Nuovi Ogm: le mani delle multinazionali della chimica sull’agricoltura europea
La Commissione sta discutendo una normativa che spalanca le porte ai nuovi Ogm. Le multinazionali sono pronte ad approfittarne. Hanno già depositato 139 brevetti. Per conquistare il mercato Ue
Immaginate un aglio che cresce al centro di un kiwi, o un lime al posto del seme di un avocado. È il contenuto di un video “fake” divenuto virale online in questi giorni per denunciare le mostruosità degli organismi geneticamente modificati. Un altro esperimento, questa volta reale – pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Nature e condotto da un gruppo di genetisti portoghesi utilizzando le nuove tecniche di evoluzione assistita, le stesse che verrebbero applicate oggi nella produzione agroalimentare – ha dato invece accidentalmente vita a un topo a sei zampe. Sempre a proposito di mostruosità, nel 2011 alcuni scienziati israeliani hanno realizzato dei polli senza piume per renderli più adatti ai climi caldi e far risparmiare tempo in fase di macellazione.
Poche innovazioni tecnologiche hanno creato tanta divisione e confusione come gli Ogm. Gli “organismi geneticamente modificati” sono da decenni al centro del dibattito pubblico, e ora sono anche oggetto di discussione presso la Commissione europea, che si accinge a votare due proposte di regolamento: uno sulla commercializzazione e lo scambio di semi (materiale riproduttivo vegetale) e l’altro per una nuova fase di deregolamentazione degli Ogm 2.0 o di ultima generazione.
Dagli anni Settanta a oggi
L’idea di manipolare le piante e gli esseri viventi è antica quanto l’uomo. Il primo allevatore che, anziché fare accoppiare gli animali a caso, decise di incrociare il toro con la sua vacca migliore, è un esempio di biotecnologia rudimentale. Lo stesso vale per il primo fornaio che sfruttò gli enzimi del lievito per far lievitare il pane, utilizzando un organismo vivente per migliorare il suo prodotto.
Ma a differenza di queste tecniche tradizionali, accomunate dall’uso di processi naturali per modificare animali o alimenti, le nuove tecniche transgeniche consentono di operare sui caratteri genetici degli esseri viventi (siano essi piante, animali o microrganismi) in maniera diretta e precisa, permettendo di isolare, modificare e trasferire specifiche sequenze di Dna da un organismo a un altro completamente diverso realizzando combinazioni che sarebbero impossibili con i mezzi convenzionali.
Il passaggio dalle basi empiriche ai modelli meccanicistici è avvenuto nel 1973 nel laboratorio di Stanley Cohen e Herbert Boyer mentre i due scienziati lavoravano su dei batteri. Negli anni successivi la tecnica si è estesa a colture in vitro di cellule di mammiferi fino a inoculare geni estranei dentro ad embrioni, in modo da ottenere interi organismi transgenici.
Il primo esempio sono i super-topi creati nel 1982 da Ralph L. Brinster e Richard Palmiter, ottenuti introducendo il gene dell’ormone della crescita, prelevato da un ratto, in embrioni di topo, sollevando interrogativi di natura etica, ambientale, sanitaria, economica e sociale.
La biotecnologia si è sviluppata rapidamente e oggi viene applicata in numerosi campi dell’alimentazione, della salute, dell’industria, della ricerca e dell’agricoltura, dove i coltivatori possono selezionare determinate caratteristiche di certi organismi e trasferirle nel genoma di un altro organismo, aumentando ad esempio la resistenza di un vegetale ad una malattia, ad un insetto o alla siccità per migliorare la produttività.
Cosa sta accadendo
Le principali colture transgeniche – il mais, il cotone, la soia, la colza e la barbabietola da zucchero – si trovano al di fuori dell’Europa, con Stati Uniti, Brasile e Argentina in testa, ma attraverso nuovi acronimi come Ngt (nuove tecniche genomiche, genome editing e cisgenesi) o Tea (tecniche di evoluzione assistita) anche l’Unione europea ha iniziato a puntare su una deregolamentazione degli Ogm alla luce della crisi alimentare globale provocata dalla guerra fra Ucraina e Russia e dei cambiamenti climatici. Ciò ha sollevato la preoccupazione di moltissime associazioni e piccoli agricoltori, che vedono il loro futuro minacciato dalla privatizzazione del settore, con le solite note multinazionali «agrotossiche» – Bayer, Syngenta, Basf e Corteva – già in prima fila per accaparrarsi i frutti dell’imminente deregulation europea.
Sono già 139 i brevetti depositati su applicazioni delle nuove biotecnologie per l’editing genomico sulle piante, allo scopo di acquisire la proprietà esclusiva di varietà vegetali geneticamente modificate per vent’anni e rivenderle agli agricoltori.
Nello specifico, la nuova legislazione dell’Unione europea si propone di semplificare le procedure burocratiche e agevolare l’accesso al mercato per le piante coltivate mediante le Ngt, come ad esempio Crispr-Cas9, che mirano a geni specifici senza necessariamente introdurre materiale genetico estraneo al patrimonio genetico degli allevatori.
Secondo Federica Ferrario, responsabile Campagna Agricoltura e Progetti speciali di Greenpeace Italia, le tecniche di editing genetico, come Crispr-Cas, potrebbero tuttavia non solo aggravare gli impatti negativi dell’agricoltura industriale sull’ambiente, sugli animali e sulle persone, ma anche trasformare sia l’ambiente che noi stessi (attraverso il cibo che consumiamo) in un vasto campo di sperimentazione genetica con conseguenze sconosciute e potenzialmente irreversibili.
