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Home » Economia

Cosa si sono detti i capi di stato al vertice dei paesi BRICS

Immagine di copertina
Credit: Reuters/Kenzaburo Fukuhara

L'incontro tra i rappresentanti di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa si è tenuto a Xiamen, in Cina

Dal 3 al 5 settembre, mentre all’Onu si discuteva della minaccia nordcoreana, i capi di stato dei maggiori paesi emergenti del mondo si incontravano nella Cina meridionale, nella città di Xiamen per il nono vertice dei BRICS.

Quest’associazione internazionale raccoglie Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, cinque paesi piuttosto diversi tra loro, in termini economici, culturali e di peso sullo scacchiere internazionale, ma che propongono un’agenda comune sui temi delle relazioni e del commercio internazionale.

Cosa chiedono i BRICS?

Quello tenutosi a Xiamen è stato il nono summit della storia dei BRICS, il secondo tenutosi in Cina dopo quello dell’aprile 2011 organizzato sull’isola di Hainan, nel mar cinese meridionale.

Ad aprire i lavori è stato il presidente cinese Xi Jinping, che ha invitato tutti i partecipanti a coordinarsi ancora di più sulle questioni globali e spingere per un ordine mondiale più “giusto”, rafforzando la rappresentanza dei paesi emergenti e in via di sviluppo all’interno degli organismi internazionali.

Nella sua relazione di apertura Xi Jinping ha sottolineato come i mercati emergenti siano stati il ​​motore principale della crescita globale negli ultimi anni, rivendicando un ruolo maggiore per i BRICS nella definizione delle regole che governano le relazioni internazionali, l’economia e soprattutto il commercio mondiale.

“I paesi BRICS dovrebbero spingere per un ordine internazionale più giusto e ragionevole”, ha detto il presidente Xi Jinping. “Dobbiamo lavorare insieme per affrontare le sfide globali”.

Sui temi più urgenti del momento, come il problema nordcoreano, tutti i paesi si sono detti d’accordo per una soluzione pacifica delle differenze tra Pyongyang e Washington. “Insistere sull’isteria militare è senza senso, è un vicolo cieco”, ha detto il presidente russo Putin. “Un conflitto potrebbe portare a una catastrofe globale”.

In particolare il Cremlino ha criticato la volontà statunitense di imporre nuove sanzioni. “Gli scambi commerciali sono praticamente pari a zero”, ha detto Putin, riferendosi ai rapporti tra Mosca e Pyongyang. Il presidente russo ha poi fatto un paragone storico. “Tutti ricordano bene cosa è successo in Iraq, Saddam Hussein aveva rinunciato alla produzione di armi di distruzione di massa ma con il pretesto della ricerca proprio di queste armi, è stato distrutto il paese e Saddam è stato impiccato. In Corea del Nord lo sanno bene tutti e se lo ricordano”.

Il vertice ha affrontato tutti i temi della politica internazionale, rivelando la voglia dei partecipanti di contare di più sullo scacchiere internazionale. Questi paesi emergenti lamentano da tempo di essere ancora sotto-rappresentati in istituzioni come la Banca Mondiale, in cui il dominio dei paesi occidentali resta evidente.

I leader presenti al vertice hanno anche rinnovato il proprio impegno ad abbattere le barriere che impediscono la concorrenza e frenano gli scambi internazionali, ammonendo il resto del mondo contro i rischi del protezionismo che potrebbe rallentare la ripresa economica in atto in tutto il mondo.

Quest’ultimo tema è particolarmente caro a Pechino, che ha cercato di sfruttare questo vertice per porsi come il campione internazionale del libero scambio, in contrapposizione alle pulsioni protezionistiche provenienti da Washington.

“I negoziati commerciali multilaterali fanno progressi, ma solo con grandi difficoltà e l’attuazione dell’accordo di Parigi ha trovato alcune resistenze”, ha detto Xi Jinping, ricordando la decisione degli Stati Uniti di ritirarsi unilateralmente dagli accordi sul clima.

“Alcuni paesi hanno cominciato a guardare solo a loro stessi e il loro desiderio di partecipare alla cooperazione e allo sviluppo globale è diminuito” ha aggiunto riferendosi poi al nuovo corso in materia di commercio internazionale degli Stati Uniti di Trump.

Washington ha più volte accusato la Cina e la Germania di attuare politiche commerciali aggressive e ha anche minacciato dazi contro questi paesi e l’Unione europea in genere. Bruxelles è uno dei maggiori attori internazionali che promuovono il libero commercio globale.

