metà gennaio – ma a conti fatti ho preso circa 5,80 euro l’ora senza contare le spese di carburante” (a carico del rider, ndr.).

Questo succede perché per “ora lavorata” si intende il tempo effettivo di trasporto: il tempo per arrivare dal ristoratore, le relative attese perché il cibo non è pronto o i ritardi di chi riceve da mangiare è tutto tempo buttato via. Tempo del rider ovviamente. Come se non bastasse i tempi di trasporto, quelli remunerati, vengono calcolati dall’azienda attraverso alcune tabelle e non corrispondono sempre al tempo effettivo. “Per ciò che riguarda l’indennità di maltempo mi sono trovato in fattura 3,77 euro” ha spiegato il rider, questo perché nell’accordo non è specificato chi debba certificare le precipitazioni: in teoria l’indennità scatta con più di 2mm di pioggia ma non si capisce quale sia la fonte del dato atmosferico. Insomma, tra tasse, spese e la fisiologica emorragia di tempo per ottenere uno stipendio da manager bisogna lavorare fino allo stremo.

“Un po’ di chiarezza”

“Possono esistere situazioni in cui si arrivi a prendere duemila euro – spiega il sindacalista Mario Grasso – ma sono eccezioni e per fare chiarezza bisogna analizzare la condizione generale dei lavoratori. I famosi undici euro sono un miraggio, anche perché le spese di benzina o di manutenzione dei mezzi sono a carico del lavoratore. Oltre alle tasse e alla loro gestione, ovviamente”. Secondo Grasso inciderebbe anche l’area geografica nei compensi dei lavoratori: “Vivere in città piccole può voler dire aspettare del tempo tra un ordine e un altro, tempo che il rider dedica all’azienda di delivery ma che di fatto non gli viene retribuita”.

Questo accade perché alcune aziende hanno ancora i sistemi di Free Login, che permettono a chiunque di accedere al lavoro senza alcuna pianificazione oraria e finendo a volte a lasciare fermi – e quindi non pagati – diversi lavoratori che non hanno consegne da effettuare in zona. “Serve un po’ di chiarezza. Quando si legge dei rider ricchi e felici non si fa un lavoro di informazione corretta – spiega Grasso -. I rider saranno felici quando saranno innanzitutto tutelati. Il nuovo contratto tra Assodelivery e Ugl ha ridotto i compensi anche del 30%, esponendo la categoria ad un’incertezza salariale e occupazionale ancora più grave. Oggi un rider non prende sicuramente quanto un manager, tutte le valutazioni che sostengono questo non sono una fotografia seria della vita di migliaia di uomini e donne che ogni giorno cercano, con dignità, di portare a casa la pagnotta. I contratti collettivi da cui prendere spunto per inquadrare i lavoratori ci sono – conclude Mario Grasso -, ciò che chiedono i rider sono condizioni minime di rispetto del loro mestiere. E tutele, come tutti. Non chiamatelo lavoretto, essere rider è un lavoro a tutti gli effetti”.

Leggi anche: 1. “I giovani sono pigri, non vogliono fare i rider”. Non trovano schiavi e se ne lamentano (di Giulio Cavalli); // 2. Happydemia: il Just Eat degli psicofarmaci per favorire la pace sociale. Intervista a Giacomo Papi (di Giuliana Sias)
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