«La nuova direttiva europea presenta molte lacune nella valutazione del rischio, nella tracciabilità e nell’etichettatura di questi prodotti», dice Ferrario a TPI. «Mancano criteri chiari per la loro regolamentazione, con il rischio che se sorge un problema non si sarà poi in grado di risalire a monte per risolverlo. È una questione di buonsenso. Perché le aziende non vogliono fare la valutazione del rischio, della tracciabilità e dell’etichettatura? Se sono così sicure del loro prodotto, perché lo vogliono nascondere?».
«Una regolamentazione della direttiva europea», sottolinea ancora Ferrario, «non vuol dire vietare la produzione e il commercio di questi prodotti tra l’altro, vuol dire solo avere un minimo di controllo come per qualsiasi prodotto alimentare per la salvaguardia di tutti, sia dal punto di vista ambientale che sanitario».
L’editing genetico, come scrive Greenpeace nel suo ultimo rapporto sugli Ogm, è infatti soggetto a conseguenze impreviste e non volute che possono rappresentare «un serio rischio per l’ambiente e per i consumatori». Alcune di queste sono identiche a quelle degli Ogm “vecchio stile”, altre sono nuove.
«Siamo di fronte a organismi che in natura non potrebbero esistere», osserva Ferrario: «È quindi difficile immaginare quale tipo di problematiche si potrebbero creare. Se ad esempio silenziamo un gene per ottenere un colore rosso, non sappiamo quali altri implicazioni potrebbe avere sul Dna, e si potrebbero creare effetti non voluti (off target). Il problema di base è che le grandi associazioni di categoria hanno preso quantomeno sottogamba il problema, in alcuni casi stanno attivamente sponsorizzando gli Ogm, danneggiando i propri associati e mettendo gli agricoltori in un circuito ancora più vizioso dove dovrebbero andare a comprarsi sempre più sementi brevettate di proprietà con i costi e regole stabilite da qualcun altro».
Narrazione
Il mondo del biologico ha ben chiaro che la messa in campo di organismi geneticamente modificati equivale a diffondere qualcosa che non si può controllare. A distanza di qualche decennio, il modello americano ci ha fornito molti esempi sui possibili effetti scellerati degli Ogm sul settore, come le numerose cause fatte da aziende come la Monsanto ai danni di agricoltori che si sono ritrovati contaminazioni transgeniche nei loro campi e oltre al danno hanno subìto la beffa di dover pagare il conto delle royalties alle grandi aziende. Un’assurdità.
Nel frattempo l’Europarlamento ha votato per andare avanti col dossier, e sono molte le forze che stanno spingendo per questa deregolamentazione adducendo come motivazione che grazie a questi prodotti possiamo avere una produzione più sostenibile riducendo l’uso di pesticidi e via dicendo, esattamente la stessa narrazione utilizzata negli anni Novanta, quando fu sviluppata la prima generazione di Ogm.
«A differenza della generazione precedente di Ogm», spiega ancora Ferrario di Greenpeace Italia, «le nuove tecniche sono più semplici da gestire e hanno un dispendio economico e di tempo molto inferiore rispetto al passato, per questo oggi molti scienziati giocano a “fare Dio”. Ma basta un solo laboratorio gestito in maniera scriteriata per avere effetti gravi diffusi, anche in ambito bellico. Non escludo che in ambienti controllati, come nel campo medico, queste biotecnologie possano essere utili, ma con le nostre attuali conoscenze dal punto di visto agricolo questi esseri viventi messi in ambiente non sono controllabili, ed è un pericolo per tutti».
I sostenitori degli Ogm affermano che i “nuovi Ogm” renderanno l’agricoltura europea più rispettosa dell’ambiente rendendola più resiliente ai cambiamenti climatici, ma si tratta delle stesse promesse non mantenute che avevano accompagnato i “vecchi Ogm”. Le multinazionali che promuovono l’editing genetico come metodo sicuro e affidabile per decenni hanno secretato gli effetti disastrosi dei pesticidi da esse stesse prodotti e commercializzati. E, nonostante i divieti promulgati dall’Ue a causa dei rischi che quei prodotti comportano per la salute e l’ambiente, le aziende continuano a sostenere che siano più sicuri.
È chiaro che salute e ambiente non sono le priorità per queste aziende, che di solito ritirano i loro prodotti difettosi solo dopo la scadenza del brevetto e continuano a difendere un’agricoltura basata sulla chimica: un modello che si è già dimostrato fallimentare in altre parti del mondo. I decisori politici dell’Ue dovrebbero resistere alle pressioni delle multinazionali, e spingere per un’applicazione più rigida delle regole già in vigore all’interno dell’Unione, adottando leggi più restrittive e definendo obiettivi e strumenti utili per un’effettiva transizione ecologica dell’agricoltura, investendo il denaro pubblico nella ricerca e nella formazione di modelli di agricoltura e allevamento ecologiche, piuttosto che in tecnologie di modifica genetica fantascientifiche e pericolose.
LEGGI ANCHE: Insetti, alghe, carne artificiale: cambiare dieta può salvare l’ambiente