Cosa significa che Hong Kong vuole comprare la Borsa di Londra (e quella di Milano)
L’offerta per una fusione con la City presenta luci e ombre, con Piazza Affari sullo sfondo. Rafforzare la posizione significa coabitare dietro le quinte con la Cina, cosa che a Washington certamente non piace
Hong Kong vuole comprare la Borsa di Londra: ecco cosa significa
Hong Kong vuole comprare la Borsa di Londra. Che la London Stock Exchange faccia gola, non è sicuramente una notizia: in passato si è parlato più volte del suo ruolo, delle avances da concorrenti che non hanno mai nascosto di volere mettere le mani per andare a prendere il miele che sta dentro l’alveare sulle rime del Tamigi. Ma nell’alveare, naturalmente, ci sono le api, e le api pungono. E Londra, per il momento, ha detto no. Tanti ostacoli, politici, tecnici, geostrategici.
Guerre storiche tra Borse
La finanza è politica, e la politica è finanza, specie nella sua versione internazionale. Il suo ruolo nel mercato, Londra, se lo è ritagliato da subito.
Fu nella seconda metà del 1500 che piantò le sue radici, e da allora il suo percorso è stato un continuo crescendo, un punto di riferimento che con il tempo è aumentato di continuo. Sino ai giorni nostri. Di mezzo c’è anche Milano, con Piazza affari sotto la gonna del London Stock Exchange che la possiede al 100 per cento.
L’offerta da 30 miliardi di Hong Kong
Hong Kong ha appena fatto un’offerta pubblica per una fusione per circa 30 miliardi di Sterline nel tentativo di unire le due società con una megafusione. Cifra da capogiro che tradotta in dollari fa oltre 31 miliardi, la moneta pilota che detta i tempi degli operatori finanziari e non.
Se tale rapporto prendesse corpo ridefinirebbe i mercati dei capitali globali per i decenni a venire, riposizionando sullo scacchiere geopolitico mondiale la posizione di Hong Kong – formalmente regione autonoma della Cina – come cerniera fra la Cina continentale, l’Asia e il resto del mondo.
E c’è proprio l’ombra della Cina dietro alla regia che fa trattenete il fiato e crea incertezza sulle rive del Tamigi. Perché se da un alto c’è la possibilità di crescere finanziariamente, dall’altro lato se ne pagherebbe in “sovranità finanziaria”.
Hong Kong vuole comprare Londra, c’entra anche la politica
Gli ostacoli, come è facile immaginare, non mancano. L’offerta di Hong Kong arriva in un momento delicato politicamente. L’incertezza sulla Brexit sta gettando un’ombra sul ruolo di Londra come centro finanziario globale. Allo stesso tempo, Hong Kong – il principale centro finanziario dell’Asia – è stata scossa da mesi di proteste democratiche scatenate dalla preoccupazione che Pechino stia rafforzando la sua presa sulla città. E la finanza è politica, eccome.
Una mossa di queste dimensioni darebbe ad Hong Kong il controllo dei mercati azionari –certamente non totale ma significativo – nel Regno Unito e in Italia, nonché delle infrastrutture chiave per i mercati del debito europeo, dove gli Stati nuotano immersi nella gestione dei loro bond governativi.
Storicamente, come è stato facile immaginare, sono state le obiezioni politiche che in passato hanno fatto deragliare questo genere di matrimoni transfrontalieri.
La Borsa di Londra è un muro portante dell’economia del Regno Unito, uno dei fiori all’occhiello con cui Londra attrae capitali su scala globale e con cui ha aperto le sue porte verso il mondo dopo dopo il suo storico passato coloniale.
Un’iniziativa che mirerebbe a trasformare il London Stock Exchange in un mercato globale e un colosso delle informazioni per competere con l’impero dei dati finanziari di Michael Bloomberg, americano, cosa che è tutt’altro che un dettaglio nello scontro per la supremazia fra Pechino e Washington.
Il commento dell’analista: “L’Antitrust potrebbe bloccare l’operazione”
Scontro che si combatte sul terreno del commercio, delle telecomunicazioni (vicenda Huawei e 5G), valutaria e, chiaramente, sul predominio strettamente finanziario. Emanuele Canegrati – Senior Analyst presso BP Prime di Londra – ha commentato in esclusiva per TPI: “La notizia della proposta di acquisizione della Borsa di Londra da parte di quella di Hong Kong ci fa guardare con estrema attenzione ai movimenti che stanno facendo le grandi piazze finanziarie internazionali. Considerando che nella proposta in questione si parla della maggior parte della cifra pagata in azioni, pare di capire che si tratti più di una operazione di vera e propria fusione che di non di acquisizione”.
Operazione che avrebbe un percorso irto di difficoltà, come sottolineato dallo stesso Canegrati: “L’operazione, tuttavia, anche ammesso che vada in porto, cosa tutt’altro che scontata vista la reazione di Londra, potrebbe essere bloccata dall’Antitrust europeo, che già nella fusione tra la LSE e Deutsche Borse mise il suo veto, per la paura che si venisse a creare una situazione dominante sul mercato degli stock exchange europei, con i conseguenti effetti negativi, in termini di costi, per le aziende che vogliono quotarsi e gli investitori che vogliono comprare o vendere strumenti finanziari”, ha sottolineato l’analista.
Canegrati mette in evidenza come “l’operazione è, in ogni caso, giustificabile dal punto di vista delle economie di scala, considerando che il mercato finanziario europeo vale circa un quarto di quello degli Stati Uniti”.
“Una sproporzione che, – secondo il Senior Analyst – considerando che la dimensione dell’economia reale delle due macro-aree è quasi uguale. Apple vale come tutto il listino di Milano e le tre principali società del NYSE come tutta la borsa di Francoforte. Troppo. È evidente che l’Europa debba trovare una soluzione per ridurre questo gap”.
Hong Kong fa acquisti, rischia anche Piazza Affari
Sul fronte milanese, intraprendere questa direzione comporterebbe un finale con un saldo positivo in termini, se visto strettamente per l’ampiezza del mercato che si andrebbe a creare. “Certamente spiacerebbe vedere una ulteriore acquisizione.
Tuttavia, ragionamenti nazionalistici a parte, per le società italiane ci potrebbero essere vantaggi nell’entrare in un mercato più grande e più liquido. A patto di risolvere prima il problema dell’integrazione di listini quotati in valute diverse, questione di non poco conto”.
Paternoster Square è un’istituzione britannica per antonomasia, ma per il dopo Brexit il Regno Unito deve trovare nuove alleanze, nuovi porti, nuove strategie.
La Cina si muove si muove dietro le linee, con l’avamposto Hong Kong che Pechino tenta di utilizzare proprio per aumentare l’influenza su scala planetaria giorno dopo giorno giorno, andando a cercare proprio quei britannici che da quella regione autonoma ammainarono la bandiera nel 1997.
Un’operazione che l’alleato americano guarda chiaramente contrariato. E di mezzo c’è anche Milano. La grandezza di un mercato, quello asiatico, che comunque spingerebbe ulteriormente il peso della City nell’Olimpo della geofinanza. Sì, ma a che prezzo?