Armi Made in Italy: con la guerra gli affari d’oro di Leonardo si moltiplicano
È un’eccellenza tricolore e produce sempre più armamenti. Dal 2018 il suo fatturato militare è cresciuto del 15%. Ma per l’azionariato critico le risposte fornite su export, sistemi a potenzialità nucleare e conflitto d’interessi sono “reticenti e evasive”
Mentre a Roma giungeva il corteo presidenziale di Volodymyr Zelensky, media e social network diffondevano la notizia della cancellazione dell’intervento di Carlo Rovelli alla Fiera del libro di Francoforte 2024. In una lettera inviata allo scienziato, il commissario all’evento Ricardo Franco Levi – che ha poi fatto dietrofront – aveva motivato la scelta sostenendo che la presenza del fisico sarebbe stata «motivo di imbarazzo» a causa delle polemiche sorte dopo le sue dichiarazioni al concertone del Primo Maggio. Rovelli in quell’occasione aveva non solo puntato il dito contro le spese militari e i «piazzisti di strumenti di guerra», ma aveva anche criticato il ministro della Difesa Guido Crosetto per la sua vicinanza a Leonardo S.p.A., l’azienda italiana «leader nel settore dell’Aerospazio, Difesa e Sicurezza», come riportato sul sito stesso della società. Una vera e propria eccellenza italiana.
Un comparto in crescita
Il Made in Italy non è solo cibo, arte, design, moda, considerati comunemente tra i settori più trainanti dell’economia del nostro Paese e importanti avamposti per la sua attrattività. A questi, da qualche tempo, si è aggiunto un comparto spesso ignorato che conosce però un grande sviluppo, specie dallo scoppio della guerra in Ucraina: quello degli armamenti.
Trainate dal conflitto alle porte dell’Europa, come mostrano i dati pubblicati dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), nel 2022 le spese militari sono cresciute raggiungendo la cifra record di 2.240 miliardi, con un aumento del 3,7% rispetto all’anno precedente. A registrare la spesa militare più consistente sono gli Usa, seguiti dalla Cina. Ma l’Europa non è da meno: l’aumento del 13% che riguarda nel complesso l’Unione europea è il più grande incremento annuale del continente nel periodo successivo alla guerra fredda. Peraltro, giorni fa, il commissario Ue per il Mercato Interno, Thierry Breton, presentando il piano Asap (acronimo di Act to Support Ammunition Production) per produrre in Europa un milione di munizioni all’anno, in gran parte destinate a Kiev, aveva aperto all’utilizzo in questa direzione dei fondi Recovery di tutti gli Stati membri interessati. Nel complesso un buon momento, dunque, per le aziende che operano nel settore degli armamenti.
Tra le società protagoniste dell’exploit italiano nel comparto della difesa c’è proprio Leonardo S.p.A., ex Finmeccanica, partecipata per il 30,2% dal ministero dell’Economia e delle Finanze, società che opera in oltre 100 Paesi nel mondo ed «è protagonista dei principali programmi strategici internazionali e partner tecnologico di Governi, Amministrazioni della Difesa, Istituzioni e imprese», con ricavi che hanno superato i 14 miliardi di euro nel 2022.
Un colosso che sta progressivamente ridimensionando la divisione produttiva del settore civile per favorire quella del comparto della difesa: la percentuale del fatturato militare è passata dal 68% nel 2018 all’83% nel 2022. Leonardo è un’eccellenza italiana che si sta, dunque, trasformando in un’industria bellica.
Riunioni a porte chiuse
Lo scorso 9 maggio si è tenuta l’assemblea degli azionisti della società, nuovamente a porte chiuse grazie all’assist del governo Meloni che ha prorogato le misure di sicurezza del Decreto Cura Italia relative all’emergenza pandemica. Una mossa, quella di Leonardo, che di fatto inibisce la normale dialettica che si deve svolgere all’interno di un’azienda, limitando il dialogo, il confronto di programmi e, soprattutto, la partecipazione democratica di coloro che detengono quote di capitale e che in alcuni casi possono porre domande scomode al management, come fanno Fondazione Finanza Etica, la fondazione del Gruppo Banca Etica, e Rete Italiana Pace e Disarmo sin dal 2016, anno in cui sono iniziate le loro attività di azionariato critico.
