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Home » Economia

La finanza pulita punta sul clima

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Un bambino visita la "green zone" durante il vertice sul clima COP27 a Sharm el-Sheikh, in Egitto, il 10 novembre 2022. Credit: REUTERS - Mohamed Abd El Ghany

La transizione ecologica passa anche per l’impiego di risorse private. E sempre più società decidono di impegnarsi per l’ambiente. Federica Calvetti, responsabile Esg & Strategic Activism di Eurizon, Gruppo Intesa Sanpaolo, spiega come. L'intervista sul nuovo numero del settimanale di The Post Internazionale, in edicola da venerdì 25 novembre

Che ruolo può avere la finanza nella transizione ecologica, quali obiettivi si pone e come il settore è influenzato dal particolare periodo storico in cui ci troviamo, con il caro-energia e la guerra alle porte d’Europa? TPI ne ha parlato con Federica Calvetti, responsabile Esg & Strategic Activism di Eurizon, la società a capo della divisione asset management del Gruppo Intesa Sanpaolo.

Qual è il ruolo che la finanza può svolgere per accelerare la transizione ecologica?

«Nel 2018 l’Ue, declinando il suo piano per la finanza sostenibile, ha riconosciuto al settore del risparmio gestito un ruolo chiave: permettere che sempre maggiori capitali vengano direzionati verso la sostenibilità. Da quattro anni il nostro settore sta lavorando attivamente per svolgere questo ruolo». 

La finanza può aiutare a coprire i costi di questa transizione?

«Entro il 2030 è previsto che il 45% dell’approvvigionamento energetico europeo derivi dalle fonti rinnovabili, che andranno a sostituire i combustibili fossili tradizionali. Per realizzare questo obiettivo c’è un costo stimato di circa un trilione (un miliardo di miliardi, ndr) all’anno. Il budget europeo pensato nel 2021 è il maggiore mai stanziato a favore del clima, ma copre il 20% dei costi della transizione ecologica. Quindi l’80% della spesa deve essere finanziato da fonti private. Il settore finanziario a tutto tondo, incluso il mondo bancario e quello delle banche d’investimento, oltre al settore del risparmio gestito, può giocare un ruolo fondamentale».

Perché Eurizon ha aderito alla Net Zero Asset Managers Initiative (NZAMI)?

«Si tratta di un’alleanza di investitori che, a livello globale, sono impegnati sul tema del cambiamento climatico. L’accordo di Parigi nel 2015 ha fatto sì che la centralità di questa tematica fosse sempre più sentita anche nel settore finanziario. Da qui sono nate delle alleanze per il raggiungimento del Net Zero (le “emissioni nette zero” di gas serra, allo scopo di contenere il riscaldamento climatico, ndr) entro il 2050. Con l’adesione, a novembre 2021, abbiamo voluto riconoscere pubblicamente che anche per noi la lotta al cambiamento climatico ha un ruolo centrale».

Cosa comporta questa adesione?

«Significa andare a definire e quantificare alcuni target o ambizioni comuni. Innanzitutto è necessario stabilire la proporzione dei propri asset che può essere gestita in linea con l’obiettivo di Net Zero. Successivamente, è necessario stimare un tasso di decarbonizzazione. Per allinearsi a Net Zero gli asset devono migliorare la propria impronta di carbonio entro il 2030, noi stimiamo una riduzione del 50% in linea con quanto stabilito dall’IPCC».

Come intendete perseguire concretamente questi impegni?

«Attraverso due ulteriori target molto concreti. Il primo è quello della stewardship: ci impegniamo a dialogare sul tema della transizione con le società che abbiamo identificato come maggiormente impattanti dal punto di vista delle emissioni di carbonio nei nostri portafogli, per capire meglio le strategie che stanno adottando e spronarle ad un allineamento a Net Zero sempre maggiore. Il secondo è quello di veicolare sempre più capitali verso investimenti che abbiano un impatto positivo per l’ambiente, che abbiamo identificato nei green bond».

Come sta andando il raggiungimento degli obiettivi, e in che modo si riesce a valutarlo?

«Abbiamo pubblicato i target di recente, in occasione del Cop27. Il monitoraggio deve essere fatto su base annuale, perché i dati di decarbonizzazione delle società sono solitamente disponibili su un orizzonte di 12 mesi. Però ci sono degli aspetti che possono essere monitorati su base trimestrale, per esempio quello dell’engagement, un’attività di cui siamo pienamente promotori noi come società di gestione».

Eurizon ha aderito ad ottobre anche alla Science-Based Targets Campaign di CDP. Cosa vuol dire e qual è la sua importanza?

«Avere delle società che volontariamente sottopongono i loro piani di transizione alla Science-Based Targets Initiative per validarli, e avere conferma se questi piani siano effettivamente allineati con lo scenario dell’aumento di 1,5 gradi per la fine del secolo è effettivamente un grosso valore. Per questo anche quest’anno abbiamo deciso di supportare questa campagna di CDP».

La guerra e la crisi in corso hanno avuto un peso in negativo sul raggiungimento di questi piani di transizione?

«In uno scenario in cui vengono rivalutate forme di energia legate al combustibile fossile, o viene allungata la vita di impianti che erano in dismissione, è normale attendersi che alcune società subiscano un rallentamento nel loro percorso di decarbonizzazione. Lo scenario attuale, in ogni caso, non ha scoraggiato le società nel continuare a perseguire le proprie strategie di transizione, anzi. A livello istituzionale abbiamo visto una risposta molto veloce ed efficiente da parte dell’Ue, con il Repower Eu».

Come si coniuga con questo rallentamento l’urgenza dell’azione per la sostenibilità?

«Essendo una società di gestione, i nostri target dipendono da quello che le società in cui investiamo sono in grado di fare. Il nostro compito è spronarle di più e incentivarle. Ma non ci siamo mai immaginati una transizione lineare, dove ogni singolo anno riusciremo ad avere risultati sempre migliori. La decarbonizzazione avrà delle fasi di rallentamento e altre di accelerazione, anche in considerazione dello sviluppo di nuove tecnologie, dove grandi investimenti continuano a essere fatti».

Il rischio di greenwashing può essere evitato? Come?
«La normativa parla esplicitamente di questo rischio, dando degli strumenti di trasparenza omogenea per il mercato. E’ necessario quindi presidiare con attenzione l’evoluzione di mercato e la normativa, e fornire una rappresentazione accurata e semplice delle politiche di investimento e i presidi adottati dalla società sui propri prodotti. Inoltre, va ricordato che siamo, come settore, esposti al rischio di greenwashing anche quando le società in cui investiamo non riflettono nel proprio operato ciò che dichiarano. In questo senso, la nuova regolamentazione che entrerà in vigore con la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) permetterà di avere una trasparenza sicuramente maggiore, e questo aiuterà la due diligence dei gestori».

La transizione energetica è anche un’occasione per gli investitori. Quali sono i settori più promettenti per l’industria?

«Di sicuro c’è il settore energetico, dove sta avvenendo una trasformazione sostanziale, e anche il settore utility. Poi c’è quello industriale, che sta puntando su innovazione di prodotti, servizi e cicli di produzione. Ma penso anche al settore dei trasporti e della mobilità, che è sempre più green».

Quali sono le vostre prossime sfide sulla sostenibilità, nel contesto finanziario in continua evoluzione?

«C’è tanta attenzione al raggiungimento di una maggior consapevolezza sulla sostenibilità a livello globale. La sfida è agire di concerto, nel modo più coordinato possibile, con linee comuni tra i diversi Paesi».

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