Governo nuovo, debito vecchio: Meloni dovrà fare i conti con l’enorme deficit
La sfida dell’esecutivo Meloni passa anche attraverso la spada di Damocle dell’enorme deficit, tra mercati da convincere e creditori esteri in calo. Ma l’Italia è ancora un Paese affidabile
Debito alle stelle, inflazione galoppante, crisi energetica e mondo che cambia. È questa la situazione in cui opererà il nuovo esecutivo targato Giorgia Meloni, fresco in carica dopo il successo elettorale che riporta a Palazzo Chigi il “primato della politica”. E poi ci sono loro, i mercati finanziari, quelli che analizzano, valutano, speculano, tentano di prevedere e prestano i loro soldi, ma che non fanno sconti a nessuno.
Gli investitori attivi sui mercati finanziari valutano molto da vicino i fondamentali e nel caso italiano li tengono sotto sorveglianza da tempo valutandone l’affidabilità che ne misura, in qualche modo, il tasso d’interesse.
Affidabilità data dalla forza economica, dalle prospettive, dalla disciplina di bilancio e da tanti altri fattori. Sarà anche questo uno degli aspetti principali su cui dovrà lavorare il nuovo governo, convincere i mercati che dell’Italia, ancora una volta, ci si può fidare, rendendo il suo debito ancora appetibile sul mercato.
E l’Italia di debito pubblico, – al pari del suo patrimonio culturale – ne ha una montagna. Sono ben oltre 2.750 miliardi di euro. La scadenza media è di circa 7 anni, mentre circa 600 miliardi scadranno entro un anno.
Per dare una prospettiva, in soli interessi passivi l’Italia nel 2021 ha speso 63 miliardi mentre nel 2022, come si legge nella Nadef, la cifra sarà nell’ordine dei 75 miliardi. Cifra pari al 4% del Pil italiano.
Un titolo a dieci anni italiano, ancora per avere un termine di paragone, rende circa il 4,4%. Nell’area euro fa peggio solo la Grecia con oltre il 5%. Fanno meglio la Spagna, il Portogallo, la Francia, per non parlare della Germania, modello di riferimento nel valutare il rischio rispetto ai “colleghi” europei.
Dagli ultimi dati disponibili, quasi un terzo è in mano alla Bce, che nel corso degli anni, dall’era in cui Mario Draghi era il governatore al programma Pepp – il programma europeo per l’emergenza pandemica – ha incamerato titoli del Tesoro per un totale di oltre il 30%, diventando di fatto il primo creditore dell’Italia.
L’ammontare del debito in mano all’Eurotower è vertiginosamente aumentato visibilmente negli ultimi anni, quando tra il 2020 e giugno 2022, la Bce ha effettuato acquisti netti di titoli del debito pubblico italiano per oltre 360 miliardi, di cui 287 miliardi tramite il Pepp.
Fra i numeri interessanti, la riduzione dell’esposizione degli investitori esteri in titoli di portafoglio italiani, in atto dall’estate del 2021. Questo trend è proseguito, sebbene in misura più contenuta, negli ultimi mesi. L’ammontare delle vendite nette è stato di 61,6 miliardi tra gennaio e agosto (di cui 45,5 in titoli pubblici). In un anno, la cifra, supera i 90 miliardi di euro.
Gli italiani, invece, tra gennaio e agosto hanno impiegato 55,1 miliardi di investimenti in attività di portafoglio estere, in prevalenza banche e assicurazioni, privilegiando a loro volta acquisti di titoli di debito. Questi deflussi sono stati solo parzialmente compensati dall’aumento della raccolta netta all’estero delle banche italiane in prestiti e depositi, come riporta Bankitalia.
Gli investitori esteri hanno quindi diminuito la portata della componente italiana nel loro portfolio, mentre l’aumento dei rendimenti dei mercati ha portato l’emissione del debito italiano a dover avere costi di finanziamento più alti come si evince dai tassi in rialzo nelle ultime aste. Aumento dato anche dall’incremento del costo del denaro da parte delle banche centrali, dinamica esterna dal governo italiano.
Ad ogni modo, quello italiano è ancora un debito garantito e solvibile. Le maggiori agenzie di rating sono andate avanti preservando l’investment grade, ossia un giudizio che raccomanda l’investimento ancora come relativamente sicuro e poco rischioso.
Fra le diverse spie illuminate nel cruscotto italiano, la bassa produttività (che non significa voglia di lavorare ma l’impiego efficiente delle risorse) in un Paese ormai indietro con le riforme strutturali, l’instabilità politica come standard, e, da ultimo, la popolazione sempre più anziana, con circa un italiano su cinque che ha più di 65 anni, come ricorda l’Istat.
Quest’ultimo un particolare che trascina la spesa pubblica a pagare una cifra abnorme sulla parte pensionistica. Saranno infatti 297 miliardi quelli previsti per il 2022, oltre ad altri 112 di prestazioni sociali, portando il totale a oltre 400 miliardi su un totale di poco più di 1.000 miliardi di spesa pubblica totale, come riporta l’ultima Nadef del governo uscente.
Come spiega a TPI il private banker Paolo Cardenà, «considerando la crisi economica in atto, la Banca centrale europea che non offre più sostegno nell’acquisto dei titoli, l’elevato debito pubblico, diversi commentatori si chiedono se la condizione di fragilità dell’Italia stia determinando l’uscita degli investitori esteri dal debito pubblico italiano. Invero, analizzando i dati si osserva che gli investitori esteri, da inizio anno, hanno scaricato circa 90 miliardi di euro di titoli di Stato, ed oggi possiedono circa 650 miliardi, dai 740 di inizio anno».
«Tuttavia allungando l’orizzonte di osservazione si riscontra che dal 2014 in avanti il debito detenuto dagli investitori esteri è oscillato tra i 740 e 640 miliardi, alternando fasi di riduzione dell’esposizione al debito italiano, con altrettante fasi di incremento, per lo più dettate dalle varie vicissitudini politiche che si sono manifestate in Italia».
Anche se nell’ultimo decennio l’ammontare del debito detenuto da investitori esteri è oscillato tra i 740 e 640 miliardi, ciò che è diminuito è la percentuale di debito detenuta da questa categoria di investitori in ragione al debito complessivo.
Cardenà sottolinea infatti come «in altre parole, possiamo affermare che nonostante l’aumento dello stock del debito (anche per via della pandemia), gli investitori esteri non hanno contribuito agli acquisti aggiuntivi dei titoli di Stato, dato che la loro percentuale di detenzione dei titoli italiani in rapporto al debito totale è diminuita dal 40% del 2015 al 28% attuale».
«Giova segnalare che gli investitori esteri nel 2008 detenevano oltre il 50% del debito italiano. Con le manovre di espansione monetaria adottate nell’ultimo decennio dalla Bce, che ha aumentato l’esposizione ai titoli di Stato italiani dal 6% del 2015 al 32% attuale, la banca centrale, in buona sostanza, si è sostituita agli investitori esteri», ha concluso Cardenà.
Sarà questa una delle grandi sfide del governo Meloni, convincere investitori e risparmiatori, fuori e dentro l’Italia, che ancora di Roma ci si può fidare a un buon tasso d’interesse. Senza inutili allarmismi. E allora, si riparta dalla fiducia. Buon lavoro Presidente.