Sblocco dei licenziamenti: chiude anche la Timken di Villa Carcina, 106 licenziati
Continua l’emorragia di posti di lavoro in Italia dopo lo sblocco dei licenziamenti voluto dal Governo guidato da Mario Draghi: anche la Timken Company, multinazionale statunitense attiva nella produzione di componentistica per il settore automotive, ha deciso di chiudere il proprio impianto di Villa Carcina, in provincia di Brescia, con il conseguente licenziamento di 106 lavoratori, che da lunedì 19 luglio sono in sciopero e presidio permanente.
La notizia segue la chiusura della Rotork Gears di Cusago, a Milano; della Gianetti Ruote, in Brianza; e della Gkn di Campi Bisenzio, a Firenze; che ha già portato all’avvio delle procedure di licenziamento – negli ultimi due casi con un avviso via e-mail – per un totale di circa 600 lavoratori.
L’ultimo caso ha scatenato un’ulteriore reazione dei sindacati che hanno ricordato il patto firmato tra Governo e parti sociali dopo la decisione dell’esecutivo di eliminare il blocco dei licenziamenti che, a dir la verità, si era risolto in un documento congiunto in cui ci si limitava a “un impegno a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro”.
Ora Fiom-Cgil, Fim-Cisl e UilM chiedono “al Governo di intervenire presso la Confindustria per bloccare i licenziamenti, rispettare l’avviso comune sull’utilizzo degli ammortizzatori sociali sottoscritto con Cgil, Cisl e Uil, dare soluzioni alle crisi aperte, aprire con il sindacato tavoli di confronto nei principali settori industriali a partire dall’automotive, dalla siderurgia, dall’elettrodomestico”.
Intanto, anche dietro la chiusura dello stabilimento Timken, azienda con sede a North Canton, in Ohio, e presente in 30 Paesi con oltre 50 stabilimenti, 24 centri di distribuzione, 85 filiali, 17mila dipendenti e un fatturato (nel 2020) di 3,5 miliardi di dollari, i lavoratori sospettano si nasconda un’operazione speculativa.
La reazione della Fiom
“Dopo la Gianetti Ruote, in Brianza, e la Gkn di Campi Bisenzio, stiamo assistendo all’ennesima aggressione al lavoro e al tessuto industriale e sociale di un territorio di una multinazionale, che preferisce il licenziamento all’utilizzo di ammortizzatori sociali”, si legge in una nota firmata da Simone Marinelli, coordinatore nazionale automotive della Fiom, e da Antonio Ghirardi, segretario generale del sindacato a Brescia.
“La Fiom ha chiesto al Ministero dello Sviluppo economico (Mise) di convocare l’azienda e le istituzioni locali per affrontare l’ennesima vertenza ed evitare i licenziamenti“, prosegue il comunicato. “È urgente inoltre far ripartire il tavolo del settore automotive per affrontare la fase di transizione e individuare, con un accordo tra le parti sociali i ministeri competenti e le aziende, gli investimenti e gli strumenti per la tutela dell’occupazione e dell’industria del nostro Paese ed evitare che i cambiamenti ambientali, tecnologici e organizzativi ricadano sulle lavoratrici e sui lavoratori”.
Il riferimento è alla ristrutturazione in senso ecologico di tutta l’industria automobilistica europea. Il rischio infatti è che la “rivoluzione verde” necessaria per l’ambiente si trasformi in un enorme costo sociale per gli operai e i lavoratori del continente, dove – direttamente o indirettamente – il settore automotive assicura un’occupazione a centinaia di migliaia, se non a milioni, di persone.
I lavoratori in sciopero
L’annuncio della chiusura definitiva dell’impianto di Timken a Villa Carcina è stata una vera e propria doccia fredda per i 106 lavoratori che sono riuniti in presidio permanente presso lo stabilimento. “Così non va, il Governo deve intervenire perché di questo passo si rischia il caos sociale”, ha dichiarato al Fatto Quotidiano l’operaio Walter Zubani, che lavora da oltre 30 anni per l’azienda della provincia di Brescia, dove fino alla scorsa settimana si producevano cuscinetti a rotolamento, acciai legati e altri componenti.
Il sospetto che serpeggia tra gli operai è che la scelta dell’azienda sia legata alla delocalizzazione. “Hanno spremuto l’impiantistica senza fare investimenti per arrivare a questo punto”, ha aggiunto Zubani, ricordando come qualche anno fa la multinazionale americana abbia aperto in Romania un impianto simile allo stabilimento del bresciano.
Non solo: qualche lavoratore ritiene che i tempi della chiusura della Timken non siano estranei alle scelte del Governo in materia di lavoro. “Tutta questa fretta nel chiudere”, secondo una lavoratrice di nome Susi intervistata dal Fatto, potrebbe essere “legata proprio alla paura che le regole cambino e tornino delle limitazioni” ai licenziamenti.
Intanto, per il 23 luglio, Fiom-Cgil, Fim-Cisl e UilM hanno indetto 4 ore di sciopero in tutte le aziende metalmeccaniche per: “dire no ai licenziamenti; riformare gli ammortizzatori sociali e difendere l’occupazione; dare soluzioni concrete e positive alle crisi aziendali aperte; vincolare gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza a un’occupazione stabile e a un lavoro in salute e sicurezza; e impedire alle multinazionali e ai fondi di investimento di speculare e distruggere l’industria e il lavoro”
Le promesse del Mise
La multinazionale, secondo la Fiom, non ha per ora rilasciato “nessun commento” e non ha aperto ad alcuna trattativa. Intanto, dal Governo promettono attenzione anche al caso di Villa Carcina. “Sono a conoscenza che i 106 lavoratori (di Timken – ndr) sono in presidio permanente”, ha dichiarato la vice ministra allo Sviluppo Economico, Alessandra Todde, del Movimento 5 Stelle. “Proprio per questo in tempi brevissimi avvierò interlocuzioni con la Regione, l’azienda e le organizzazioni sindacali per discutere concretamente in che modo procedere: fatto questo passaggio, valuteremo con tutte le parti la convocazione del tavolo al Mise“.
La trattativa andrebbe ad aggiungersi ai tanti tavoli di crisi già aperti. Domani è ad esempio fissato l’incontro per scongiurare i licenziamenti decisi dalla Gianetti. Ancora da convocare invece i rappresentanti di Gkn, in attesa di contattare i vertici dell’azienda dopo un primo incontro conclusosi in un nulla di fatto.
“Non si può permettere ai fondi e alle multinazionali di disfare il sistema industriale di questo Paese”, ha denunciato la segretaria generale della Fiom, Francesca Re David. “Il governo ha sbagliato a sbloccare i licenziamenti senza aver messo in campo adeguate politiche industriali, vincoli per le imprese e una riforma degli ammortizzatori sociali in grado di affrontare la transizione”.