Mentre Trump ha ritirato la partecipazione del proprio paese alla Trans-Pacific Partnership (TTP), il trattato di libero scambio tra 11 grandi economie dell’oceano Pacifico e negozia con Canada e Messico nuove e più favorevoli condizioni per partecipare al NAFTA, l’accordo di libero commercio del nord America, modellato sul mercato comune europeo, la Cina sta implementando il proprio progetto della cosiddetta “Nuova via della seta”, ufficialmente “One Belt One Road”, che si propone di creare un unico canale di scambio tra Cina, Asia centro meridionale ed Europa, connettendo 65 paesi attraverso strade, ponti, porti e infrastrutture energetiche.

Pechino ha poi sborsato oltre 80 milioni di dollari per rafforzare proprio la cooperazione tra i paesi BRICS e ha messo a disposizione oltre 500 milioni di dollari per costituire un fondo di cooperazione tra i paesi del sud del mondo per aiutare altri paesi in via di sviluppo ad affrontare carestie, epidemie, i flussi di rifugiati e le sfide dovute al cambiamento climatico.

Il summit ha inoltre visto la partecipazione, come osservatori di Egitto, Guinea, Tagikistan, Thailandia e Messico. Il presidente cinese ha chiesto per questi paesi un piano “BRICS Plus” per allargare in futuro il blocco, anche se nessuna nuova partecipazione è stata ancora annunciata formalmente.

Un osservatore particolare: l’Egitto

Proprio il leader di uno di questi paesi, il presidente egiziano al-Sisi è stato invitato direttamente dal presidente cinese Xi Jinping. La partecipazione dell’Egitto al vertice si inserisce nel quadro della politica di espansione in Africa di Pechino e degli interessi di Mosca per lo scacchiere mediorientale.

La cooperazione proposta dai BRICS al governo del Cairo riguarda soprattutto investimenti e infrastrutture nel settore energetico e commerciale. Il canale di Suez controllato dall’Egitto è fondamentale nella strategia della Maritime Silk Road, il corridoio commerciale che dovrà portare le merci del dragone cinese, via mare, attraverso i porti finanziati da Pechino in Pakistan e Sri Lanka fino nel Mediterraneo.

L’ambasciatore egiziano in Cina, Osama El-Magdoub, ha ricordato infatti come il governo cinese ha deciso di investire direttamente oltre tre miliardi di dollari nel paese africano, a cui si andranno ad aggiungere altri altri investimenti di due società cinesi per un valore di almeno 8 miliardi di dollari.

Anche Mosca ha i suoi interessi in Egitto, in termini militari e commerciali. Mentre infatti Washington bloccava l’erogazione di 300 milioni di dollari di aiuti economici destinati al Cairo, il Cremlino decideva esercitazioni militari congiunte con le forze di al-Sisi, denominate “Ponte dell’amicizia”.

Proprio al vertice BRICS, è stato formalizzato poi l’accordo per la costruzione della prima centrale nucleare in Egitto. L’impianto, che si avvarrà di tecnologia russa, produrrà almeno 4.800 megawatt di potenza. L’azienda russa Rosatom finanzierà in prestito oltre l’80 per cento dei costi, per un esborso di almeno 25 miliardi di dollari.

La centrale, che impiegherà almeno quattromila operai, entrerà in funzione non prima del 2024 e rappresenta una novità importante nello scacchiere mediorientale e nei rinnovati rapporti di amicizia tra Il Cairo e Mosca, che presentano già un’agenda comune su dossier importanti come quello libico, dove entrambi i paesi appoggiano l’uomo forte della Cirenaica, il generale Haftar.

Gli attriti tra i paesi BRICS

Ma non ci sono solo convergenze tra i paesi di questo blocco. I due giganti asiatici protagonisti del vertice per esempio, Cina e India, sono arrivati quasi a uno scontro armato proprio pochi giorni prima dell’inizio dei lavori di Xiamen e soltanto un frettoloso ritiro delle truppe ha scongiurato il peggio.

La questione del Doklam, un’area di confine tra il Tibet cinese e lo stato del Bhutan, di cui New Delhi è da sempre il partner più stretto, ha portato le due potenze ha confrontarsi per tutta la seconda metà di agosto, con isolati incidenti di confine tra i militari di entrambe le parti.

Mentre il governo del Bhutan accusava la Cina di costruire infrastrutture a fini militari ai suoi confini, il governo indiano ha inviato un proprio contingente sull’altipiano, per mostrare a Pechino la sua riluttanza a cedere il dominio sulla regione dell’Asia meridionale.