Quest’ultimo consiste nell’acquisto di un numero limitato di azioni di una specifica società per acquisire il diritto di partecipare alle consuete assemblee annuali degli azionisti e portare all’attenzione dei consigli di amministrazione le violazioni dei diritti umani o le controversie ambientali nelle quali le società stesse possono essere coinvolte. Attraverso l’azionariato critico le organizzazioni della società civile possono allearsi per chiedere maggiore trasparenza sui dati delle imprese e sui cambiamenti nelle strategie d’impresa.
Fondazione Finanza Etica possiede una sola azione di Leonardo non per trarne profitto, quindi, ma con l’obiettivo specifico di «portare le campagne dei movimenti pacifisti italiani ad un livello differente ed estendere il loro raggio d’azione», ha specificato il rappresentante della Fondazione, Mauro Meggiolaro, nel corso di un incontro tenutosi a Roma lo scorso 8 maggio, durante il quale sono stati resi pubblici i quesiti posti all’attuale board di Leonardo e le repliche ricevute (le domande sono state inviate per posta senza l’interazione in presenza, come specificato prima, e senza nemmeno la possibilità di una diretta streaming). Le risposte della società sono state ritenute «reticenti ed evasive» dagli azionisti critici.
Leonardo non ha, infatti, fornito i dettagli sui dati relativi all’export di natura militare perché la società risponde con percentuali di dati aggregati per macro settore produttivo e non per tipologia di sistema d’arma esportato. Ambigue anche le risposte riguardanti i Paesi destinatari delle esportazioni di prodotti. Leonardo sostiene di non avere trattative in corso per la vendita di velivoli Eurofighter all’Arabia Saudita. Ma, di fatto, essendo parte del Consorzio Eurofighter, proprio in base agli accordi di partecipazione, ha contribuito alla produzione di componenti dei jet militari che sono stati, poi, consegnati dal Regno Unito al Paese del Golfo, coinvolto nel conflitto in Yemen. Una guerra nella quale “solo” gli attacchi aerei della coalizione saudita hanno ucciso fino a oggi più di 20mila civili e che ha prodotto una delle crisi umanitarie più gravi al mondo, costringendo, secondo i dati riportati da Save the Children, più di 4,5 milioni di persone, tra cui oltre 2 milioni di bambini, a lasciare le loro case, mentre 21,6 milioni di persone necessitano di aiuti umanitari.
Quesiti atomici
In merito alla produzione di sistemi d’arma a potenzialità nucleare, Susi Snyder, coordinatrice della Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (Ican), premio Nobel per la Pace nel 2017, ha sottolineato come Leonardo voglia far credere di non parteciparvi. Di fatto però la società elude le domande poste dagli azionisti critici sulle attività che svolge per la realizzazione del programma francese ASMP-A (un missile a capacità nucleare, il più aggiornato dell’arsenale nucleare francese, prodotto da MBDA, consorzio europeo costruttore di missili e tecnologie per la difesa, partecipato da Leonardo per il 25%) e del futuro programma che lo sostituirà, ASN4G. Alla domanda se il vettore del missile possa trasportare indifferentemente testate convenzionali o nucleari, replica che «in quanto società italiana non è coinvolta in un programma French Eyes Only». E aggiunge che «i prodotti del consorzio MBDA non fanno parte del catalogo prodotti di Leonardo». Salvo destinarvi i propri capitali. È legittimo chiedersi come faccia un’impresa che detiene un quarto del capitale di un consorzio a non interessarsi a quello che fa il consorzio stesso.
Leonardo, tuttavia, non ha potuto negare di supportare l’aeronautica militare italiana per la manutenzione dei Tornado utilizzati per il trasporto di bombe a gravità nucleari statunitensi e ha ammesso di produrre le ali del velivolo F-35 a capacità nucleare della Lockheed Martin.
Le domande degli azionisti critici hanno anche toccato il tema del conflitto d’interessi, in particolare le passate attività di advisor dell’attuale ministro della Difesa Guido Crosetto e la presunta incompatibilità di Roberto Cingolani alla carica di amministratore delegato della società in virtù delle disposizioni della L.215/2004, nota come “Severino” (non essendo ancora trascorsi i dodici mesi dalla cessazione della carica di governo al momento in cui lo stesso Cingolani è stato nominato ai vertici di Leonardo). L’ex ministro della Transizione Ecologica si è autodichiarato compatibile. E così Leonardo ha replicato alle critiche in modo tautologico: Cingolani ha dichiarato di non incorrere nel divieto di cui all’art.2 della L.215/2004 e, dunque, non emergono profili in grado di configurare cause di ineleggibilità.
Ma agli azionisti critici queste risposte non bastano. E promettono ancora battaglia.