Come detto, la situazione, grazie a un accordo tra il presidente Xi Jinping e il primo ministro indiano Narendra Modi, si è calmata, ma tenuto conto delle recenti tensioni, il vero dubbio sollevato dal vertice BRICS è come i due poteri asiatici riusciranno a trovare una posizione comune sulle questioni chiave globali.

Sia l’India che la Cina, insieme alla Russia, sono gli attori fondamentali del gruppo dei BRICS. La New Development Bank, la nuova istituzione finanziaria internazionale, con sede in Cina, creata da questi paesi per fare da contrappeso alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale, dominato dai paesi occidentali, è per esempio guidata da un indiano, l’ingegnere Kundapur Vaman Kamath.

Concentrandoci su questa istituzione comune, al di là delle cariche, è evidente come vi sia una sproporzione di peso tra i due giganti asiatici. Mentre infatti il capitale iniziale doveva ammontare a 50 miliardi di dollari e tutti i membri dovevano contribuire per 10 miliardi di dollari ciascuno, la Cina ha versato oltre il 39 per cento dei 100 miliardi di dollari presenti nelle casse della banca, assegnando a Pechino la stessa percentuale di voto all’interno di questa istituzione, a fronte di poco più del 18 per cento detenuto da India, Brasile e Russia.

Nonostante i problemi geopolitici emersi prima del vertice, i BRICS evitano semplicemente le controversie tra i paesi membri. Un esempio è la situazione in Ucraina e l’annessione della Crimea da parte della Russia, mai riconosciuta da Cina e India.

Al vertice BRICS di Goa poi, tenutosi appunto in India nell’ottobre 2016, la Cina, impegnata allora nella disputa nel Mar Cinese meridionale con Vietnam, Filippine, Taiwan e Giappone, non solo è riuscita a tenere fuori dalla dichiarazione conclusiva del gruppo, ma è anche riuscita a evitare qualunque accenno alla presenza di gruppi terroristici di ispirazione islamista che operano sul suolo pakistano, una condanna presente invece nel testo della dichiarazione finale del vertice di Xiamen, rigettata da Islamabad.

Islamabad è infatti un nuovo partner per Pechino, soprattutto per quanto riguarda la sua strategia commerciale per la via marittima della seta. L’India ha poi differenze strategiche anche con la Russia. Recentemente, Mosca ha venduto elicotteri militari proprio al Pakistan, il nemico storico di New Delhi.

Altro motivo di attrito tra il Cremlino e New Delhi e della vicinanza tra Mosca e Islamabad è la crescente vicinanza del governo indiano a Washington. L’amministrazione statunitense infatti, a partire dal presidente Bush, fino a Obama e Trump, continua a corteggiare l’India come partner strategico in funzione anti-cinese.

Altri aspetti significativi che continuano a ostacolare la capacità del gruppo di accrescere in modo significativo il proprio peso internazionale è rappresentato dalle difficoltà economiche attraversate da due suoi importanti membri: Sud Africa e Brasile.

Il paese africano non crescerà quest’anno più dell’1 per cento, mentre la crescita prevista dalla Banca Mondiale per il 2018 non andrà oltre l’1,5 per cento. Il Brasile invece, il cui presidente Michel Temer deve affrontare anche problemi giudiziari, ha avviato un massiccio programma di privatizzazioni per oltre 14 miliardi di dollari, ma questo non è bastato alle casse del paese.

Entrambi i leader di questi paesi, Jacob Zuma in Sud Africa e Temer in Brasile, hanno bassi indici di gradimento in patria e sono coinvolti in scandali di tipo giudiziario. La mancata integrazione economica tra i membri BRICS è poi un altro fattore da considerare, questi paesi presentano infatti economie troppo disomogenee tra loro, mentre la Russia basa il proprio modello di sviluppo sull’estrazione di gas e petrolio, la Cina e l’India per esempio puntano sulla produzione interna di merci e servizi da esportare sui mercati esteri.

Tenuto conto di queste complicazioni geopolitiche e della narrazione globale che testimoniano problemi tanto significativi tra i paesi del gruppo, il forum dei paesi BRICS può dare a Cina, India, e Russia l’opportunità di impegnarsi e risolvere alcuni dei loro problemi bilaterali, ma difficilmente riuscirà a incidere in maniera significativa sulla politica globale, a causa della mancanza di veri obiettivi comuni, al di là della mera volontà di contare di più nelle istituzioni internazionali.

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